Secondo il Consiglio di Stato, l’utilizzazione per la firma digitale di un formato diverso da quello prescritto dalle norme tecniche costituisce difformità che, in applicazione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., non si traduce in nullità, avendo l’atto raggiunto il suo scopo; infatti, il rilievo di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non è volto a tutelare l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma a garantire solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della rilevata violazione

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 744 del 5 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.