Il TAR Brescia ribadisce che <<coerentemente al principio di matrice eurounitaria per cui chi inquina paga, «il soggetto tenuto ad effettuare interventi di bonifica ambientale (e connesse attività preparatorie) è il responsabile dell'inquinamento, non la proprietà dell’area, che non può essere considerata come destinataria di una fattispecie di responsabilità oggettiva» (così, T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. III, sentenza n. 1820/2020; nello steso senso, ex plurimis, T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I quater, sentenza n. 4590/2020; C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 5447/2020).
Sul proprietario incolpevole incombe solamente una responsabilità patrimoniale, nei limiti del valore del fondo dopo gli interventi di ripristino ambientale, per il caso in cui non sia possibile individuare il responsabile dell’inquinamento ovvero non sia possibile ottenere da questi l’adempimento degli obblighi ripristinatori su di esso incombenti (cfr., C.d.S., Ad. pl., ordinanza n. 21/2013; C.d.S., Sez. V, sentenza n. 5604/2018).
Spetta alla Provincia (ovvero al Comune sotto la vigenza del D.Lgs. n. 22/1997), anche avvalendosi di elementi presuntivi, secondo il canone del “più probabile che non” che connota l’onere della prova nel processo amministrativo, (cfr. T.A.R. Abruzzo – Pescara, sentenza n. 204/2014), individuare il responsabile dell’inquinamento. Le esigenze di effettività della tutela ambientale consentono, in considerazione della improbabilità di cogliere l’autore sul fatto, di individuare il responsabile, tanto a titolo commissivo quanto a titolo omissivo, dell’inquinamento, sulla scorta di dati fattuali che rendano verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit che un dato inquinamento sia stato causato da un determinato soggetto (cfr., C.d.S., Sez. V, sentenza n. 1489/2016).
La competenza della Provincia all’individuazione del responsabile dell’inquinamento, peraltro, permane immutata anche nel caso in cui l’area contaminata rientri nel perimetro di un SIN: l’articolo 252 D.Lgs. n. 152/2006, infatti, pone espressamente in capo al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare la sola procedura di bonifica e le norme derogatorie sono di stretta interpretazione (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 2195/2020)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 47 del 15 gennaio 2021.
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Il TAR Milano precisa che l’omessa notifica non resta sanata dalla spontanea costituzione del controinteressato effettuata al fine di contestare, in via principale, l’omessa notificazione ad almeno uno dei controinteressati; resta fermo, inoltre, che la sanatoria per spontanea costituzione si configura in presenza di una notifica nulla, perché viziata, ma non in presenza di una notificazione radicalmente mancante, ex art. 44, comma 3, cpa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 199 del 21 gennaio 2021.
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Il TAR Milano,
- dopo aver premesso che: «In termini generali, va ricordato che la “piena conoscenza” del provvedimento come momento dal quale fare decorrere il termine di cui all’art. 41, comma 2, c.p.a., non deve essere intesa quale sua “conoscenza piena ed integrale”; è infatti sufficiente, allo scopo, la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere riconoscibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso. La norma intende per “piena conoscenza”, quindi, la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività. Tale consapevolezza determina la sussistenza di una condizione dell’azione, l’interesse al ricorso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 9 aprile 2020, n. 2328; id., Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075)».
- precisa che: «Con specifico riferimento ai titoli edilizi, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione da parte di terzi, l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che sia in contestazione l’illegittimità del titolo per il solo fatto che esso sia stato rilasciato ovvero che si contesti il contenuto specifico del permesso. Per orientamento giurisprudenziale consolidato, a cui questo Collegio aderisce, il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso nell’ambito dell’attività edilizia, è stato dunque ravvisato: a) nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; b) ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) della realizzazione, nel loro completamento o grado di sviluppo tale da renderne palese la dimensione, consistenza e finalità (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 9 aprile 2020, n. 2328; id., Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075; id., 7 dicembre 2017, n. 5754; id., Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830; id., 18 aprile 2012, n. 2209; id., Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107).
Resta comunque ferma la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 19 del 5 gennaio 2021.
