Il Consiglio di Stato, pur dichiarando inammissibile il ricorso di primo grado, condanna al pagamento delle spese di causa l’amministrazione resistente - considerandola soccombente anche i fini del pagamento del contributo unificato - che ha violato il canone di lealtà processuale sancito dall’art. 88, comma 1, c.p.c., sub specie di inosservanza del divieto di non ostacolare la sollecita definizione del giudizio, consentendo che la causa si dilungasse su due gradi di giudizio e per ben dieci anni; da ciò discende, per il Consiglio di Stato, l’applicazione della norma sancita dall’art. 92, comma 1, c.p.c., secondo cui il giudice può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88 c.p.c., essa ha causato all’altra parte (nella fattispecie l’amministrazione resistente non solo aveva ignorato, sia nel corso del contraddittorio procedimentale con il ricorrente, sia nell’ambito delle difese spese in prime cure, il piano particellare di esproprio definitivo da essa approvato, da cui emergeva che l’area del ricorrente non era in effetti soggetta ad esproprio, ma lo aveva prodotto in giudizio soltanto in grado di appello concentrando su di esso le proprie difese soltanto in sede di memorie conclusionali).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 2142 del 9 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.