Il Consiglio di Stato, con riferimento all’art. 104, comma 2, c.p.a. – ai sensi del quale, nel giudizio amministrativo di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile – precisa che il requisito della indispensabilità ai fini della decisione della causa impone di ammettere in appello tutti quei documenti che non sono semplicemente “rilevanti” ai fini del decidere, bensì appaiono dotati di quella speciale efficacia dimostrativa che si traduce nella capacità di fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, conducendo ad un esito, per così dire, “necessario” della controversia, per cui siffatta nozione di indispensabilità è in armonia con l’orientamento del giudice civile, secondo cui nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 1897 del 21 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.