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Il TAR Brescia precisa che «Solo in presenza di un progetto definitivo o esecutivo che ne definisca ogni aspetto tecnico e che sia corredato dell’impegno di spesa necessario all’esecuzione dell’opera pubblica può ritenersi sussistere il presupposto necessario per poter dichiarare la pubblica utilità dell’opera stessa e, dunque, procedere all’espropriazione delle aree necessarie alla sua realizzazione. Non è, dunque, legittima l’inclusione, tra le aree da acquisire, di quelle per cui non può ancora ritenersi intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, non avendo formato oggetto di un progetto definitivo approvato le opere che andranno ad insistere su di esse».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 2 del 4 gennaio 2021.
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Il TAR Milano con riferimento a raggruppamento di tipo orizzontale osserva:
<<Va premesso che i requisiti di qualificazione attengono alle caratteristiche soggettive del concorrente che aspira all’aggiudicazione del lavoro, della fornitura o del servizio in gara e riguardano un aspetto essenziale per la valutazione delle potenzialità o della capacità dell’aspirante a realizzare quanto poi eventualmente aggiudicatogli, sicché è necessario il possesso di requisiti di qualificazione adeguati al tipo di attività che ciascun operatore dovrà svolgere (per tali considerazioni, anche in relazione ad appalti di servizi e forniture nella vigenza del d.l.vo 2016 n. 50, si vedano, tra le altre, Tar Piemonte, sez. I, 10 marzo 2017, n. 347; T.A.R. Emilia Romagna, sez. I, 6 marzo 2018, n. 206, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 22 gennaio 2018 n. 157; Tar Piemonte, sez. I, 6 giugno 2018, n. 704).
Omissis che ha partecipato alla gara in qualità di mandante del RTI aggiudicatario, raggruppamento di tipo orizzontale, non possiede alcun fatturato specifico relativo ai servizi analoghi oggetto di gara e tale dato emerge per tabulas dalla documentazione di gara.
Ne deriva che Omissis non possiede il requisito di cui si tratta neppure per la porzione di attività che è tenuta ad eseguire nell’ambito del RTI, che è di tipo orizzontale, sicché ciascuno degli operatori risponde verso la stazione appaltante per la parte di servizio che è tenuto ad eseguire.
Sul punto, va ribadito che è di portata generale il principio per cui il sistema dei requisiti di qualificazione ha la funzione di garanzia di serietà ed affidabilità tecnica ed imprenditoriale dell’impresa, sicché esso non può che riferirsi ad ogni singola impresa, ancorché associata in un raggruppamento.
Insomma, la funzione cui sono preordinati i requisiti di qualificazione ne esclude, per ragioni di tutela dell’interesse pubblico, una loro natura meramente “formale”, risolvendosi essi in requisiti di affidabilità professionale del potenziale contraente, la cui natura “sostanziale” è del tutto evidente, sicché non è possibile riferire un requisito, complessivamente, all’intero raggruppamento, sopperendo alle eventuali carenze di una impresa associata con la sovrabbondanza di requisito eventualmente presente in capo ad altra impresa associata (su tali principi di portata generale si consideri Consiglio di Stato, Ad. Pl., 27 marzo 2019, n. 6).
Tale assetto è coerente, come già accennato, con il carattere orizzontale del RTI e con la disciplina ad esso riferibile.
Invero, come evidenziato dalla giurisprudenza, l’art. 48 del d.l.vo n. 50/2016, pone due principi per i RTI orizzontali, con il primo sancisce la ripartizione delle parti del servizio destinate ad essere eseguite dai singoli operatori economici riuniti; con il secondo stabilisce la responsabilità solidale, tendenzialmente estesa a tutti i partecipanti al raggruppamento.
Entrambe le previsioni si giustificano in quanto ad esse corrisponda un’assunzione di impegno “responsabile”, cioè supportato da una reale corrispondenza tra attività da svolgere e competenze per farvi fronte. “Se così non fosse, la contestuale richiesta di specifici requisiti di capacità e di una puntuale indicazione delle quote imputabili ai singoli operatori riuniti, risulterebbe priva di significato, non ravvisandosi più alcun plausibile interesse della stazione appaltante ad imporre una suddivisione della parti del servizio e ad esigerne una indicazione vincolante da parte dei concorrenti in gara” (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 10 marzo 2017, n. 347)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 193 del 21 gennaio 2021.


