Il TAR Brescia ricorda che, in tema di recinzione del fondo, la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 841 cod.civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. In particolare, il permesso di costruire, mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, lo è quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, così rientrando nel novero degli interventi di "nuova costruzione".

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 360 del 30 aprile 2024



Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 124 del 29 maggio 2024 è stato pubblicato il decreto legge n. 69 del 29 maggio 2024 recante "Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica".

Decreto Legge (estratto dal sito della Gazzetta Ufficiale).


Il TAR Milano osserva che prima dell’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967 (c.d. legge ponte) la quale, come noto, ha generalizzato l’obbligo della licenza edilizia, prima circoscritto ai soli centri abitati dall’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, non era necessario alcun particolare titolo per il cambio di destinazione d’uso. La prima disciplina del mutamento di destinazione d’uso con opere risale all’art. 1 della legge n. 10 del 1977 (c.d. legge Bucalossi), mentre il mutamento d’uso funzionale, cioè senza opere, è regolato a partire dall’art. 25 della legge n. 47 del 1985 (c.d. legge sul primo condono). Aggiunge che non rileva il regolamento edilizio comunale in vigore dal 1921 che esigeva la licenza edilizia (“nulla osta”) per le nuove costruzioni in tutto il territorio comunale, in quanto la norma regolamentare succitata concerneva la sola realizzazione di opere edilizie, ma nel caso di specie il cambio d’uso (da spazio spp a luogo con permanenza di persone) risultava essere stato realizzato senza opere. In ogni caso anche gli aspetti sopra indicati non risultano essere stati presi in adeguata considerazione dagli uffici comunali nel procedimento amministrativo, il che, per il TAR, conferma la fondatezza delle doglianze sul difetto di istruttoria e di motivazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1349 del 6 maggio 2024



Il TAR Milano precisa che il parere vincolante reso dalla Soprintendenza ex art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004 è atto tale da esprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva e come tale idoneo (se negativo) a determinare un arresto procedimentale, conseguentemente legittimandone l’immediata impugnazione in deroga alla regola secondo cui l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile. Laddove invece il ricorso sia proposto direttamente avverso l’atto conclusivo del procedimento, vi è l’onere di impugnare anche il sotteso parere negativo, quale atto ad esso presupposto.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1582 del 23 maggio 2024


Il TAR Milano osserva che l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’Autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1521 del 20 maggio 2024


Secondo il TAR Brescia, la demolizione di un bene vincolato con conseguente costruzione di altro manufatto avente medesima volumetria, ma ontologicamente diverso dall'opera originaria tutelata, non è qualificabile come “ristrutturazione”, ma costituisce nuova costruzione e richiede il previo rilascio di un permesso di costruire. Pertanto, considerato il rapporto tra titolo paesaggistico e titolo edilizio (che si sostanzia in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e urbanistiche), il progetto della nuova costruzione richiede non solo un nuovo e autonomo titolo edilizio ma anche una nuova valutazione paesaggistica.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 441 del 20 maggio 2024


Il TAR Milano osserva che la conoscenza effettiva del contenuto di un titolo edilizio non può essere integrata da comunicazioni da cui risulta soltanto l’esistenza del titolo e non anche le prescrizioni allo stesso riferite, poiché la mera conoscenza degli estremi formali di un titolo edilizio rilasciato a terzi non costituisce presupposto valido per la decorrenza del termine di impugnazione in sede giurisdizionale, occorrendo invece che l’interessato abbia la piena conoscenza degli elementi essenziali del titolo anzidetto (in particolare, dei suoi allegati tecnici, ovvero del contenuto specifico del progetto edilizio), dalla quale soltanto discende l’effettiva consapevolezza della lesione eventualmente subita. Del resto, in un’ottica più generale è stato affermato che la possibilità di contestare in sede giurisdizionale una determinazione amministrativa non può prescindere da una completa ed effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento, da cui discende altresì la conseguenza che il termine per l’impugnazione degli atti comincia a decorrere solo da quando l’interessato li abbia conosciuti. Ciò appare coerente con l’obiettivo di disincentivare la prassi dei ricorsi “al buio”, ovvero “in abstracto”, nella terminologia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, considerato che un siffatto rimedio sarebbe di per sé destinato ad essere dichiarato inammissibile, per violazione della regola sulla specificazione dei motivi di ricorso, contenuta nell’art. 40, comma 1, lettera d), del c.p.a.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1295 del 29 aprile 2024


