Il contributo di costruzione gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore. Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 della Costituzione. Quindi, in ragione delle suesposte coordinate ermeneutiche non possono individuarsi esenzioni in ordine al pagamento del contributo di costruzione diverse da quelle espressamente previste dalla legge, come pure non possono prevedersi riduzioni del suo importo non chiaramente individuate dal legislatore.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 107 del 14 gennaio 2025


Il TAR Milano dichiara un ricorso inammissibile per mancato tempestivo deposito della prova dell’avvenuta notifica dell’atto introduttivo del giudizio all’Amministrazione intimata, non costituitasi in giudizio. La prova dell’avvenuta notifica del ricorso effettuata attraverso il servizio postale può essere data esclusivamente mediante la produzione in giudizio dell'avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario o munito dell’attestazione dell'agente postale in ordine all’assenza di quest'ultimo. Il documento di prova dell’avvenuta notifica del ricorso deve essere depositato in giudizio dall’interessato prima del passaggio in decisione della causa. Per valutare l’integrità del contraddittorio, è necessario che il giudice sia messo nella condizione di esaminare il contenuto e la regolarità del documento che comprova l’avvenuta notifica del ricorso nei confronti del destinatario non costituito, incombente questo che può evidentemente essere svolto solo se lo stesso giudice, al più tardi nel momento in cui la causa passa in decisione, ha a disposizione quel documento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 46 del 9 gennaio 2025


Ai fini della configurazione della pergotenda è necessario che l’opera, per le sue caratteristiche strutturali e per i materiali utilizzati, non determini la stabile realizzazione di nuovi volumi/superfici utili. Deve, quindi, trattasi di una struttura leggera, non stabilmente infissa al suolo, idonea a supportare una “tenda”, anche in materiale plastico (c.d. “pergotenda”), a condizione che: a) l’opera principale sia costituita, appunto, dalla “tenda” quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata a una migliore fruizione dello spazio esterno; b) la struttura rappresenti un mero elemento accessorio rispetto alla tenda, necessario al sostegno e all’estensione della stessa; c) gli elementi di copertura e di chiusura (la “tenda”) siano non soltanto facilmente amovibili ma anche completamente retraibili, in materiale plastico o in tessuto, comunque privi di elementi di fissità, stabilità e permanenza tali da creare uno spazio chiuso, stabilmente configurato che possa alterare la sagoma ed il prospetto dell’edificio “principale”. In altri termini, per aversi una “pergotenda” e non già una “tettoia”, è necessario che l’eventuale copertura in materiale plastico sia completamente retrattile, ovvero “impacchettabile”, così da escludere la realizzazione di nuovo volume.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 185 del 18 gennaio 2025


Le regole urbanistiche dettate dai nuovi strumenti di pianificazione valgono solo per il futuro e non rendono perciò illecita la presenza di manufatti già costruiti a cui sia già stata assegnata una funzione non in linea con quella prevista dalla nuova disciplina di zona; i manufatti già esistenti possono quindi permanere e conservare la loro funzione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 155 del 15 gennaio 2025


Il disposto dell’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 costituiva un punto di compromesso adottato dal codice del 2016 tra la regola della tendenziale immodificabilità del contratto e la necessità, sempre più pressante e complessa, di presidiare la fase di esecuzione del contratto mediante la gestione delle sopravvenienze. Gli unici presupposti fissati espressamente dal legislatore nel comma 2 riguardano i limiti oggettivi entro cui la modifica poteva essere autorizzata e la necessità di conservare, all’esito delle modifiche, la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. Il tenore letterale della previsione non evidenzia limiti di applicabilità, se non quelli espressamente previsti e compatibili con l’istanza di revisione presentata. La previsione normativa non riconduce, in via immediata e diretta, i presupposti rilevanti al verificarsi di evenienze straordinarie ed imprevedibili, che determinino una variazione eccezionale del costo della fornitura. In assenza di una previsione negoziale, chiara ed espressa, che predetermini i presupposti sostanziali idonei a far sorgere il “diritto alla revisione” e difettando una previsione normativa (come sancito a suo tempo per l’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006) che integri, ai sensi dell’art. 1339 cc, la Convenzione, la modifica contrattuale potrà avvenire, nei limiti oggettivi indicati dalla legge, sul semplice ma indefettibile presupposto di un accordo tra le parti. A tale risultato si giunge necessariamente attraverso l’intermediazione provvedimentale della stazione appaltante, cui spetta lo ius variandi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 59 del 13 gennaio 2025