Secondo il TAR Milano: «La c.d. doppia conformità richiesta dalla previsione di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 ha riguardo ad aspetti edilizi e non involge il tema paesaggistico che ... è oggetto, in caso di mancanza o difformità, della valutazione prevista dagli artt. 167 e 181 del D.Lgs. n. 42/2004. Laddove tale valutazione abbia esito positivo, la successiva e diversa istanza per l’accertamento in conformità non potrà, certamente, rigettarsi solo in ragione della mancanza della preventiva valutazione paesaggistica. Il carattere di autonomia della valutazione e dei relativi provvedimenti non consente, quindi, di assegnare una simile portata preclusiva ad un aspetto (quello paesaggistico) diverso dalla valutazione meramente edilizia prevista da tale disposizione. Del resto, già nella vigenza della previsione di cui all’art. 13 della L. n. 47/1985 (antesignana dell’attuale sistema normativo) si afferma l’illegittimità di un diniego di sanatoria fondato sulla mera collocazione dell’immobile in area vincolata evidenziando la sola necessità di ottenere la valutazione paesaggistica da parte dell’Ente competente (T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, Sez. II-bis, 5.9.2007, n. 8580). Ove tale valutazione sia, come nel caso di specie, espressa e sia quindi affermata la compatibilità paesaggistica dell’intervento in quanto rientrante nelle ristrette maglie previste dal d.lgs. 42/2004, la diversa valutazione edilizia non può negarsi affermando, a fini edilizi, la non conformità paesaggistica che proprio il procedimento di sanatoria mira a conferire».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 28 del 5 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano ricorda che secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale l'adozione del provvedimento di acquisizione sanante di cui all'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 è riservata alla competenza del Consiglio comunale poiché riconducibile al novero dei provvedimenti di acquisizione individuato dall'art. 42, comma 2, lett. l), del d.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2018, n. 2810; T.A.R. Toscana, sez. I, 15 maggio 2020, n. 572; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 6 dicembre 2019, n. 698); ne consegue l’illegittimità dell’atto di acquisizione sanante emesso dal dirigente e non dal Consiglio comunale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 68 del 11 gennaio 2021.
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Il TAR Milano ritiene fondate delle censure contenute in un ricorso contro un ordine di demolizione nella parte in cui si osserva come l’Amministrazione eserciti un potere repressivo in relazione ad un organismo edilizio non ancora terminato e senza, quindi, un’adeguata istruttoria sul rapporto tra lavori assentiti e lavori realizzati
Osserva al riguardo il TAR: «le censure sono, comunque, certamente fondate nella parte in cui si stigmatizza proprio la tempistica dell’intervento comunale e, di conseguenza, l’erroneità di un accertamento relativo non ad un’opera ultimata ma ad un’opera in corso di costruzione. L’eccesso nell’esercizio del potere di repressione si palesa nella irragionevolezza ed illogicità di un’azione amministrativa che conduce a ritenere abusive opere non ancora ultimate e che, quindi, ben avrebbero potuto conformarsi al titolo nella fase di esecuzione/ultimazione dell’intervento. Ciò vale, in particolare, per quello che costituisce, certamente, l’abuso maggiormente rilevante e cioè la realizzazione di volumi ampiamente eccedenti quanto assentito. Ma l’accertamento del volume effettivamente realizzato e la comparazione con quanto assentito non può che effettuarsi ad intervento ultimato e non in una fase di cantiere ove, specie con riferimento alle altezze dei piani, non si può procedere ad una effettiva e reale valutazione. Stesse considerazioni valgono per le ulteriori irregolarità riscontrate che sono accertate in una fase ancora di cantiere e che, quindi, non hanno quelle caratteristiche di definitività tali da poter ritenere integrata la difformità tra quanto assentito e quanto realizzato. Né l’azione comunale può giustificarsi evocando una difformità di tipo strutturale che, come tale, lascerebbe intravvedere, al momento di adozione dell’ordinanza, la certezza e definitività degli abusi. Infatti, tale difformità strutturale non vale certamente per gli abusi di maggior rilievo nell’economia dell’ordinanza e cioè per i maggior volumi che dipendono dalle altezze e non da una estensione della superficie. Inoltre, un simile criterio non è, comunque, idoneo a conferire certezza all’accertamento posto a fondamento del provvedimento repressivo. Infatti, la difformità tra titolo e lavori eseguiti non assume, comunque, quel carattere di necessaria definitività potendosi operare un adeguamento fattuale o una modificazione del titolo con variante essenziale che legittimi l’intervento».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 22 del 5 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano:
