Il TAR Brescia, con riferimento ad una azione di accertamento avente ad oggetto la decadenza dalla titolarità di una concessione idroelettrica (per mancato esercizio), ha anzitutto osservato che la decadenza della concessione per mancato esercizio non costituisce un effetto che si verifica ex lege al ricorrere del presupposto normativo, richiedendo, viceversa, l’intermediazione del potere pubblico attraverso l’emanazione di un provvedimento motivato, all’esito di un procedimento necessariamente preceduto dalla contestazione al concessionario delle circostanze che giustificano la decadenza. Su queste basi, il TAR ha osservato che la domanda fatta valere in giudizio era volta a introdurre un’azione di accertamento atipica, la quale, ove vengano in rilievo situazioni di interesse legittimo, è esperibile solo in via residuale, laddove cioè tale forma di tutela risulti l'unica idonea a garantire in concreto una protezione adeguata e immediata della sfera giuridica dell’interessato. In altre parole, nel processo amministrativo, l'azione di accertamento è ammessa solo eccezionalmente, in diretta applicazione del principio di effettività della tutela, ove manchino, nel sistema, strumenti giurisdizionali a protezione di interessi certamente riconosciuti dall'ordinamento. Nel caso di specie mancava proprio il requisito della residualità, perché la parte interessata ben avrebbe potuto sollecitare l’amministrazione competente alla dichiarazione di decadenza, proponendo semmai l’azione disciplinata dagli artt. 31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio–inadempimento; azione sicuramente idonea ad assicurare la tutela, da parte del giudice amministrativo, dell’interesse protetto.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 916 del 14 novembre 2024


Il TAR Milano ritiene che il termine per la costituzione in giudizio di cui all’art. 36, comma 4, D.Lgs. 36/2023 corrisponda al termine per la costituzione in giudizio prevista per il rito ordinario dall’art. 46 c.p.a., il quale ha pacificamente natura ordinatoria (con la conseguenza che è consentito alle parti costituirsi anche oltre il predetto termine - cfr. l’utilizzo anche nell’art. 36, comma 4 in esame, così come nell’art. 46 c.p.a., del verbo “possono” anziché “devono”) e che per individuare il termine per il deposito di memorie e documenti sia necessario riferirsi ai termini processuali previsti dall’art. 55, comma 5, c.p.a., dimidiati ai sensi dell’art. 36, comma 7, D.Lgs. 36/2023, con la conseguenza che le parti possono depositare memorie e documenti fino a un giorno libero prima della camera di consiglio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3225 del 18 novembre 2024


Il TAR Milano precisa che le convenzioni urbanistiche sono giuridicamente qualificate come “contratti di diritto pubblico o ad oggetto pubblico”, in quanto sono costituite da strumenti di natura pattizia, aventi ad oggetto l’esercizio di potestà di natura pubblicistica; ad esse si applicano, in quanto compatibili, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti (art. 11, comma 2, l. n. 241/1990 e s.m.i.). Dunque, in caso di inadempimento degli obblighi da ciascuna parte assunti con la stipula di siffatti accordi, il creditore deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall'ordinamento al soggetto attivo del rapporto obbligatorio, onde poter realizzare coattivamente il proprio interesse, ivi compresa, pertanto, l’azione di esatto adempimento di cui all’art. 1453 c.c. Nella materia trova, poi, applicazione il noto principio di semplificazione in tema di onere della prova dell’inadempimento di una obbligazione, in ossequio al quale il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3038 del 5 novembre 2024


