Il TAR Milano respinge la tesi patrocinata dalla difesa delle parti ricorrenti secondo la quale il contributo di costruzione da prendere a riferimento per i permessi di costruire in sanatoria – e successivamente da raddoppiare – è quello la cui determinazione, nel silenzio della normativa di settore, si ottiene applicando tutti i benefici e le esenzioni che verrebbero tenuti in considerazione nel caso di rilascio di un permesso di costruire ordinario e non in sanatoria.
Secondo il TAR:
<<Tale prospettazione non appare condivisibile, atteso che il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico – quale diretta applicazione del fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 10 aprile 2020) – e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; IV, 7 novembre 2017, n. 5133). Difatti, «il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 3 novembre 2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio» (Consiglio di Stato, IV, 30 maggio 2017, n. 2567).
La giurisprudenza ha affermato che, «attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore» (T.A.R. Veneto, II, 26 novembre 2019, n. 1281; T.A.R. Marche, I, 30 dicembre 2017, n. 954).
Ciò risponde pienamente al principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale «nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», cui consegue una rigidità delle previsioni legislative assolutamente non derogabile in sede interpretativa (sull’applicabilità del principio alla materia del contributo di costruzione, cfr. Consiglio di Stato, IV, 23 dicembre 2019, n. 8703; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 maggio 2020, n. 828).
Quindi, in ragione delle suesposte coordinate ermeneutiche non possono individuarsi esenzioni in ordine al pagamento del contributo di costruzione diverse da quelle espressamente previste dalla legge, come pure non possono prevedersi riduzioni del suo importo non chiaramente individuate dal legislatore.
2.2. Inoltre, lo stesso art. 36, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, prevede che “in caso di gratuità a norma di legge, [il contributo è individuato] in misura pari a quella prevista dall’articolo 16”, con ciò volendo significare che la base di riferimento per il calcolo della sanzione deve essere quella del contributo ordinario e nella misura integrale indicata dalla legge, ossia dal richiamato art. 16 del medesimo Decreto, mentre non possono essere considerate le esenzioni o riduzioni previste dal successivo art. 17 (tra le quali rientra anche la riduzione per l’efficientamento energetico: cfr. comma 4-bis), non oggetto di esplicito richiamo nel citato art. 36.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2644 del 28 novembre 2022.