Il TAR Milano in relazione alla domanda di risarcimento del danno da ritardo e alla dedotta carenza di correttezza nell’operato del Comune osserva quanto segue:
<<12.3. Costituisce un’acquisizione dottrinale consolidata l’idea che la buona fede costituisce una norma verticale integrativa di ogni settore nell’ordinamento ivi compreso il diritto pubblico in cui la regola trova una pluralità di ipotesi applicative pur in assenza di specifiche previsioni. Si consideri, ad esempio, l’esperienza del diritto costituzionale ove il principio insorge, pur non senza incertezze ricostruttive, a parametro di legittimità della stessa attività legislativa assumendo, quindi, le vesti di principio costituzionale non scritto. Di principio non scritto che governa l’operato della Pubblica Amministrazione discorre anche parte della dottrina amministrativistica riconducendolo i vari istituti coinvolti nella ricostruzione del sistema ad epifanie normative di tale principio. Si è, quindi, anche nel settore in esame dinanzi ad una norma verticale integrativa dell’ordinamento che, come tale, permea ex se il rapporto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. Un rapporto che, al pari di quanto predicato per l’obbligazione, può definirsi complesso non esaurendosi, dal lato pubblico, in meri obblighi di prestazione (per mutuare la nomenclatura civilistica) ma connotandosi anche di precipui obblighi di protezione (i c.d. “Schuldpflichten” della dottrina tedesca), muniti di autonomia rispetto alla prestazione. Pertanto, dal canone di buona fede che governa l’azione amministrativa insorgono autonomi obblighi di protezione ed ossia obblighi di comportamento secondo lealtà e correttezza a cui fa da contraltare una posizione soggettiva che, mutuando l’espressione invalsa – in particolare – negli ordinamenti di common law, può definirsi di immunità. Agli obblighi e ai limiti in funzione protettiva si correla, infatti, l’immunità dell'altra parte rispetto alle possibili contrazioni o lesioni scorrette della propria sfera giuridica. Non sembra doversi, quindi, postulare la sussistenza di un generico contatto sociale qualificato tra il privato e la Pubblica Amministrazione al pari di quanto affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sezioni unite, 28 aprile 2020, n. 8236), ben potendosi cogliere, dalla portata precettiva e dalla “vis espansiva” del canone di buona fede, i corollari logico-giuridici che ne discendono anche in ordine alla precipua natura del rapporto che si instaura tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione nel momento del contatto tra la situazione soggettiva del primo ed il potere di incidenza su questa che l’ordinamento conferisce alla seconda.
12.4. All’interno della cornice tracciata devono inquadrarsi le domande svolte da parte ricorrente. Si consideri, in primo luogo, la domanda di risarcimento del danno asseritamente derivante dal ritardo nell’adozione del provvedimento finale. Come affermato dalla giurisprudenza, simile danno non è la conseguenza del ritardo ex se ma si correla alla condotta inerte o tardiva dell'Amministrazione e causa del pregiudizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028). Inoltre, il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest'ultimo deve fornire la prova sia sull'an che sul quantum (Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all'adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell'amministrazione. In particolare, “l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)” (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Sez. I, 16 maggio 2016, n. 139).
12.5. Tuttavia, simile danno non può ritenersi in re ipsa. Infatti, il concetto di danno in re ipsa (che postula la coincidenza tra danno risarcibile ed evento dannoso alla quale, in passato, si fa ricorso per giustificare la risarcibilità del danno biologico; cfr.: Corte Costituzionale, sentenza 14 luglio 1986, n. 184) risulta antitetico rispetto al sistema di responsabilità civile, fondato, all'opposto, “sulla netta distinzione, ex articoli 1223 e 2056 c.c., tra fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, produttivo del danno e il danno stesso, da identificare nelle conseguenze pregiudizievoli di quel fatto, nella loro duplice possibile fenomenologia di danno emergente (danno interno, che incide sul patrimonio già esistente del soggetto) e di lucro cessante (che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna), come tale apprezzabile sia in ambito patrimoniale che non patrimoniale” (Cassazione civile, sez. III, 14 dicembre 2018, n. 31233; Cassazione civile, sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901).
12.6. Del resto, le Sezioni unite della Corte di Cassazione evidenziano con chiarezza (seppur in riferimento al danno non patrimoniale ma con considerazioni che prescindono dalla natura di tale danno e dalla ragioni di antigiuridicità del fatto), come il sistema fornisca una struttura dell’illecito “articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza)”, essendo l'evento dannoso rappresentato dalla “lesione dell'interesse protetto”. Pertanto quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, “che deve essere allegato e provato”; non è, quindi, accettabile la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, ovvero come danno-evento, e parimenti da disattendere è la tesi che colloca il danno appunto in re ipsa, perché così “snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo” (Cassazione, sezioni unite, 11 novembre 2008 n. 26972).
12.7. Pertanto, il danno da ritardo nella conclusione del procedimento potrà ristorarsi solo se puntualmente provato dal danneggiato.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 651 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.