Il TAR Milano esamina un ricorso di un titolare di uno studio professionale, nel quale esercita l’attività di -OMISSIS-, contro gli inviti della ATS di -OMISSIS- a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria nonché il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione delle libertà di autodeterminazione e di esercizio dell’attività professionale.

Premesso che lo scrutinio delle censure proposte è riferito alla disciplina legislativa contenuta nel decreto legge n. 44 del 2021, nel testo vigente alla data di adozione degli atti impugnati, nella sentenza si mette in risalto, tra l'altro, quanto segue.
<<5.1. Il Collegio ritiene insussistenti i presupposti dell’obbligo di disapplicazione della norma interna confliggente con il diritto euro-unitario, in particolare con l’articolo 3, comma 2, CDFUE, nella parte in cui prevede che, nell’ambito della medicina e della biologia, devono essere rispettati <<il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge>>, e con l’articolo 52, comma 2, CDFUE, nella parte in cui prevede che le eventuali limitazioni all’integrità fisica e psichica degli individui devono corrispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, sempre che venga rispettato il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà tutelati dalla Carta.
5.3. Ai fini della sollevazione della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76, per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, il Collegio non ravvisa la violazione della norma interposta.
La Corte costituzionale ha, d’altro canto, già affermato che la necessità di ricorrere ad una vaccinazione obbligatoria non richiede, quale presupposto indefettibile, l’accertamento di tutte le complicanze prevedibili (Corte costituzionale, 23 giugno 1994, n. 258).
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6.2. La circostanza che, in assenza di una fase di sperimentazione tradizionale, non è possibile ad oggi individuare, con un elevato grado di verosimiglianza, quali saranno gli effetti avversi del vaccino a medio e lungo termine non è rilevante neppure ai fini della asserita violazione della libertà di autodeterminazione del destinatario dell’obbligo vaccinale.
La Corte costituzionale ha affermato la legittimità dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio, se questo apporta benefici non solo alla salute dell’obbligato ma anche alla salute collettiva e se le eventuali conseguenze negative per la salute dell’obbligato si assestino nei limiti della normale tollerabilità dei rischi avversi, i quali normalmente conseguono alla somministrazione di tutti i trattamenti sanitari (Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5; 14 dicembre 2017, n. 268).
Anche il Consiglio di Stato ha affermato la legittimità dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio, in applicazione del principio di solidarietà, a tutela degli individui più fragili (Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere del 26 settembre 2017, n. 2065; Sezione III, sentenza n. 7045, cit.).
6.3. L’articolo 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, qualifica il consenso libero ed informato della persona interessata quale presupposto necessario di ciascun trattamento sanitario <<tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge>>.
Il Collegio ritiene che, alla luce della giurisprudenza costituzionale sopra citata, l’indifferibile esigenza di affrontare l’emergenza sanitaria in atto e di predisporre idonei ed efficaci strumenti di contenimento dei contagi da Sars-Cov-2 nonché la necessità di consentire a tutti gli individui l’accesso alle cure sanitarie in condizioni di sicurezza e, in applicazione del principio solidaristico, di tutelare la salute individuale dei soggetti fragili, per età o per pregresse patologie, giustifichino il temporaneo e tollerabile sacrificio della piena autonomia decisionale degli esercenti le professioni sanitarie, in ordine alla somministrazione del vaccino.
6.4. All’affidamento che i pazienti ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di sicurezza, che garantiscano, oltre alla sicurezza intrinseca della somministrazione della cura, anche la sicurezza dei luoghi nei quali la stessa viene somministrata, consegue necessariamente l’adozione di tutte le precauzioni possibili per evitare che essi incorrano in concreti rischi di contagio.
Esigere che la somministrazione del vaccino al personale sanitario sia condizionata alla manifestazione di un consenso libero ed informato non consentirebbe pertanto di perseguire efficacemente ed in tempi ristretti l’obiettivo di ridurre la diffusività del contagio e di decongestionare il sistema sanitario nazionale.
La previsione di un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, esteso a tutti gli operatori del settore sanitario e non solo a quelli preposti alle prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche, si rivela pertanto coerente con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono, a prescindere dalle modalità di accesso alle prestazioni sanitarie, nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza, proprio negli ambienti sanitari che, secondo l’id quod plerumque accidit, comportano un maggior rischio di trasmissione virale.
Il personale sanitario, in ragione del contatto diretto con i pazienti, è inoltre investito di una posizione di garanzia per il bene dell’incolumità fisica degli stessi, la quale è idonea a giustificare, come già affermato al paragrafo 5.3., l’imposizione di un obbligo vaccinale settoriale.>>
Esaminando altri motivi del ricorso il il TAR nella sentenza osserva, tra l'altro, quanto segue:
<<9.5. Il Collegio ritiene pertanto che l’unica interpretazione della norma che consenta di perseguire il fine primario della tutela precauzionale della salute collettiva e della sicurezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in una situazione emergenziale, senza comprimere in modo irragionevole - sia pure temporaneamente - l’interesse del sanitario a svolgere un’attività lavorativa, sia quella di limitare, come espressamente enunciato dall’articolo 4, comma 6, gli effetti dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale allo svolgimento delle prestazioni e delle mansioni che comportano contatti interpersonali e di quelle che, pur non svolgendosi mediante un contatto interpersonale, comportino un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.
La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati>>.
9.7. Il Collegio non ignora che un interesse di notevole rilievo, coinvolto nel procedimento disciplinato dall’articolo 4, sia anche quello dei pazienti di essere informati dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale da parte dei professionisti ai quali si rivolgono, specialmente ove la domanda di prestazioni sanitarie avvenga per scelta diretta del professionista e non tramite il filtro dell’accesso ad una struttura sanitaria - pubblica o privata - che si faccia garante delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il diritto dei pazienti ad essere informati è infatti un corollario del diritto alla sicurezza delle cure, che l’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24, individua come parte costitutiva del diritto alla salute.
Orbene, se è vero che la sospensione dall’albo professionale è idonea a realizzare la funzione notiziale della inidoneità temporanea del sanitario a svolgere le prestazioni professionali, tale funzione ben può essere garantita mediante specifiche e adeguate forme di pubblicità, la cui individuazione rientra nella competenza degli Ordini professionali.
9.8. Il nono motivo del ricorso introduttivo nonché il nono ed il decimo dei motivi aggiunti devono dunque essere accolti e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto di accertamento adottato dall’ATS di -OMISSIS-, nella parte in cui estende la sospensione dal diritto di svolgere le prestazioni professionali anche a quelle prestazioni che, per loro natura o per le modalità di svolgimento, non implicano contatti interpersonali o non sono rischiose per la diffusione del contagio da Sars-CoV-2.>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 109 del 17 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.