Il TAR esamina un motivo di ricorso che si rivolge contro una disciplina urbanistica che prevede la necessità di presentare, prima del deposito della proposta di piano attuativo, un masterplan che coordini l’assetto urbanistico del piano attuativo con altro piano attuativo confinante. Secondo la ricorrente questa disposizione sarebbe illegittima in quanto prevedrebbe la formazione di un atto atipico (il masterplan appunto) non contemplato da alcuna disposizione normativa, e ciò in ritenuta violazione del principio di tipicità e nominatività degli atti amministrativi. Rileva inoltre la parte che, qualora si ritenesse che tale atto non sia giuridicamente vincolante, esso sarebbe del tutto inutile con conseguente illogicità della previsione che lo contempla. Ritiene il Collegio che questa censura sia infondata in quanto, in questo specifico caso, il masterplan non sostituisce né si aggiunge agli atti di disciplina del territorio previsti dalla legge avendo esso unicamente funzione dimostrativa del coordinamento degli atti di pianificazione attuativa riguardanti i due ambiti di trasformazione, la cui disciplina trova e troverà comunque esclusiva fonte in atti tipici quali il documento di piano e, appunto, i futuri piani attuativi. Nel caso specifico, inoltre, il masterplan deve essere prodotto dai lottizzanti senza necessità di coinvolgimento di altri soggetti pubblici o privati. Si versa quindi in fattispecie diversa da quella esaminata in precedenti sentenze emesse dal T.A.R. (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 26 aprile 2017, n. 946; id. 22 luglio 2014, n. 1972) laddove al masterplan era stata assegnata funzione di vero e proprio strumento di pianificazione che sia affiancava a quelli tipici. La mancanza di effetti giuridici vincolanti non costituisce poi indice di inutilità dell’atto avendo esso funzione dimostrativa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1538 del 20 maggio 2024


Il TAR Milano precisa che in presenza di incrementi di superficie o cubatura non è ammesso il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato e non è consentito operare distinzioni tra un volume c.d. tecnico e un altro tipo di volume. Non assume poi alcun rilievo la visibilità o meno dell’opera dalla via pubblica, tant’è vero che la preclusione al rilascio di autorizzazioni in sanatoria postume prevista all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004 trova applicazione ogni qual volta siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura, anche laddove essi siano interrati, a nulla rilevando il fatto che non rappresentino un ostacolo o una limitazione per le visuali panoramiche (nel caso di specie è stato negato il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria poiché lo spostamento del vano ascensore – in difformità da quanto previsto dal titolo edilizio - ha determinato la creazione di un volume che fuoriesce dalla sagoma dell’immobile per un’altezza di tre metri).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1571 del 21 maggio 2024


Il TAR Milano osserva che, in via di principio, se è vero che il provvedimento che faccia applicazione di una norma dichiarata incostituzionale è affetto da invalidità derivata, è altrettanto vero che ciò non attribuisce al giudice amministrativo il potere di sindacare a tutto tondo il provvedimento. La giurisprudenza consolidata, che il Collegio condivide, distingue infatti gli effetti della pronuncia d’incostituzionalità a seconda che la norma in questione attenga all’an ovvero al quomodo del potere. Nella prima ipotesi, il rilievo dell’incostituzionalità della norma può essere compiuto officiosamente dal giudice; nella seconda ipotesi, esso incontra il limite di quanto sollevato dalla parte. Segnatamente, l'illegittimità costituzionale di una norma che disciplina il quomodo di esercizio del potere legittima il giudice all'annullamento del provvedimento soltanto qualora il ricorrente abbia articolato uno specifico motivo relativo alla illegittimità costituzionale della norma o almeno qualora abbia utilizzato tale norma come parametro di legittimità dei motivi di ricorso, pur non rilevandone espressamente la costituzionalità.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1507 del 17 maggio 2024


