Il TAR Milano, con riferimento a una fattispecie nella quale non è contestato che il fenomeno di produzione dei rifiuti sia connesso all’esercizio di un’attività economica da parte della società fallita, che si è verificata prima della nomina del curatore fallimentare, il quale, a sua volta, non è stato autorizzato a svolgere attività d’impresa né l’ha svolta in concreto né risulta dagli atti possessore o detentore del sito inquinato, precisa:
<<che la fattispecie in esame non è sovrapponibile a quella esaminata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 3 del 2021, la quale ha ritenuto sussistente la responsabilità del fallimento proprio in ragione del fatto che esso subentra nella detenzione dell’immobile in cui sono allocati i rifiuti abbandonati.
Il Collegio si riporta quindi alla consolidata giurisprudenza secondo cui in merito agli obblighi dei curatori, fatta salva la eventualità di univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare sull’abbandono dei rifiuti, la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.01.2016).
Deve quindi escludersi una responsabilità del curatore del fallimento ai sensi del terzo comma dell'art. 192 d.lgs 152/2006 secondo il quale l’autore della condotta di abbandono incontrollato di rifiuti “è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”. Infatti egli non è l’autore della condotta di abbandono incontrollato di rifiuti nè titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area.
Come chiarito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2014 n. 3274) si pone la questione di stabilire se il Fallimento possa essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita.
Orbene, il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.
La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (art. 42 R.D. n. 267/1942: “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”; art. 44: “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”).
Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: “Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite”).
Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926).
Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 192, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa (TAR Lombardia, Milano, 15/02/2017 n. 520).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 911 del 27 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.