Richiamare estremi di pronunce non pertinenti e massime non riferibili ad orientamenti giurisprudenziali noti, a sostegno dell’affermazione dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, costituisce una violazione del dovere del difensore di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, in quanto introduce elementi potenzialmente idonei ad influenzare il contraddittorio processuale e la fase decisoria verso un percorso non corretto, e perché rende inutilmente gravosa, da parte del giudice e delle controparti, l’attività di controllo della giurisprudenza citata e dei principi dalla stessa apparentemente affermati. La citazione nel ricorso di giurisprudenza reperita mediante strumenti di ricerca basati sull’intelligenza artificiale che hanno generato risultati errati non costituisce circostanza alla quale può riconoscersi una valenza esimente, in quanto la sottoscrizione degli atti processuali ha la funzione di attribuire la responsabilità degli esiti degli scritti difensivi al sottoscrittore indipendentemente dalla circostanza che questi li abbia redatti personalmente o avvalendosi dell’attività di propri collaboratori o di strumenti di intelligenza artificiale. In osservanza del principio della centralità della decisione umana, il difensore ha un onere di verifica e controllo dell’esito delle ricerche effettuate con i sistemi di intelligenza artificiale, possibile fonte di risultati errati comunemente qualificati come “allucinazioni da intelligenza artificiale”, che si verificano quando tali sistemi inventano risultati inesistenti ma apparentemente coerenti con il tema trattato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. V, n. 3348 del 21 ottobre 2025