Il Tar Milano richiama e fa proprio l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, a seguito dell'annullamento dello strumento urbanistico, l’area non riacquista automaticamente la propria antecedente destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata e cioè come c.d. zona bianca. L’amministrazione comunale è tenuta ad esercitare la propria discrezionale potestà di conformazione del territorio, attribuendo una congrua destinazione a tali aree, anche prescindendo dall’istanza del privato. L’annullamento dello strumento urbanistico, quindi, non comporta automaticamente né la reviviscenza della precedente disciplina urbanistica, né l’applicabilità della destinazione urbanistica delle aree limitrofe, ma configura un obbligo di ripianificazione in capo all’amministrazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1399 del 9 maggio 2024


Il TAR Milano precisa che le opere realizzate senza autorizzazione all’interno di un territorio protetto, anche se astrattamente riconducibili al concetto di pertinenza, ivi comprese le tettoie, debbono comunque sottostare a misure ripristinatorie e di reintegro ambientale di cui agli artt. 167 e 181 del D. Lgs. n. 42 del 2004: difatti, nel caso in cui gli illeciti edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1308 del 30 aprile 2024


Il TAR Milano ricorda che: a) gli impegni assunti in sede convenzionale - al contrario di quanto si verifica in caso di rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio - non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma a base dell'accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti; b) la causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione; c) non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1442 del 14 maggio 2024


Il TAR Milano precisa che la mancata impugnazione del diniego di autotutela in relazione ad un provvedimento di aggiudicazione non impedisce di impugnare in modo autonomo il provvedimento di aggiudicazione e, per converso, la mancata impugnazione di tale diniego non comporta una possibile causa di inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso già proposto avverso l'aggiudicazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1297 del 29 aprile 2024


Il TAR Milano osserva che l’art. 10, comma 3, lettera d), del d.lgs. n. 42/2004 si occupa dei c.d. beni culturali per riferimento o di interesse storico indiretto, per i quali l’accento è posto più che sul loro intrinseco pregio artistico, archeologico o etnoantropologico, sulla loro colleganza col contesto storico o sul ricordo di civiltà che essi riaccendono nella memoria della collettività. Resta inteso che il dato storico al quale connettere il rilievo culturale del bene ben può consistere non solo in un evento o in un fatto isolato di particolare importanza nella sua unicità, ma anche in un fenomeno sociale di vasta portata, del quale il bene sia l’epifania. Tuttavia, man mano che tale bene si allontana dall’ancoraggio offerto dai peculiari accadimenti della storia e dei suoi protagonisti, per avvicinarsi, piuttosto, alle grandi linee di tendenza dell’evoluzione sociale, tanto più la motivazione offerta a sostegno del vincolo deve divenire stringente, al fine di dimostrare la necessità di cogliere nell’oggetto del vincolo stesso un riflesso immediato e pregnante di quella tendenza. E, sotto tale profilo, un provvedimento di vincolo pronunciato ai sensi del comma 3, lett. d), dell’art. 10 si espone alla censura di un esercizio sviato del potere, ogni qual volta gli atti impugnati rivelino che la decisione dell’amministrazione di imporre il vincolo sia tratteggiata, anche e particolarmente, con riguardo alle qualità artistiche intrinseche di esso. In tali casi, l’assegnazione di alto rilievo ponderale a fattori in linea di principio estranei alla configurazione astratta del potere equivale a confessare che si è inteso ricorrere alla lett. d), in carenza dei requisiti temporali che avrebbero permesso di applicare il vincolo previsto ad altri fini, quali, in particolare, il valore artistico dell’opera.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1430 del 13 maggio 2024


Il TAR Milano ricorda che, ai sensi dell’art. 167 comma 5 D. Lgs. 42/2004, il procedimento per l’accertamento della compatibilità dei lavori eseguiti in difformità dall’autorizzazione paesaggistica si snoda in tre momenti fondamentali: l’istanza che deve essere presentata dall’interessato; il parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni; il provvedimento conclusivo dell'autorità competente (Comune nel caso di specie), che deve essere emesso nel termine perentorio di 180 giorni; aggiunge quindi che il superamento del termine di 90 giorni per il pronunciamento consultivo della Soprintendenza non rende illegittimo il parere tardivo, ma ne determina esclusivamente la dequotazione a parere non vincolante, con conseguente possibilità, per il Comune, di discostarsene.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1319 del 2 maggio 2024