Il TAR Brescia, in materia di procedura semplificata di autorizzazione paesaggistica, ricorda che il procedimento è disciplinato dall’art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 31/2017, secondo cui “L’amministrazione procedente valuta la conformità dell’intervento o dell’opera alle prescrizioni d’uso, ove presenti, contenute nel provvedimento di vincolo o nel piano paesaggistico, anche solo adottato, ai sensi del Codice, nonché, eventualmente, la sua compatibilità con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento”. Solamente in caso di positivo superamento di tale valutazione, e in considerazione di una proposta di accoglimento dell’istanza, la stessa norma prevede il necessario e successivo coinvolgimento della Soprintendenza, lasciando invece impregiudicato il potere dell’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di rigettare motivatamente l’istanza in caso di esito negativo della valutazione di cui al comma 3, dandone comunicazione al richiedente. (Nel caso concreto, il ricorrente eccepiva l'illegittimità del diniego per omessa trasmissione della proposta di provvedimento alla Soprintendenza. Ma secondo il TAR il procedimento autorizzatorio si era arrestato nella prima fase di valutazione della “compatibilità con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento” senza che il mancato coinvolgimento della Soprintendenza possa avere efficacia invalidante).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 28 ottobre 2024, n. 852


Il TAR Milano precisa che il principio del risultato nel settore dei contratti pubblici si manifesta come regola interpretativa e di validità degli atti amministrativi. In quanto regola interpretativa si traduce nel dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare. In quanto regola di validità, il principio del risultato attua nel settore dei contratti pubblici il principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Pertanto esso integra il paradigma normativo del provvedimento e dunque amplia il perimetro del sindacato del giudice, facendo transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili e, al contempo, consente di escludere che, ove venga rispettato, eventuali vizi formali dell’atto conducano all’illegittimità dell’atto. Il principio del risultato ha quindi una duplica valenza poiché si pone quale criterio di sindacato della validità dell’atto che conduce all’illegittimità laddove non sia rispettato o all’esclusione dell’illegittimità laddove sia rispettato (quale previsione speculare alla disciplina dell’art. 21-octies, comma 2, legge n. 241/1990). In entrambi i casi in cui opera quale regola interpretativa e di validità, il risultato costituisce precetto normativo rivolto sia all’amministrazione chiamata ad esercitare il potere discrezionale sia al giudice chiamato a verificare il corretto esercizio di quel potere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 3127 del 11 novembre 2024


Secondo il TAR Milano, le opere realizzate senza autorizzazione all’interno di un territorio protetto, anche se astrattamente riconducibili al concetto di pertinenza, debbono comunque sottostare alle misure ripristinatorie e di reintegro ambientale di cui agli artt. 167 e 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004: difatti, ove gli illeciti edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3093 del 11 novembre 2024


Il TAR Brescia, con riferimento alla disciplina in materia di accesso agli atti prevista dal nuovo codice dei contratti pubblici, precisa che, con riferimento alla regola generale (art. 36) dell’integrale ostensibilità dell’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, l’art. 35, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 36/2023 prevede, quale eccezione, che il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione “a) possono essere esclusi in relazione alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali”. Tale eccezione, tuttavia, non opera, tornando dunque ad applicarsi la regola generale dell’accessibilità, qualora l’accesso richiesto dal concorrente sia “indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara”. Grava pertanto sull’aggiudicatario l’onere di “motivare” e “comprovare” la presenza di parti della sua offerta coperte da segreti tecnici o commerciali. Solamente una volta fornita tale dimostrazione da parte del controinteressato aggiudicatario, e quindi ritenuta operante l’eccezione all’ostensibilità di cui all’art. 35, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 36/2023, sarà onere del ricorrente non aggiudicatario dimostrare l’indispensabilità della documentazione richiesta ai fini della difesa in giudizio per fare prevalere il suo diritto di difesa sul diritto del controinteressato alla tutela dei segreti tecnici e commerciali.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 880 del 4 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda che la verificazione (e/o la consulenza tecnica d’ufficio) non può sopperire alle carenze probatorie riferibili alle parti del processo, ma ha l’esclusiva finalità di chiarire eventuali dubbi discendenti da elementi ritualmente introdotti in giudizio e non del tutto incontroversi nella loro portata. Difatti, anche la verificazione come la consulenza tecnica d’ufficio non può essere utilizzata per costruire prove che la parte attrice non ha introdotto nel processo nemmeno come principio. Essa, infatti, costituisce non già un mezzo di prova, ma al più di ricerca della prova, avente la funzione di fornire al giudice i necessari elementi di valutazione quando la complessità sul piano tecnico-specialistico dei fatti di causa impedisca una compiuta comprensione, ma non già la funzione di esonerare la parte dagli oneri probatori sulla stessa gravanti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3068 del 7 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda che sul piano della dinamica giuridica, la convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla “saldatura” con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma. L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato. La decorrenza ex tunc è connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo. È questa la principale differenza rispetto alla rinnovazione dell’atto che invece non retroagisce per conservarne gli effetti fin dall’origine.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3058 del 6 novembre 2024