- dopo aver preso atto che il disciplinare di gara stabiliva che “Il numero massimo di pagine utilizzabile per l’elaborazione dell’offerta tecnica è di complessive 10 pagine (pari a 20 facciate), con interlinea almeno ‘1.5 righe’ e dimensioni carattere almeno “12 Times New Roman”. Le pagine eccedenti non verranno prese in considerazione dalla Commissione Giudicatrice…” e che il controinteressato, nella redazione dell’offerta, ha utilizzato il carattere “12 Times New Roman”, ma ha comunque ridotto la spaziatura del carattere in maniera tale da comprimere notevolmente il testo in senso orizzontale, in guisa tale da “raddoppiare” sostanzialmente il contenuto della propria offerta tecnica;
- precisa che le suindicate prescrizioni della lex specialis, in ossequio ai principi di certezza e di par condicio, non possono che essere interpretate nel senso di consentire l’utilizzo del carattere “12 Times New Roman” soltanto nelle dimensioni standard, senza possibilità di alterazioni del carattere stesso attraverso il ricorso a funzioni riduttive della spaziatura, come quella adoperata dalla controinteressata, altrimenti dandosi la stura ad applicazioni della legge di gara suscettibili di vanificarne la ratio, ispirata ad evidenti esigenze di sintesi, con inevitabile violazione dei surricordati principi di certezza e par condicio;
- aggiunge che, in altri termini, una parte consistente dell’offerta tecnica in questione, di fatto, eccede i limiti dimensionali stabiliti dalla legge di gara, e in quest’ottica la stazione appaltante, anziché valutare l’offerta de qua nella sua interezza avrebbe dovuto prendere in considerazione soltanto la parte di essa che, nel rispetto dei requisiti stabiliti dal disciplinare (ossia senza operare alcuna riduzione della spaziatura del carattere rispetto a quella standard), poteva trovare spazio nel numero massimo di 10 pagine (pari a 20 facciate);
- conclude, pertanto, che il motivo di censura va accolto e da ciò discende l’obbligo per la stazione appaltante di operare una nuova valutazione dell’offerta tecnica del controinteressato, tenendo conto dei rilievi sopra svolti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 9 del 4 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che «la giurisprudenza (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. II, 3 dicembre 2019, n. 2566) rileva che l’istituto del preavviso di rigetto di cui al succitato art. 10 bis si applica anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve essere ritenuto illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza presentata dall’interessato che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento, in quanto in mancanza di tale preavviso al soggetto interessato risulta preclusa la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2615; id., 1 marzo 2018, n. 1269; T.A.R. per la Lombardia - sede di Brescia, sez. II, 4 maggio 2019, n. 434TAR Sardegna, sez. II, 20 settembre 2018, n. 797; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 8 settembre 2017, n. 2137).
Insomma, l’istituto del preavviso di rigetto, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione di cui al citato art. 10 bis in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e dunque della possibilità di uno apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 gennaio 2019, n. 484; T.A.R. Lombardia, sez. II, 22 gennaio 2019, n. 123)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2649 del 30 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che «In termini generale va poi osservato che il Piano di classificazione acustica ha la funzione di procedere a ricognizione del territorio comunale al fine di individuare, tenendo conto delle destinazioni d'uso delle varie zone, i "valori di qualità" di inquinamento acustico da applicare a ciascuna di esse: ciò al duplice fine di contenere il livello di emissioni sonore nei limiti stabiliti in considerazione della concreta destinazione delle varie porzioni di territorio, e di fornire un criterio utile a verificare le attività eventualmente autorizzabili in ciascuna di esse (TAR Brescia, Sez. I, 15 novembre 2012 n. 1792).
