Il TAR Milano, con riferimento al dovere di formulazione distinta e specifica dei motivi, imposta dall’art. 40 c.p.a., ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione “dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. In argomento il TAR richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale lo scopo dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. “è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine alla prassi dei ricorsi non strutturati secondo una esatta suddivisione tra ‘fatto’ e ‘motivi’, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (Cons. Stato, V, 31 ottobre 2016, n. 4561; 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 4 gennaio 2016, n. 8). Si è altresì rilevato che l’art. 40, comma 1, lett. d), Cod. proc. amm., non prescrive che il ricorso sia necessariamente articolato in una parte ‘in fatto’ e in una ‘in diritto’, graficamente distinte, sicché, per quanto tale distinzione sia preferibile e auspicabile per una maggiore chiarezza espositiva dell’atto, l’articolazione di un unico motivo, senza distinzione tra ‘fatto’ e ‘diritto’, non determina la ‘indistinzione’ dell’unico motivo, inteso e proposto quale continuum nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio, anche di appello, purché esso soddisfi, ovviamente, il requisito della specificità (Cons. Stato, III, 10 aprile 2019, n. 2369; 21 luglio 2017, n. 3621)” (Consiglio di Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2343).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2410 del 3 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.