Secondo il Consiglio di Stato: «7. Il sistema della pianificazione territoriale urbanistica successivo alla riforma costituzionale del 2001, caratterizzato dalle leggi regionali c.d. di “seconda generazione” si presenta in maniera ben diversa da quello riveniente dalla legge urbanistica del 1942. Esso risponde, cioè, ad una visione meno “gerarchica” e più armonica, che vede nella leale collaborazione, oltre che nella sussidiarietà, i teorici principi ispiratori delle scelte. La pianificazione sovracomunale, affermatasi sia sul livello regionale sia provinciale, si connota pertanto per una natura “mista” relativamente a contenuti -prescrittivi, di indirizzo e di direttiva- e ad efficacia, nonché per la flessibilità nei rapporti con gli strumenti sottordinati. La pianificazione comunale a sua volta non si esaurisce più nel solo tradizionale piano regolatore generale, ma presenta un’articolazione in atti o parti tendenzialmente distinti tra il profilo strutturale e quello operativo, e si connota per l’intersecarsi di disposizioni volte ad una programmazione generale che abbia come obiettivo lo sviluppo socio-economico dell’intero contesto. L’atto rimesso alla competenza dell’Ente sovraordinato (tipicamente, la Provincia), in quanto rivolto ad un ambito territoriale più ampio, non può che essere destinato ad indirizzare per linee generali le scelte degli enti territoriali, nel pieno rispetto dell’allocazione delle stesse, secondo il richiamato principio di sussidiarietà, al livello di governo più vicino al contesto cui si riferisce, rispondendo all’obiettivo di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e insieme assicurare il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione amministrativa. Nell’impostazione articolata e flessibile del sistema della pianificazione territoriale, cioè, tipicamente strutturata su vari livelli, esso si colloca “a monte”, quale inquadramento degli elementi strutturali, delle reti e delle strategie, dalle quali è evidente che il Comune non può prescindere».

Aggiunge quindi il Consiglio di Stato che «In sintesi, il fatto che resti attuale, anche dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, l’affermazione in forza della quale il governo del territorio è «articolato su una pluralità di poteri, di sicura valenza politica, insediati nelle rispettive comunità di riferimento e caratterizzati, peraltro, dal principio di sussidiarietà (art. 4 c. 3, lettera a della legge 15 marzo 1997, n. 59) che stabilisce la sostanziale riconducibilità dell’intero complesso di scelte e di compiti relativi a una dimensione territoriale all’ente esponenziale della relativa comunità» (cfr. Cons. St., IV, 20 marzo 2000 n. 1493), implica che la pluralità di poteri insediati presso i diversi, ma concorrenti livelli di governo coinvolti presuppone la necessità che i Comuni interessati facciano valere le esigenze di gestione del proprio territorio. L’affermata sovraordinazione tra due discipline, pertanto, non può risolversi … nella sostanziale neutralizzazione dei contenuti degli atti comunali, stante che la illegittimità … porta alla caducazione dell’atto solo a seguito di azione demolitoria».

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 6263 del 15 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.