La pianificazione acustica non si esaurisce in un'attività di programmazione dell'assetto territoriale in senso stretto, essendo piuttosto diretta ad orientare lo sviluppo non dal punto di vista urbanistico-edilizio, che pure costituisce un aspetto connesso e correlato, ma sotto il particolare profilo della tutela ambientale e della salute umana, attraverso la localizzazione delle attività antropiche in relazione alla loro rumorosità.
La normativa di riferimento valorizza il profilo funzionale, inteso ad assicurare la vivibilità dei luoghi preservandoli da fonti di inquinamento acustico: l'impianto normativo dunque assume ad indice quantitativo l'assetto urbanistico attuale, e lo integra con quello qualitativo della fruizione collettiva dei luoghi per il miglioramento delle condizioni di vita. La stessa L.R. 13/2001, all'art. 4, stabilisce che ogni Comune assicura il "coordinamento" tra la classificazione acustica e gli strumenti urbanistici, esigendo pertanto l'integrazione tra i due strumenti senza prescrivere una perfetta sovrapposizione (TAR Brescia, Sez. I n. 1792/2012 cit.).
Proprio perché la pianificazione acustica è rivolta a governare l'assetto del territorio sotto il distinto profilo della tutela ambientale e della salute umana, attraverso la più coerente ed opportuna localizzazione delle attività umane in relazione alla loro rumorosità, deve escludersi che essa abbia come scopo il mantenimento della situazione esistente, ma deve perseguire la riduzione dei rumori al fine di realizzare la piena tutela del riposo e della salute, la conservazione degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo e dell'ambiente esterno (TAR Milano sez. IV 14 gennaio 2015, n.133)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1 del 4 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, preso atto che le aree oggetto di spandimento del digestato come fertilizzante in agricoltura si collocano in prossimità del confine del S.I.C. IT2050010 “Oasi di Lacchiarella”, ricompreso nella Rete Ecologica Europea “Natura 2000”, istituita con le Direttive cd. Habitat (92/42/CEE) e c.d. Uccelli (79/409/CE), osserva che la sottoposizione dell’attività di spandimento del digestato non poteva che essere sottoposta alla preventiva Valutazione di Incidenza, in quanto, benché non direttamente connessa al sito, comunque potenzialmente foriera di “incidenze significative”, per come specificato dalla normativa comunitaria (Direttiva cd. Habitat, cit., all’art. 6, par. 2) e nazionale (art. 5, comma 3 D.P.R. 357/1997).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2635 del 30 dicembre 2020.
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Il TAR Milano conferma l’orientamento secondo cui la sopravvenienza, nelle more del giudizio di impugnazione di una prescrizione urbanistica, di una disciplina sostitutiva di quella impugnata, determina l’improcedibilità del ricorso per difetto di interesse.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2660 del 30 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia osserva che: «la valutazione della sussistenza delle condizioni per la c.d. fiscalizzazione dell’abuso non costituisce condizione di legittimità dell’ordinanza di demolizione (cfr., ex plurimis, T.A.R. Veneto, Sez. II, sentenza n. 160/2019; della Sezione, recentemente, sentenza n. 679/2020). Invero, l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria va decisa in fase esecutiva dell’ordine di demolizione, nella quale gli interessati ben possono dedurre lo stato di pericolo per la stabilità dell'edificio, e sulla base di un motivato accertamento tecnico (cfr., C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 4149/2020).
Ulteriormente, va considerato che cd. la fiscalizzazione dell’abuso è ammessa esclusivamente per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio, e non anche per quelli che concretizzano una variazione essenziale, che sono, viceversa, assoggettati, alla sola sanzione demolitoria (cfr., T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, sentenza n. 299/2017)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 926 del 29 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Con decreto emesso il 13 gennaio 2021, il Presidente del TAR Milano ha sospeso l'efficacia dell’ordinanza n. 676 dell'8 gennaio 2021 del Presidente della Regione Lombardia che ha disposto dall’11 gennaio 2021 al 24 gennaio 2021 in Lombardia la didattica a distanza al 100%.