Il TAR Milano ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza, non sussiste, di regola e in via generale, alcun obbligo per la P.A. di avviare e concludere un procedimento in autotutela – salvi i casi in cui la stessa sia doverosa o quando emergano ragioni di giustizia e di equità – tenuto conto che le istanze dei privati volte a chiedere l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione hanno una funzione di mera denuncia o sollecitazione e non creano in capo alla medesima Amministrazione alcun obbligo di provvedere, non dando luogo a formazione di silenzio inadempimento in caso di mancata definizione dell’istanza. Del resto, se si imponesse un obbligo di provvedere, il rischio sarebbe anche quello di eludere i termini di impugnare mediante la proposizione di un’istanza all’amministrazione, con possibilità di impugnare l’eventuale esito negativo della procedura, nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini per proporre ricorso nei confronti del provvedimento di primo grado, con evidente compromissione delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3003 del 31 ottobre 2024


Il TAR Milano rigetta la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme di legge statali e regionali sulla caccia, per l’asserito contrasto delle medesime con l’art. 9 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, laddove si prevede che: «La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Osserva che la norma dell’art. 9 della Costituzione, ancorché inserita nei Principi Fondamentali di quest’ultima, appare di carattere programmatico e non immediatamente precettivo, creando una riserva di legge statale sulle modalità di tutela degli animali e rinviando quindi l’individuazione concreta di tali forme di tutela alle scelte del legislatore statale. Peraltro appare evidente che nell’esercizio del proprio potere normativo, il legislatore dovrà necessariamente bilanciare l’interesse alla tutela animale con altri valori costituzionali, visto che nel nostro ordinamento i valori fondamentali sono in rapporto di reciproca integrazione, senza che uno di essi possa assumere valenza assoluta verso gli altri; in altri termini occorre evitare che nell’ordinamento emergano quelli che, con efficace espressione, sono definiti come “diritti tiranni”. Il TAR aggiunge che l’ordinamento dell’Unione Europea non pare vietare la caccia. L’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), se da una parte garantisce il rispetto del benessere animale, dall’altra impone il rispetto delle consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda le tradizioni culturali e il patrimonio regionale. L’attività venatoria è praticamente coeva alla storia umana e sebbene abbia perso ormai il suo carattere originario di prevalente – se non addirittura esclusiva – fonte di sostentamento delle comunità, rappresenta parimenti una parte della tradizione sociale e culturale italiana, senza contare che la caccia persegue oggi una finalità non solo ricreativa ma anche di misura di conservazione del patrimonio animale (si pensi all’abbattimento selettivo di specie reputate eccessivamente invasive oppure all’abbattimento per limitare la diffusione di gravi patologie quali la peste suina africana). In tal senso si veda la direttiva UE 2009/147/CE (c.d. direttiva uccelli), che ammette (decimo “considerando”) che talune specie possono formare oggetto di caccia, la quale costituisce un modo ammissibile di sfruttamento, seppure nel rispetto di determinati limiti. Inoltre il Consiglio d’Europa, nella sua Carta della caccia e della biodiversità, Principio 6, ha introdotto la nozione di “caccia sostenibile”, il che conferma la legittimità dell’attività venatoria per il Consiglio stesso, seppure nel rispetto della biodiversità e delle inderogabili esigenze di tutela ambientale.