Un campo da tennis, avente un ingombro di 18,40 x 36,30 m (per una superficie di 667,92 mq) e perimetrato da un cordolo con rete plastificata con altezza pari a 6,00 m, con una superficie in tappeto sintetico, sebbene destinato a finalità ludico-sportive e non anche a scopi di natura operativa o residenziale non può certo definirsi privo di rilevanza edilizia. Peraltro, ricadendo la zona in “Ambito Paesaggistico” di un Parco regionale è necessario acquisire il preventivo parere di compatibilità ambientale ai sensi dell’art. 167 del D. Lgs. n. 42 del 2004 da parte del Parco Regionale. Di conseguenza, al cospetto di un manufatto realizzato senza autorizzazione all’interno di un territorio protetto, lo stesso deve comunque sottostare a misure ripristinatorie e di reintegro ambientale di cui agli artt. 167 e 181 del D. Lgs. n. 42 del 2004: difatti, laddove gli illeciti edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 232 del 27 gennaio 2025


La verificazione e/o la consulenza tecnica d’ufficio non possono sopperire alle carenze probatorie riferibili alle parti del processo, ma hanno l’esclusiva finalità di chiarire eventuali dubbi discendenti da elementi ritualmente introdotti in giudizio e non del tutto incontroversi nella loro portata. Del resto, anche la verificazione come la consulenza tecnica d’ufficio non configura un autonomo mezzo di prova, bensì uno strumento di valutazione di prove già ritualmente acquisite agli atti del giudizio, sicché non può essere utilizzata per costruire prove che la parte attrice non ha introdotto nel processo nemmeno come principio. Essa, infatti, costituisce non già un mezzo di prova, ma al più di ricerca della prova, avente la funzione di fornire al giudice i necessari elementi di valutazione quando la complessità sul piano tecnico-specialistico dei fatti di causa impedisca una compiuta comprensione, ma non già la funzione di esonerare la parte dagli oneri probatori sulla stessa gravanti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 164 del 16 gennaio 2025


il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure che nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, poiché tali disposizioni sono funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l'art. 4, l. n. 36 del 2000 riserva allo Stato. Pertanto, le norme e le prescrizioni di pianificazione locale che individuano aree di installazione devono essere interpretate nel senso che l'indicazione dei siti idonei non è tassativa e che, laddove il gestore proponga siti diversi, l'ufficio competente deve comunque svolgere un'istruttoria tecnica per verificare la compatibilità di tali siti con gli interessi primari che il piano urbanistico è preposto ex lege a tutelare.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 28 ottobre 2024, n. 851


Dal tenore della l.r. n. 31 del 2014, novellata dalla l.r. n. 16 del 2017, e soprattutto dai principi enucleati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 2019 si ricava che è facoltà dei Comuni procedere alla modifica dello strumento urbanistico e prevedere attraverso di esso la riduzione del consumo di suolo senza necessità di attendere gli adempimenti posti in capo alla Regione e alla Provincia e specificamente correlati all’individuazione della soglia regionale di riduzione del consumo di suolo e dei relativi criteri, indirizzi e linee tecniche (art. 5 l.r. n. 31 del 2014, nella versione vigente ratione temporis).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 188 del 20 gennaio 2025


L’atto di disdetta di un rapporto di concessione è un atto paritetico e non provvedimentale in quanto la struttura, la funzione e gli effetti della clausola di disdetta afferente ad una convenzione costitutiva della concessione, volta ad evitare la rinnovazione tacita del rapporto, corrispondono, senza apprezzabili differenze morfologiche, alla fisionomia tipica delle clausole dei comuni contratti di durata, non presentando, quindi, l’atto di disdetta, alcun tratto tipico dei provvedimenti amministrativi. Infatti, la comunicazione della volontà di non proseguire il rapporto non è affatto caratterizzata dalla valutazione necessaria dell’interesse pubblico, ben potendo essere determinata, in concreto, da altre ragioni, non rappresentando, quindi, l’interesse pubblico il presupposto della disdetta, ma, semplicemente, uno dei motivi, della determinazione assunta dal concedente. La disdetta è riferita alla normale scadenza del rapporto, allo scopo di impedire la rinnovazione tacita del servizio svolto dal precedente gestore, inserendosi nel fisiologico sviluppo paritetico del rapporto, indipendentemente dalle ragioni addotte dall’amministrazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. V, n. 192 del 20 gennaio 2025


