La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, della legge della Regione Lombardia 18 aprile 2012, n. 7, il quale, in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza n. 309 del 2011, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, prescrive che i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 (data di pubblicazione della sentenza citata), nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data, siano considerati titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012.
La Corte stigmatizza la disposizione regionale scrutinata che interviene per mitigare gli effetti di una pronuncia di illegittimità costituzionale, per conservare o ripristinare, in tutto o in parte, gli effetti della norma dichiarata illegittima; la disposizione impugnata, emanata al dichiarato fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza n. 309 del 2011, mira infatti a convalidare e a confermare nell’efficacia gli atti amministrativi emessi in diretta applicazione della precedente normativa regionale, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla citata pronuncia di questa Corte, i cui effetti la disposizione regionale vorrebbe parzialmente neutralizzare. 
Si rammenta che, con la precedente sentenza n. 309 del 2011, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della L.R. della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12, nella parte in cui escludeva l’applicabilità del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione; dell’art. 103 della stessa L.R. n. 12 del 2005, nella parte in cui disapplicava l’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, il cui comma 1, lettera d), nel testo allora vigente, stabiliva il principio secondo cui rientrano nella definizione di ristrutturazione edilizia solo gli interventi di demolizione e ricostruzione con identità di volumetria e di sagoma rispetto all’edificio preesistente; nonché, infine, dell’art. 22 della L.R. 5 febbraio 2010 n. 7, il quale, in via di interpretazione autentica del citato art. 27, comma 1, lettera d), della L.R. n. 12 del 2005, prevedeva che, nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, la ricostruzione dell’edificio che seguiva a demolizione fosse da intendersi senza vincolo di sagoma.
Da ultimo, a nulla rilevano per la Corte Costituzionale i mutamenti successivamente intervenuti nella legislazione statale (cfr. art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013, che ha modificato, tra l’altro, l’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001), che hanno rimosso il divieto di alterazione della sagoma nelle ristrutturazioni edilizie, su cui si fondavano le dichiarazioni di illegittimità costituzionale contenute nella sentenza n. 309 del 2011, atteso che la questione all’esame della Corte e la norma che ne costituisce oggetto concernono situazioni anteriori a tale innovazione della legislazione statale e non sono da essa interessate.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 224 del 20 ottobre 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.