TAR Lombardia, Milano, II, n. 2583 del 7 ottobre 2024


Il TAR Milano osserva che l’art. 28 Regolamento al Codice stradale impedisce la realizzazione di nuove strutture edilizie, anche sotto forma di ampliamento o ricostruzione di manufatti integralmente demoliti, ma non vieta qualsiasi tipo di intervento edilizio sull’esistente, nel rispetto del principio di prevenzione che caratterizza, in via generale, la disciplina delle distanze nelle costruzioni. Si deve considerare che, nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono comprese varie tipologie di opere rivolte a trasformare gli organismi edilizi esistenti, che non comportano necessariamente la demolizione e la ricostruzione degli edifici; quest’ultima costituisce solo una specifica e particolare modalità di ristrutturazione, soggetta a precisi vincoli. Pertanto, laddove l’espressione del parere in senso negativo dell’ente autostradale si fonda sulla considerazione che l’art. 28 del Regolamento C.d.S. ammetterebbe solo interventi di restauro e risanamento conservativo, con esclusione di ogni altro intervento che non rientri nella definizione di restauro e risanamento conservativo, indipendentemente dal fatto che non sia prevista la demolizione e ricostruzione né l’ampliamento dell’esistente, ne consegue l’illegittimità, non solo per il contrasto con il dettato normativo, ma anche per l’illogicità sintomatica dell’eccesso di potere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2760 del 18 ottobre 2024


Il TAR Milano precisa che nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l'assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio. Ne consegue che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo della sua adozione. Tali conclusioni restano ferme anche nel caso in cui l'Amministrazione non rispetti il termine finale di conclusione del procedimento, poiché essa conserva comunque il potere di provvedere anche dopo lo spirare di tale termine, sicché le modifiche normative intervenute prima della formale adozione del provvedimento finale debbono essere osservate, proprio in adesione al principio del tempus regit actum.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2947 del 29 ottobre 2024


Il TAR Brescia ha considerato inammissibile la trasposizione di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica a seguito di opposizione fatta valere da un soggetto non qualificabile quale parte resistente o controinteressato. Infatti, si devono ritenere legittimati a proporre opposizione le parti controinteressate e le amministrazioni resistenti, siano esse statali o diverse dalle amministrazioni statali, trattandosi di parti necessarie del processo amministrativo. Ciò in quanto avendo dette parti subito l’iniziativa del ricorrente e avendo interesse alla conservazione dell’atto impugnato, occorre presidiare la loro facoltà di scelta a che la controversia sia trasferita e decisa nella sede giurisdizionale, assistita da maggiori garanzie rispetto a quella del ricorso straordinario. Per cui, un soggetto che non rivesta tale posizione, non può validamente formulare l'opposizione e la successiva trasposizione del ricorso deve essere dichiarata inammissibile, disponendosi, ai sensi dell’art. 48, comma 3, c.p.a., la restituzione del fascicolo all’Autorità amministrativa competente per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria. (Nella specie, il soggetto che aveva proposto l'opposizione, pur avendo ricevuto la notifica del ricorso straordinario, non aveva i requisiti richiesti per essere qualificato né parte resistente, né controinteressato, rivestendo semmai la posizione di interveniente ad adiuvandum).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 25 ottobre 2024, n. 848


Il TAR Milano osserva che la valutazione degli interventi oggetto di istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 deve essere complessiva e globale, non potendosi ammettere la parcellizzazione degli abusi ai fini della loro regolarizzazione poiché la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere il nesso funzionale che li lega e, in definitiva, l’effettiva portata dell’operazione. Deve, quindi, escludersi l’ammissibilità di sanatorie parziali o condizionate di opere abusive che abbiano dato luogo a un intervento unitario, giacché l’art. 36 cit. ha riguardo, appunto, all’intervento abusivo nella sua interezza e non alla singola opera abusiva. In tale evenienza, pertanto, l’interessato è tenuto a scegliere tra l’integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall’amministrazione competente, ovvero la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità riferita alla totalità dell’intervento abuso.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2758 del 17 ottobre 2024