La destinazione di una zona a verde agricolo non deve necessariamente rispondere a finalità di tutela degli interessi dell'agricoltura, ma può essere imposta per soddisfare altre esigenze connesse con la disciplina urbanistica del territorio, quali la necessità di impedire un'ulteriore edificazione e mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi, anche ai fini di tutela ambientale; in altri termini, la destinazione a zona agricola non impone in positivo un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, ma ha, in negativo, lo scopo di evitare insediamenti residenziali e produttivi; in un territorio considerato quale complesso di ecosistemi interagenti la zona agricola possiede pertanto una valenza conservativa dei vincoli naturalistici, costituendo il polmone dell'insediamento urbano e assumendo per tale via anche una funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3430 del 29 novembre 2024


Al fine di assicurare massima tutela al principio della par condicio dei concorrenti, nell’interpretare la lex specialis, occorre attenersi rigidamente al criterio letterale. Ne consegue che, se il bando contiene clausole il cui significato letterale sia chiaro, all’interprete non resta altro che attribuire a tali clausole il predetto significato, e ciò anche nel caso in cui quest’ultimo possa portare a risultati illogici. In queste ipotesi infatti il rimedio non può consistere nel dare alla clausola il significato logico non aderente al dato letterale posto che, così facendo, verrebbe compromesso il principio della par condicio. I rimedi percorribili possono quindi essere o l’intervento in autotutela da parte della stazione appaltante, volto a emendare il bando, oppure l’impugnazione di quest’ultimo da parte del concorrente che si ritenga da esso pregiudicato. Ciò precisato, qualora la clausola del bando abbia invece un tenore letterale ambiguo, l’amministrazione può intervenire mediante chiarimenti i quali si qualificano come una sorta di interpretazione autentica con cui la stazione appaltante chiarisce la propria volontà, in un primo momento poco intellegibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis. Solo nel caso in cui il tenore letterale del bando sia chiaro e il chiarimento sia in contrasto con esso, il chiarimento stesso potrà essere disapplicato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 163 del 16 gennaio 2025





Al fine di rispettare le previsioni urbanistiche è necessario procedere a una interpretazione che conduca a riconoscere alle stesse un effetto utile e ne consenta una concreta applicazione, nel rispetto della c.d. interpretazione conservativa che, in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici (riferibile anche ai provvedimenti amministrativi), nel dubbio impone di seguire l’interpretazione che consente di mantenerne gli effetti anziché quella che ne determini la privazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3357 del 25 novembre 2024


L'autore dell’abuso è titolare in proprio della facoltà di chiedere la sanatoria dell’immobile, come espressamente riconosciuto dall’art. 36, comma 1, del D.P.R. 380/2001. Sul piano sostanziale le posizioni del proprietario dell’immobile e dell’autore dell’abuso sono disaccoppiate, e dunque sul piano processuale quest’ultimo è titolare di un autonomo interesse a ricorrere, che ben può permanere anche a fronte alla volontà di non opporsi all’ordine di ripristino manifestata dagli altri destinatari. Tale interesse si radica in beni della vita appartenenti esclusivamente all’autore dell’abuso, e tipicamente nell’esigenza di prevenire richieste risarcitorie. L’azione giudiziaria intrapresa dall’autore dell’abuso può risolversi di fatto a favore dei proprietari, ma non condiziona le prerogative connesse al diritto di proprietà. Spetterà quindi ai proprietari, nel caso di esito favorevole del ricorso, decidere se conservare il bene ormai regolarizzato o procedere comunque al ripristino, in virtù a quel punto di una libera scelta.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1000 del 16 dicembre 2024


L’art. 22-bis, comma 2, lett. a, del D.P.R. n. 327 del 2001 stabilisce che il decreto di occupazione d’urgenza relativo a una procedura espropriativa può essere adottato senza particolari indagini o formalità, in presenza di interventi di cui alla legge n. 443 del 2001 (c.d. “Legge obiettivo”); pertanto, nessuna motivazione particolare deve essere posta a giustificazione dell’emanazione di un decreto di occupazione d’urgenza, laddove si tratti di procedure finalizzate alla realizzazione di infrastrutture di interesse strategico, essendo in re ipsa tale urgenza. Difatti, tali interventi, per la loro stessa natura e per le finalità che intendono perseguire, oltre che per le procedure speciali con cui sono decisi, hanno in sé un connotato di urgenza, pertanto ben può ritenersi che l’esigenza della motivazione che giustifica il decreto di occupazione d’urgenza, nel caso di opere di cui alla legge n. 443 del 2001, coincida con la circostanza che l’opera sia stata effettivamente inclusa nel relativo programma approvato dal CIPE.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3632 del 13 dicembre 2024