Il TAR Milano osserva che, dal combinato disposto dei commi terzo e sesto dell’art. 20 del D.P.R. n. 380/2001, si ricava che il termine per la conclusione del procedimento instaurato a seguito di presentazione di domanda di rilascio di permesso di costruire è pari a 90 giorni, di cui sessanta assegnati al responsabile del procedimento per la formulazione della sua proposta e 30 assegnati all’organo competente per l’adozione dell’atto finale, aumentati a 40 giorni nel caso in cui sia stato emanato il preavviso di rigetto. In base ai commi 4 e 5 dello stesso art. 20, il termine assegnato al responsabile del procedimento può essere sospeso, ove questi inviti formalmente l’istante ad apportare modifiche al progetto, oppure interrotto per una sola volta per la motivata richiesta di integrazioni a completamento della documentazione presentata. Il termine di 60 giorni, dunque, è riferibile soltanto alla fase dell’istruttoria e della correlata formulazione della proposta di provvedimento, cui fa seguito l’ulteriore termine previsto per la fase decisoria in capo all’organo competente, nell’ottica, tuttavia, di un procedimento unitario seppure bifasico che ha durata massima di 90 giorni, aumentabili a 100 nel caso in cui intervenga il preavviso di rigetto. Il decorso del primo termine, pertanto, non determina la formazione per silentium del titolo, avendo ancora l’amministrazione un ulteriore periodo di tempo per la valutazione dell’accoglibilità o meno della proposta formulata in fase istruttoria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1291 del 29 aprile 2024


Si informa che l’evento formativo della Camera Amministrativa dell’Insubria del 24 maggio 2024 “Crisi ambientale e climatica: il diritto amministrativo di fronte alla transizione” (relatore: prof. Emanuele Boscolo) è differito al 18 ottobre 2024, con gli stessi orari e stessa modalità (Webinar).


Il TAR Milano osserva che la formazione del titolo per silentium (nella fattispecie condono edilizio) non può certo avvenire in presenza di un vincolo di inedificabilità che riguarda la zona di interesse, e ciò sulla base del principio per cui non può ottenersi per via tacita ciò che non potrebbe conseguirsi mediante l’ordinario svolgersi del procedimento amministrativo; con la conseguenza che il titolo tacito potrà formarsi solo ove la relativa istanza abbia tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per poter essere accolta in via ordinaria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1344 del 3 maggio 2024


Il TAR Brescia, in materia di danno ambientale, ribadisce i principi giurisprudenziali secondo cui la responsabilità per i danni all'ambiente rientra nel paradigma della responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva. Nello specifico, il D.Lgs. n. 152 del 2006 riconosce alla P.A. il potere di ordinare al privato di eseguire la bonifica attraverso l'emanazione dell'ordinanza ex art. 244, comma 2, che, tuttavia, può essere emanata solo nei confronti del responsabile della contaminazione; pertanto, ai sensi dell'art. 242 D. Lgs. n. 152 del 2006, gravano sul solo responsabile dell'inquinamento gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione, non essendo configurabile una responsabilità in via automatica, in maniera oggettiva, per posizione o per fatto altrui, e, quindi, l'obbligo di bonificare per il solo fatto di rivestire una data qualità, ove non si dimostri l'apporto causale colpevole del soggetto al danno ambientale riscontrato.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 354 del 29 aprile 2024


