Osserva il TAR Milano che la qualificazione giuridica dell’intervento non sempre è decisiva per stabilire quando si imponga il rispetto delle norme sulle distanze, in quanto ciò che appare rilevante è piuttosto il grado di innovatività della nuova opera rispetto alla precedente, dovendo ammettersi una deroga allorquando si tratti di interventi che comportino il recupero di un bene esistente già collocato a distanza inferiore a quella legale; soltanto se l’intervento, in ragione dell’entità delle modifiche apportate al fabbricato, renda l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente, è necessario il rispetto delle distanze di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, trattandosi di prescrizioni volte alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, che potrebbero venire irrimediabilmente compromesse dalla creazione di malsane intercapedini.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1243 del 10 maggio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento, il Consiglio di Stato ha recentemente osservato che la disposizione dell’articolo 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi) costruiti per la prima volta e non gli edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse.
Secondo il Consiglio di Stato, a sostegno di tale affermazione va considerato che:
- la disposizione di cui all’articolo 41 quinquies della legge n. 1150 del 1942 impone il rispetto dei c.d. “standard urbanistici” ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, così significandosi che essi sono previsti dalla norma primaria per la nuova pianificazione urbanistica e non per intervenire sull’esistente;
- il discrimen in tema di distanze (con l’introduzione del limite inderogabile di 10 mt.), nella ratio dell’articolo 9, non è dato dalla differenza tra zona A e altre zone, quanto tra costruzione del tutto nuova (ordinariamente non ipotizzabile in zona A) e ricostruzione di un immobile preesistente; d’altra parte, a voler applicare il limite inderogabile di distanza ad un immobile prodotto dalla ricostruzione di un altro preesistente, si otterrebbe che, da un lato, l’immobile de quo non potrebbe essere demolito e ricostruito se non arretrando rispetto all’allineamento preesistente (con conseguente possibile perdita di volume e realizzandosi, quindi, un improprio effetto espropriativo del d.m. n. 1444/1968) e, dall’altro, che esso non potrebbe in ogni caso beneficiare della deroga di cui all’ultimo comma del citato articolo 9, allorquando la demolizione e ricostruzione (ancorchè per un solo fabbricato) non fosse prevista nell’ambito di uno strumento urbanistico attuativo con dettaglio planovolumetrico.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 2448 del 23 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.