Il TAR Brescia ribadisce che la tutela paesaggistica non è ancillare alla pianificazione urbanistica; si tratta di poteri distinti che perseguono obiettivi di interesse pubblico diversi e che, pur potendo venire a intersecarsi, mantengono la loro autonomia; in linea generale, come l’affermazione della compatibilità paesaggistica di un intervento edilizio non implica automaticamente la sua conformità alla strumentazione urbanistica, così l’approvazione di una convenzione urbanistica relativa a un’area assoggettata al vincolo paesaggistico non comporta un obbligo per la Soprintendenza di consentire sempre e comunque l’edificazione.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 907 del 22 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 dell'11 gennaio 2021 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio di Stato 28 dicembre 2020. Regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti.



Il TAR Milano ribadisce che non può ritenersi automaticamente illegittima una gara di appalto per il solo fatto che le relative operazioni si siano svolte in un lungo lasso di tempo: il protrarsi delle operazioni di gara per molto tempo non rende, di per sé, automaticamente illegittima la procedura di gara, in quanto il principio di continuità e di concentrazione delle operazioni non è di tale assolutezza e rigidità da determinare sempre e comunque, laddove vulnerato, l’illegittimità degli atti di gara, soprattutto allorquando la procedura, per la complessità delle operazioni valutative e il numero dei partecipanti alla gara, si protragga per numerose sedute.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2552 del 18 dicembre 2020.
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Il TAR Milano precisa che «La giurisprudenza di questo Tribunale è univocamente attestata nel ritenere che il termine e i presupposti per l’approvazione del P.G.T. stabiliti dall’articolo 13, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005 abbiano carattere ordinatorio e non perentorio e che, conseguentemente, il superamento delle scadenze previste non determina il venir meno degli atti della procedura pianificatoria (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 20 agosto 2019, n. 1895; 22 gennaio 2019, n. 122; 10 dicembre 2018, n. 2761; 30 marzo 2017, n. 761; 26 maggio 2016, n. 1097; 15 settembre 2015, n. 1975; 22 luglio 2015, n. 1764; 24 aprile 2015, n. 1032; 19 novembre 2014, n. 2765; 11 gennaio 2013, n. 86; 20 dicembre 2010, n. 7614; 10 dicembre 2010, n. 7508).
La Sezione ha, invero, rilevato che della disposizione di legge regionale sopra richiamata deve darsi necessariamente un’interpretazione costituzionalmente orientata, volta a garantire l’osservanza dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 della Costituzione), nonché ad assicurare l’esigenza che la legge regionale si attenga ai principi fondamentali desumibili dalla legge statale (articolo 117, terzo comma, della Costituzione), la quale stabilisce l’efficacia a tempo indeterminato della delibera di adozione del piano, fissando unicamente i termini di efficacia delle correlate misure di salvaguardia, peraltro di durata pluriennale (art. 12 del D.P.R. n. 380 del 2001).
Pertanto, tra le possibili interpretazioni, consentite dal tenore letterale della previsione normativa, deve privilegiarsi quella che attribuisce al termine per l’approvazione finale del piano natura ordinatoria, ponendo la sanzione dell’inefficacia in correlazione con la mancata valutazione delle osservazioni pervenute.
In particolare, la soluzione interpretativa cui la Sezione ha aderito, e che va in questa sede ribadita, ha evidenziato che la previsione dell’inefficacia degli atti assunti è collocata incidentalmente nel testo dell’articolo 13, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005. Ciò consente di riferire la sanzione dell’inefficacia non all’inosservanza del termine di novanta giorni, previsto nella prima parte della disposizione, ma alla violazione dell’obbligo, stabilito nella seconda parte della previsione normativa, di decidere sulle osservazioni e di apportare agli atti del P.G.T. le conseguenti modificazioni, sempre in termini non perentori (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 22 gennaio 2019, n. 122; 10 dicembre 2018, n. 2761; 30 marzo 2017, n. 761; 26 maggio 2016, n. 1097)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2613 del 28 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che «il richiamo generico, nell’epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, non è sufficiente, per giurisprudenza consolidata, a radicarne l'impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda e a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2601 del 28 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia osserva che: «1.1. Secondo consolidati principi giurisprudenziali, l'art. 11 del codice dell'ambiente d. lgs. n. 152/2006 costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o sub-procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell'espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima, sicché, stante la sua natura endoprocedimentale, il relativo provvedimento non è immediatamente ed autonomamente impugnabile, prima della definizione del procedimento pianificatorio (T.A.R. Genova, sez. I, 26/02/2014, n. 359; T.A.R. Milano, sez. II, 09/05/2013, n. 1203; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 19/12/2012, n. 5256; T.A.R. Ancona, sez. I, 22/06/2012, n. 444; Consiglio di Stato, sez. IV, 14/07/2014, n. 3645).