Il TAR Milano ricorda che l’art. 95, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che, qualora la stazione appaltante decida di far ricorso al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la stessa deve indicare nella lex specialis di gara <<…i criteri di valutazione e la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi [...]. Per ciascun criterio di valutazione prescelto possono essere previsti, ove necessario, sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi>>. Questa norma ha l’evidente finalità di assicurare il rispetto del principio di trasparenza mediante l’imposizione, in capo alla stazione appaltante, dell’obbligo di predisposizione preventiva di una griglia di valutazione che dovrà essere applicata dalla commissione di gara ai fini dell’attribuzione del punteggio tecnico alle singole offerte. La griglia di valutazione deve, come visto, indicare gli elementi ponderali che dovranno essere valutati al fine di stabilire quale sia il pregio tecnico dell’offerta e, per ogni elemento ponderale, deve essere stabilito il punteggio ad esso attribuibile. La disposizione precisa peraltro che, qualora ritenuto necessario, la stazione appaltante può procedere alla disaggregazione di ciascun criterio, individuando sub-criteri ai quali deve essere collegato il relativo punteggio. A questo proposito, la scelta operata dall’amministrazione appaltante di procedere alla disaggregazione eventuale del singolo criterio valutativo in sub-criteri è espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l'interesse pubblico; come tale è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità solo allorché sia macroscopicamente illogica, irragionevole e irrazionale ed i criteri non siano trasparenti ed intellegibili.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1353 del 6 maggio 2024


Il TAR Brescia precisa che la base normativa della monetizzazione è contenuta nell’art. 46 comma 1-a della LR 12/2005 che consente all’amministrazione di sostituire la cessione delle aree con “una somma commisurata all'utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree”. L’art. 51 comma 5 della LR 12/2005 precisa che la quantificazione dell’utilità economica può avvenire in via astratta e generale nel Piano dei Servizi, al quale è demandato il compito di stabilire “i criteri e le modalità” della monetizzazione. Risulta, quindi, legittima la previsione di importi unitari omogenei per ciascuna tipologia di destinazione d’uso, indipendentemente dalle caratteristiche dei luoghi dove si collocano le nuove edificazioni o dove si trovano le aree che dovrebbero essere cedute. Chiarito che la monetizzazione è una scelta discrezionale dell’amministrazione, la fissazione in via preventiva di parametri svincolati dal caso concreto assicura la certezza del diritto per i privati a cui viene chiesta la prestazione patrimoniale. Allo stesso tempo, viene tutelata l’amministrazione, la quale potrà effettuare una valutazione comparativa, preferendo la cessione qualora la somma ricavabile dalla monetizzazione non fosse più in linea con i valori di mercato.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 349 del 26 aprile 2024



Il TAR Milano ricorda che, ai sensi dell’art. 106, comma 3, c.p.a., contro le pronunce di primo grado la revocazione è proponibile solo se i motivi non possono essere dedotti con l'appello. Quindi vi è un rapporto meramente suppletivo della revocazione rispetto all'appello. Infatti, dato che i termini della revocazione ordinaria (art. 395, n. 4. c.p.c.) sono identici ai termini dell'appello, i vizi di revocazione ordinaria delle pronunce dei T.A.R. si convertono in motivi di appello e si fanno valere con il rimedio dell'appello. Dunque la possibilità di appello delle statuizioni di primo grado non meramente interlocutorie esclude la possibilità di reclamo/revoca al medesimo organo giurisdizionale che ha emesso la pronuncia. In quest’ottica la possibilità di revoca delle ordinanze cautelari, sancita dall’art. 58 c.p.a., è da considerarsi eccezionale e non espressione di un principio applicabile in via analogica a ogni decisione incidentale assunta nell’ambito del giudizio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1299 del 29 aprile 2024


Il TAR Milano ricorda che, secondo la giurisprudenza, sul piano generale, deve essere disattesa la prospettazione volta ad escludere dall’accesso dei terzi gli atti dei procedimenti sanzionatori, atteso che non esiste alcuna previsione normativa che ponga un divieto generale all’accesso di terzi ai documenti acquisiti nell’ambito di procedimenti amministrativi sanzionatori e che anche in relazione a tale tipologia di procedimenti, occorre aver riguardo non già alla relazione dell’istante con il procedimento nel cui ambito la res exhibenda sia stata acquisita dalla pubblica amministrazione, bensì alla relazione esistente tra documento amministrativo e necessità dell’istante di curare o difendere un proprio interesse giuridico; aggiunge il TAR che gli atti di accertamento, contestazione e la stessa ordinanza-ingiunzione disciplinati dalla legge n. 689/81 (artt. 13, 14 e 18) non si sottraggono alla nozione di "documento amministrativo" di cui alla successiva L. n. 241/90.

TAR Lombardia, Milano, Sez. V, n. 1262 del 26 aprile 2024