Il TAR Milano precisa che secondo l'interpretazione preferibile dell’art. 41, comma 14, del d.lgs n. 36/2023, aderente alla littera legis, nella nuova disciplina gli oneri della manodopera quantificati dalla stazione appaltante non sono direttamente ribassabili, come accadeva nel sistema previgente, in quanto vanno scorporati dalla base d'asta da assoggettare a ribasso. Pertanto, ai fini dell'aggiudicazione rileva esclusivamente la percentuale di ribasso riferita all'importo dei lavori o dei servizi da appaltare, al netto dei costi del lavoro e della sicurezza. Tuttavia, come esplicitato nell'ultimo periodo dell'art. 41, comma 14, qualora l'operatore economico disponga di un'organizzazione aziendale particolarmente efficiente, che gli consenta di abbattere i costi della manodopera, questi ultimi possono essere diminuiti in via indiretta e riflessa, ossia offrendo un più elevato ribasso sull'importo dei lavori o dei servizi oggetto della commessa. Detto altrimenti, la formulazione del ribasso è consentita esclusivamente sul valore dell'appalto al netto della manodopera stimata dalla stazione appaltante (e al netto degli oneri di sicurezza), ma il concorrente ha la facoltà di ridurre indirettamente i costi del lavoro aumentando la percentuale di sconto praticata sulla componente direttamente ribassabile. Naturalmente, i minori costi della manodopera che l'operatore ritiene di sopportare in concreto vanno giustificati mediante la dimostrazione della propria efficienza aziendale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 3000 del 31 ottobre 2024


Il TAR Milano ricorda che con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; v) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo»

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3010 del 4 novembre 2024


Il TAR Milano, in un giudizio in cui si controverte della legittimità dell’ordinanza di sgombero e di rilascio del c.d. regresso (spazio, solitamente di modesta dimensione, annesso ad uno stabile e posto sul retro), dà atto che, secondo la giurisprudenza, il sindacato incidentale consentito così all’autorità amministrativa come al giudice amministrativo non può sconfinare nella risoluzione delle controversie devolute al giudice civile e si attua svolgendo accertamenti e valutazioni critiche sulle situazioni giuridiche quali appaiono dagli atti e dai fatti che l’ordinamento appresta per dare contezza delle situazioni stesse, occorrendo attenersi alle risultanze dei contratti scritti e degli altri documenti cui è possibile avere accesso. Il Collegio aggiunge che, in base a un orientamento ancora più restrittivo, il giudice amministrativo non può conoscere neppure in via incidentale dell’eventuale acquisto della proprietà dell’area a titolo originario da parte del Comune per effetto dell’asserita occupazione posta in essere per realizzazione una strada e in ordine al quale nessun potere l’autorità amministrativa avrebbe potuto esercitare, potendo per quanto riguarda le proprietà immobiliare, soltanto una sentenza civile accertare l’avvenuta usucapione decennale o ventennale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. V, n. 54 del 10 gennaio 2025


In occasione di un ricorso contro un permesso di costruire, il TAR Brescia ricorda che, nell'ambito amministrativo, sussiste la distinzione e l'autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, essendo necessario in via di principio che ricorrano entrambi, non potendo affermarsi che il criterio della "vicinitas", quale elemento di differenziazione, valga da solo e automaticamente a soddisfare anche l'interesse al ricorso. In particolare, nei casi di impugnazione di un titolo edilizio, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambe le condizioni dell'azione e non può mai affermarsi che il criterio della c.d. vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga, di per sé solo e in automatico, a dimostrare la sussistenza dell'interesse personale, diretto e concreto al ricorso, che va inteso come sussistente quando vi sia uno specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato, aggiungendosi che il ricorrente deve fornire la prova concreta del pregiudizio sofferto.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1033 del 23 dicembre 2024


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza è costante nel ritenere che non spetti al giudice amministrativo un generale potere di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi, al di fuori dei casi eccezionali degli atti presupposti di natura normativa, con esclusione della disapplicazione per gli atti generali privi di natura normativa, in quanto altrimenti si finirebbe per sovvertire le regole del giudizio impugnatorio, per snaturarne i caratteri essenziali e, in definitiva, per consentire l'elusione del termine di decadenza stabilito al fine di ottenere dal giudice amministrativo l'eliminazione degli atti lesivi di interessi legittimi. Non è quindi consentita la disapplicazione dello Studio del reticolo idrico minore del Comune e del Piano di indirizzo forestale della Provincia che hanno natura di atti generali.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 47 del 10 gennaio 2025