Il TAR Milano ricorda che sulla questione inerente alla sussistenza di un diritto di accesso agli esposti in materia di abusivismo edilizio si riscontrano soluzioni giurisprudenziali non univoche. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il diniego di accesso a tali atti è, di regola, legittimo in quanto non incide sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte dell'intervenuta notifica del verbale conclusivo dell'attività ispettiva, non ha alcun interesse a conoscere il nome dell'autore dell'esposto. Un secondo orientamento è, invece, dell’avviso che - al di fuori di particolari ipotesi in cui il denunciante potrebbe essere esposto, in ragioni dei rapporti con il denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni - il principio di trasparenza prevalga su quello alla riservatezza e, dunque, non sussista il diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative incidenti sulla sfera di terzi, anche perché una volta che l’esposto è pervenuto alla sfera di conoscenza della P.A., l’autore dell’atto ha perso il controllo su di esso essendo entrato nella disponibilità dell’Amministrazione. Il Collegio condivide quest’ultimo orientamento in forza del quale il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di "denunce segrete": colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2874 del 24 ottobre 2024


Il TAR Milano precisa che qualora l’Agenzia delle Entrate attesti a carico del concorrente violazioni fiscali definitivamente accertate, la stazione appaltante non ha altra possibilità che escludere detta società dalla gara, essendole preclusa un’autonoma valutazione della questione, nella considerazione che i documenti rilasciati dall’Autorità competenti ratione officii relativamente alla posizione delle ditte concorrenti alle pubbliche gare in materia di pagamento di imposte e tasse e contributi previdenziali e assistenziali, quanto alla loro natura, si qualificano come atti di certificazione e/o attestazione assistiti da pubblica fede ex art. 2700 c.c. e facenti prova fino a querela di falso e che la vincolatività delle relative risultanze trova, peraltro, supporto nella normativa comunitaria, in cui, con riferimento alla causa di esclusione relativa all’irregolarità nei pagamenti di imposte e tasse, è espressamente previsto che le amministrazioni aggiudicatrici accettano come prova sufficiente un certificato rilasciato dall’Autorità competente dello Stato membro.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2858 del 23 ottobre 2024


Il TAR Brescia avverte che la qualificazione degli atti da parte della p.a. dipende dall’oggettiva corrispondenza alla categoria astrattamente prevista dalla norma. Non può quindi ipotizzarsi un potere dell’amministrazione di attribuire ai propri atti effetti non immediatamente riconducibili alla previsione normativa che fonda la titolarità della funzione esercitata. L’amministrazione, attraverso le proprie determinazioni, può soltanto produrre i tipi di conseguenze previsti dalla legge, secondo la predeterminazione normativa degli effetti, e agisce quindi per schemi interamente prefigurati dalla legge (nella specie, l’amministrazione aveva definitivo “vincolante” un parere di compatibilità paesaggistica, invece previsto dalla legge come obbligatorio, ma, appunto, non vincolante; per cui il ricorso è stato dichiarato comunque inammissibile perché avente ad oggetto un atto meramente endoprocedimentale).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 818 del 18 ottobre 2024



Il TAR Milano ricorda che, per giurisprudenza costante, la ricorrente che impugna la propria esclusione dalla gara (e, solo di riflesso, l'aggiudicazione della commessa ad un terzo) non deve superare la c.d. prova di resistenza: ai fini della dimostrazione del proprio interesse a ricorrere è sufficiente che l'impresa esclusa alleghi doglianze tali da poter astrattamente condurre alla soddisfazione della pretesa che pure la propria offerta di gara formi oggetto di valutazione in comparazione con le altre.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2780 del 21 ottobre 2024