Il Consiglio di Stato, dopo aver ricostruito i  presupposti, contenuti e finalità dell’istituto della revoca, declina i relativi principi nella fattispecie sostanziale delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici e così statuisce:

  • mentre la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso, prima del perfezionamento del documento contrattuale, al contrario, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile, anche se la peculiarità della regolazione della funzione considerata (l’amministrazione di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici) impone di definire le condizioni del valido esercizio della potestà di autotutela in questione secondo parametri ancora più stringenti;
  • a fronte della nota strutturazione procedimentale della scelta del contraente, la definizione regolare della procedura mediante la selezione di un’offerta (giudicata migliore) conforme alle esigenze della stazione appaltante (per come cristallizzate nella lex specialis) consolida in capo all’impresa aggiudicataria una posizione particolarmente qualificata e impone, quindi, all’Amministrazione, nell’esercizio del potere di revoca, l’onere di una ponderazione particolarmente rigorosa di tutti gli interessi coinvolti;
  • il ritiro di un’aggiudicazione legittima postula, in particolare, la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi;
  • i canoni di condotta appena precisati restano validi anche per le procedure di aggiudicazione soggette alla disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016, nella misura in cui il paradigma legale di riferimento resta, anche per queste ultime, l’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, e non anche la disciplina speciale dei contratti, che si occupa, infatti, di regolare il recesso e la risoluzione del contratto, e non anche la revoca dell’aggiudicazione degli appalti (ma solo delle concessioni);
  • quando si appunta sulle caratteristiche dell’oggetto dell’appalto, il ripensamento dell’Amministrazione, per legittimare il provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione, deve fondarsi sulla sicura verifica dell’inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l’avvio della procedura;
  • premesso che le Amministrazioni pubbliche devono preliminarmente verificare le proprie esigenze, poi definire, coerentemente con gli esiti dell’anzidetta analisi, gli elementi essenziali del contratto e, solo successivamente, indire una procedura di affidamento avente ad oggetto la prestazione già individuata come necessaria, appare chiaro che l’aggiudicazione della gara a un’impresa che ha diligentemente confezionato la sua offerta in conformità alle prescrizioni della lex specialis può essere validamente rimossa, con lo strumento della revoca, solo nell’ipotesi eccezionale in cui una rinnovata (e, comunque, tardiva) istruttoria ha rivelato l’assoluta inidoneità della prestazione inizialmente richiesta dalla stessa Amministrazione (e, quindi, dovuta dall’aggiudicatario) a soddisfare i bisogni per i quali si era determinata a contrarre;
  • al contrario, non può in alcun modo giudicarsi idoneo a giustificare la revoca un ripensamento circa il grado di satisfattività della prestazione messa a gara; se si ammettesse, infatti, la revocabilità delle aggiudicazioni sulla sola base di un differente e sopravvenuto apprezzamento della misura dell’efficacia dell’obbligazione dedotta a base della procedura, si finirebbe, inammissibilmente, per consentire l’indebita alterazione delle regole di imparzialità e di trasparenza che devono presidiare la corretta amministrazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, con inaccettabile sacrificio dell’affidamento ingenerato nelle imprese concorrenti circa la serietà e la stabilità della gara, ma anche con un rischio concreto di inquinamento e di sviamento dell’operato delle stazioni appaltanti.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5026 del 29 novembre 2016 è consultabile sul sito di Giustizia Amministrativa.