La Corte di Giustizia UE, esaminando una domanda di pronuncia pregiudiziale riguardante l’interpretazione della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, come modificata dalla direttiva 2009/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, e dell’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ha statuito che:   
  • la direttiva 2004/35, come modificata dalla direttiva 2009/31, e, in particolare, il suo articolo 2, punto 1, lettera b), deve essere interpretata nel senso che osta ad una disposizione del diritto nazionale che escluda, in via generale e automatica, che il danno idoneo a incidere in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico o quantitativo, oppure sul potenziale ecologico delle acque di cui trattasi, sia qualificato come «danno ambientale», per il sol fatto di essere coperto da un’autorizzazione rilasciata conformemente al diritto nazionale medesimo;
  • nell’ipotesi in cui un’autorizzazione sia stata rilasciata in applicazione di disposizioni nazionali, senza l’esame delle condizioni esposte all’articolo 4, paragrafo 7, lettere da a) a d), della direttiva 2000/60/CE, il giudice nazionale non è tenuto a verificare d’ufficio se le condizioni indicate in tale disposizione siano soddisfatte ai fini dell’accertamento della sussistenza di un danno ambientale ai sensi dell’articolo 2, punto 1, lettera b), della direttiva 2004/35, come modificata dalla direttiva 2009/31, e può limitarsi a dichiarare l’illegittimità dell’atto impugnato. 

La sentenza della Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, in data 1 giugno 2017 (causa C-529/15) è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia UE al seguente indirizzo.