Il TAR Milano ricorda che nelle gare pubbliche l'esclusione di un'offerta per non conformità ai requisiti minimi, anche senza una specifica minaccia di esclusione, deve verificarsi solo quando la "lex specialis" definisce con assoluta certezza le caratteristiche e le qualità essenziali dell'oggetto dell'appalto o fornisce una descrizione che riveli in modo chiaro e inequivocabile l'importanza di tali caratteristiche. In situazioni in cui manca tale certezza e persiste un margine di ambiguità riguardo alla portata effettiva delle clausole del bando, il principio residuale prevede di interpretare la "lex specialis" nel rispetto del principio del "favor partecipationis", il quale promuove un più ampio confronto tra i concorrenti, e della necessità di specificità e chiarezza delle cause di esclusione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 73 del 13 gennaio 2025


Il TAR Milano precisa che non è rilevante il fatto che, in alcuni punti, l’area posta al di sotto di un soppalco abbia altezza pari a mt. 2.38, inferiore a quella fissata in deroga dall’ASL: la differenza di due centimetri è invero contenuta nel limite di tollerabilità previsto dall’art. 34, comma 2-ter, del d.P.R. n. 380 del 2001, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis, e applicabile, a parere del Collegio, anche per le valutazioni di carattere igienico, così come confermato esplicitamente dal nuovo art. 34-bis, comma 1-ter, dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001, introdotto con il d.l. n. 69 del 2024 convertito con legge n. 105 del 2024.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 55 del 10 gennaio 2025


Il TAR Milano ricorda che la circostanza che il provvedimento di approvazione della realizzazione di impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti determini automaticamente una variazione allo strumento urbanistico comunale non può certo significare che tale variante abbia carattere definitivo e non sia piuttosto da considerare operante sino alla cessazione degli effetti dell’autorizzazione cui è collegata. Sul punto la normativa non prende specifica posizione, limitandosi a stabilire che l’approvazione del progetto di un impianto di trattamento dei rifiuti costituisce variante allo strumento urbanistico comunale e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori. Tuttavia si rinvengono nel sistema una serie di indici che inducono a qualificare come temporanea e provvisoria la variazione dello strumento urbanistico, ancorandone la durata a quella del presupposto provvedimento autorizzatorio, alla cui scadenza deve ritenersi automaticamente ripristinata la previgente destinazione urbanistica dell’area con tutte le connesse conseguenze. Un primo aspetto di rilievo è costituito dalla stretta correlazione tra il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione e messa in funzione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti e il connesso effetto di variante allo strumento urbanistico che ciò determina, necessariamente funzionale a rendere attuabile l’intervento. L’interesse (pubblico) all’introduzione, in deroga alla regola generale, di una destinazione d’uso funzionale allo svolgimento di una attività considerata di preminente rilievo generale sussiste nella misura in cui tale attività risulta da attuare oppure in essere, mentre laddove la stessa nel frattempo sia venuta meno non risulta più persistere alcuna ragione per derogare all’assetto urbanistico preesistente. Di conseguenza, l’eventuale riconoscimento di una ultrattività alla destinazione impressa in sede di approvazione del progetto relativo all’impianto di smaltimento si giustificherebbe soltanto in ragione di una preesistenza fattuale, non filtrata attraverso alcuna valutazione in ordine alla permanenza di un interesse pubblico a tale mantenimento. Ulteriormente, la richiamata ultrattività della destinazione altererebbe anche l’ordine legale delle competenze in materia di destinazione d’uso dei suoli, visto che il Comune verrebbe definitivamente spogliato, in assenza di una espressa previsione di legge, della sua potestà urbanistica, attribuendo una portata estensiva alla normativa derogatoria (ossia all’art. 208, comma 6, del D. Lgs. n. 152 del 2006), che invece deve essere interpretata in maniera molto puntuale, ammettendosi la deroga alla richiamata competenza comunale soltanto nella perduranza dei presupposti, anche temporali, individuati dal legislatore.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3767 del 23 dicembre 2024


