La Corte di Cassazione, in tema di indebito arricchimento della P.A. in materia di appalti pubblici, precisa che:

  • il tema del riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, ma l'ente pubblico può eccepire e provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole e che si trattò, quindi, di "arricchimento imposto";
  • le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell'articolazione interna della pubblica amministrazione possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell'ambito del principio di diritto comune dell'arricchimento imposto, in ragione del quale l'indennizzo non è dovuto se l'arricchito ha rifiutato l'arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché inconsapevole dell’eventum utilitatis;
  • a detta soluzione deve ricondursi l'ipotesi delle opere aggiuntive eseguite dall'appaltatore in assenza di qualsiasi valida richiesta o autorizzazione e, quindi, in violazione di uno specifico precetto normativo;
  • all'appaltatore che abbia posto in essere varianti arbitrarie, l'indennizzo ex art. 2041 cod. civ. non compete non già per l'inammissibilità dell'actio de in rem verso nei confronti della Pubblica amministrazione, ma per l'assorbente ragione della vigenza di un precetto legislativo che lo esclude in modo espresso.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima, n. 15937 del 27 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.