Per le stesse ragioni costituisce atto endoprocedimentale e non immediatamente lesivo quello con cui l’Amministrazione, a seguito di apposita verifica preliminare, stabilisce di escludere il progetto di pianificazione urbanistica o di una sua variante dall’assoggettamento a valutazione ambientale strategica.
In sostanza, ogni valutazione in merito al potenziale impatto ambientale della pianificazione urbanistica è destinato a trasfondersi, e a rimanere assorbito, nella pianificazione medesima, sicchè soltanto gli atti con cui è definitivamente approvata quest’ultima possono dispiegare concreti effetti lesivi nei confronti dei soggetti direttamente incisi dalla pianificazione, che, pertanto, soltanto nei confronti di detti atti conclusivi della pianificazione hanno titolo ed interesse a dolersi in sede giurisdizionale».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 923 del 28 dicembre 2020.
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Secondo il TAR Milano: 
«la trattativa privata per l’assegnazione di un bene per il quale il mercato, regolarmente consultato con una procedura ad evidenza pubblica, non ha mostrato un concreto interesse, non contrasta con i principi di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, in quanto l’affidamento senza gara, a condizioni pari alla base d’asta individuata nel bando, consente all’Amministrazione di ritrarre dal bene la giusta remuneratività.
La trattativa privata non si pone in contrasto neppure con i principi di imparzialità e di parità di trattamento, in quanto il confronto concorrenziale risultava già assicurato dall’indizione della gara andata deserta.
Pertanto la scelta del Comune di procedere a trattativa privata con un operatore economico, in luogo di indire una nuova procedura di evidenza pubblica con una base d’asta deprezzata, è legittima e conforme all’interesse pubblico di ritrarre dall’affidamento del bene la massima redditività senza rinunciare alla sua valorizzazione».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2595 del 24 dicembre 2020.
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Il TAR Milano precisa che in tema di gare pubbliche il requisito in capo ai componenti della commissione giudicatrice dell’esperienza nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto deve essere inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze, spesso richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare, non solo tenendo conto, secondo un approccio formale e atomistico, delle strette professionalità tecnico-settoriali implicate dagli specifici criteri di valutazione, la cui applicazione sia prevista dalla lex specialis, ma considerando, secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, anche le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze dell’Amministrazione, alla quale quei criteri siano funzionalmente preordinati, sia i concreti aspetti gestionali e organizzativi sui quali gli stessi siano destinati a incidere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2552 del 18 dicembre 2020.
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Il TAR Milano osserva che «è stato affermato che, anche laddove il riequilibrio delle previsioni della convenzione si renda necessario al fine di assicurare il rispetto delle disposizioni normative sopravvenute, ciò non può avvenire sulla base di un intervento unilaterale e autoritativo dell’Amministrazione, bensì soltanto in esito alla rinegoziazione tra le parti, secondo buona fede, delle prestazioni oggetto delle obbligazioni che non possano più essere adempiute nel modo originariamente convenuto (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 23 giugno 2020, n. 1166; 10 febbraio 2017, n. 346; 26 luglio 2016, n. 1507)».
Con riferimento alla fattispecie in esame aggiunge il TAR che «a fronte di una puntuale pattuizione contrattuale – ossia quella che prevede il rilascio in favore della ricorrente del certificato di agibilità dei capannoni di sua proprietà, in seguito alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria (art. 4, quarto comma, della Convenzione) –, il Comune avrebbe dovuto rilasciare il richiesto certificato, oppure agire in giudizio per ottenere la risoluzione della Convenzione per inadempimento (ove di non scarsa importanza: sul punto, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 16 marzo 2020, n. 492) e neutralizzare il prescritto obbligo».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2665 del 30 dicembre 2020.
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