Il TAR Milano aderisce all’orientamento secondo il quale nel caso di opere eseguite su immobili, anche non vincolati, ubicati nei centri storici, l’individuazione della tipologia di sanzione da applicare, reale o pecuniaria, spetta all'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali e ambientali, che si esprime mediante un parere vincolante. Tale tipologia di atto, per il suo contenuto, ha valenza sostanzialmente decisoria, il che implica che il Comune deve attenersi a quanto stabilito dalla suddetta amministrazione. Esclusivamente nel caso in cui il parere non venga reso entro il termine previsto, la competenza si trasferisce all'amministrazione comunale

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3791 del 30 dicembre 2024


Il TAR Milano ricorda che in presenza di clausole di un bando o di un disciplinare ambigue o contraddittorie, deve essere privilegiata l’interpretazione favorevole all’ammissione alla gara invece che quella che tenda all’esclusione di un concorrente, in ossequio al canone del favor partecipationis, che sottende anche l’interesse pubblico al massimo dispiegarsi del confronto concorrenziale, inteso all’individuazione dell’offerta maggiormente vantaggiosa e conveniente per l’amministrazione appaltante, dovendo in difetto affermarsi l’illegittimità dell’esclusione dalla gara pronunciata in applicazione di disposizioni di lex specialis che, sebbene corredate dell’espressa comminatoria di esclusione, evidenziano tratti di ambiguità, incertezza o contraddittorietà.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3518 del 9 dicembre 2024


Il TAR Brescia, in materia di autorizzazione paesaggistica, ha ricordato che, quando la Soprintendenza si esprime con ritardo rispetto al termine che l'art. 146 d.lgs. 42/2004 le assegna, il Comune non è più vincolato a decidere in conformità al parere, ma deve decidere in autonomia, anche condividendo le conclusioni cui è giunta tardivamente la Soprintendenza, purché motivi sulle ragioni per cui aderisce al parere dell'organo ministeriale. Il provvedimento diventa illegittimo se il Comune aderisce alle conclusioni negative della Soprintendenza limitandosi a motivare per relationem.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 879 del 9 dicembre 2024


Il TAR Milano ricorda che quando il titolo convenzionale esista e sia efficace e non sia dichiarato nullo, né sia annullato o risolto o rescisso, l’istituto dell’indebito oggettivo non può trovare applicazione in relazione alla fattispecie della convenzione urbanistica, perché la prestazione patrimoniale rinviene la causa dell’obbligazione nell’accordo; ciò vale sia nelle ipotesi in cui la convenzione è ancora in tutto o in parte attuabile, anche in modo diverso rispetto all’intervento originariamente programmato, sia in quella in cui l’intervento non sarà mai attuato e dunque indipendentemente dall’effettiva trasformazione del territorio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3761 del 23 dicembre 2024


Sul supplemento ordinario n. 45 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 305 del 31 dicembre 2024 è pubblicato il decreto legislativo 31 dicembre 2024 n. 209, recante “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36”.


La legge di bilancio per l’anno 2025 (legge 30 dicembre 2024 n. 207, pubblicata sul supplemento ordinario n. 43 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 305 del 31 dicembre 2024) ha previsto all’art. 1, comma 813, la revisione della disciplina sui limiti dimensionali degli atti del processo amministrativo.
Questo è il testo:
813. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio, il comma 5 dell’articolo 13-ter delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato 2 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, è sostituito dai seguenti:
« 5. Indipendentemente dall’esito del giudizio, la parte che in qualsiasi atto del processo superi, senza avere ottenuto una preventiva autorizzazione, i limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo può essere tenuta al pagamento di una somma complessiva per l’intero grado del giudizio fino al doppio del contributo unificato previsto in relazione all’oggetto del giudizio medesimo e, ove occorra, in aggiunta al contributo già versato.
5-bis. Il giudice, con la decisione che definisce il giudizio, determina l’importo di cui al comma 5 tenendo conto dell’entità del superamento dei limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo nonché della complessità ovvero della dimensione degli atti impugnati o della sentenza impugnata.
5-ter. Si applica l’articolo 15 »


Il TAR Milano precisa che non può ritenersi sufficiente un mero rinvio a censure proposte avverso provvedimenti differenti, senza che siano specificamente riformulate con riferimento agli atti oggetto di impugnazione; ai sensi dell'art. 41 c.p.a., lett. d), l'esposizione dei motivi deve, infatti, essere specifica, per cui questi ultimi non possono essere dedotti in modo approssimativo, indistinto, astratto e generico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3781 del 30 dicembre 2024