Il TAR Brescia, con riferimento alla problematica relativa all'ammissibilità di una valutazione d'impatto ambientale su impianti preesistenti all'entrata in vigore dell’istituto e, quindi, mai sottoposti ad un giudizio di compatibilità con il contesto ambientale in cui sono stati localizzati, osserva:
<<La questione è stata affrontata anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 209 del 2011) la quale ha preliminarmente evidenziato che «né la direttiva n. 85/337/CEE, né il cosiddetto Codice dell'ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante "Norme in materia ambientale") disciplinano espressamente l'ipotesi di rinnovo di autorizzazione o concessione riguardanti un'attività avviata in un momento in cui non era prescritto l'obbligo di sottoposizione a VIA. Pertanto, la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale sono state chiamate a dare risposta al quesito se sia possibile - stante il carattere preventivo della VIA, riguardante piani e progetti - estendere l'obbligo di effettuarla ad opere per le quali tale valutazione non era necessaria al momento della loro realizzazione».
La V.I.A. è, infatti, una procedura di supporto per l'autorità competente volta ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un'opera, il cui progetto è sottoposto ad autorizzazione. Essa è quindi un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull'ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo consiste nel proteggere la salute, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile (ex multis T.A.R. Campania, Napoli sez. V, 01/03/2021, n.1327). Ne consegue che, in linea generale, poiché l’oggetto della valutazione è il progetto di un’opera o di una sua modifica ancora da attuare, valutare ciò che è già stato realizzato ed edificato vanificherebbe gli obiettivi che il legislatore euro-unitario e nazionale si sono prefissati, (analizzare ex ante se la localizzazione e la realizzazione di una determinata opera, per come progettata, sia conciliabile con il determinato contesto geografico prescelto per la sua costruzione e, ove questo interrogativo sortisca una risposta favorevole, quale sia la soluzione progettuale che permetta di ottimizzare l'edificazione dell'opera con i preminenti valori presidiati mediante l'istituto in esame).
Poiché, quindi, l’intera procedura ha come postulato la modificabilità del progetto, non avrebbe senso effettuare la valutazione dopo la realizzazione dell’opera.
Sulla scia di tale impostazione si colloca l’art. 29 del codice dell’ambiente che prevede l’eccezionale possibilità di effettuare una valutazione di impatto ambientale c.d. “postuma” per assicurare alla Direttiva del 1985 il c.d. “effetto utile”, il quale non deve però essere esteso sino a consentire di «rimettere in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le attività ab antiquo esistenti. Ciò sarebbe contrario al ragionevole bilanciamento che deve esistere tra l'interesse alla tutela ambientale ed il mantenimento della localizzazione storica di impianti e attività, il cui azzeramento - con rilevanti conseguenze economiche e sociali - sarebbe l'effetto possibile di un'applicazione retroattiva degli standard di valutazione divenuti obbligatori per tutti i progetti successivi al 3 luglio 1988, data di scadenza del termine di attuazione della suddetta direttiva, già definita "spartiacque" dalla sentenza n. 120 del 2010 di questa Corte» (cfr. Corte Costituzionale, sent. 209/11, cit.). Anche in questo caso, quindi, il giudizio di compatibilità ambientale riguarderà solo il progetto di modifica o di ampliamento dell'impianto, senza estendersi all'intera opera, e sempre che ricorra il presupposto delle «notevoli ripercussioni negative sull'ambiente» (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 14/07/2020, n.3086).>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 406 del 27 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale il Collegio non ha motivo per discostarsi, poiché l’esercizio del potere di autotutela è del tutto libero quanto all’an, l’Amministrazione non ha l’obbligo di riscontrare le domande proposte dai privati che hanno lo scopo di sollecitarne l’esercizio (cfr., fra le tante, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 5 luglio 2021, n.7870). Del resto, se quest’obbligo fosse sussistente, si darebbe la possibilità al destinatario di contestare tardivamente il provvedimento lesivo eludendo il termine perentorio di impugnazione: l’interessato, infatti, potrebbe sempre impugnare, se non ancora satisfattivo, il successivo provvedimento emesso a riscontro dell’istanza.
Anzi, si può dire, da punto di vista più generale, che l’amministrazione non ha un obbligo incondizionato di dare risposta alle istanze rivoltele dai privati. Quest’obbligo infatti, pur se di ampio respiro, richiede la sussistenza di una base normativa o, perlomeno, la sussistenza di ragioni di giustizia e di equità che impongano all'amministrazione di adottare un provvedimento di riscontro, ragioni rinvenibili allorquando, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’autorità (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 21 giugno 2021, n. 4770; id., 12 settembre 2018, n. 5344)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 882 del 20 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento alla realizzazione di una piscina in fascia di rispetto stradale, osserva che una volta accertata la sussistenza del vincolo di rispetto stradale, risulta del tutto legittimo il diniego di sanatoria, poiché “il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi” (Consiglio di Stato, II, 12 febbraio 2020, n. 1100; anche, T.A.R. Lazio, Roma, II stralcio, 29 marzo 2022, n. 3548).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 819 del 11 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<1.2. ... in presenza di una seconda richiesta di accesso avente per oggetto gli stessi documenti già chiesti e negati dall’Amministrazione, la P.A. non ha alcun obbligo di rivalutare l’istanza, salvo che essa sia fondata su fatti e interessi non presi in considerazione in occasione della prima richiesta ostensiva. In tal senso si esprime la costante giurisprudenza, condivisa dal Collegio: «La mera reiterazione di una richiesta di accesso agli atti già rigettata dalla destinataria, che non sia basata su elementi nuovi rispetto alla richiesta originaria o su una diversa prospettazione dell'interesse a base della posizione legittimante l'accesso, non vincola l'amministrazione ad un riesame della stessa e rende legittimo e non autonomamente impugnabile il provvedimento meramente confermativo del precedente rigetto, già frapposto al medesimo soggetto e non fatto oggetto da questi di impugnativa nel termine» (T.A.R. Abruzzo, I, 23 settembre 2021, n. 427; cfr.: T.A.R. Campania, Napoli, VI, 7 giugno 2021, n. 3782; T.A.R Umbria, I, 7 dicembre 2020, n. 577).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 902 del 21 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Tar Milano osserva che:
<<14.2 La giurisprudenza ha sottolineato come la procedura di project financing individua due serie procedimentali strutturalmente autonome, ma biunivocamente interdipendenti sotto il profilo funzionale, la prima di selezione del progetto di pubblico interesse, la seconda di gara di evidenza pubblica sulla base del progetto dichiarato di pubblica utilità, quest'ultima a sua volta distinta nelle subfasi di individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa e di eventuale esercizio da parte del promotore del diritto di prelazione (Cons. Stato, V, 19 giugno 2019, n. 4186).
In tale ambito, viene costantemente affermato che la fase preliminare di individuazione del promotore, ancorché procedimentalizzata, è connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, tale da non potere essere resa coercibile nel giudizio amministrativo di legittimità (Cons. Stato, III, 20 marzo 2014, n. 1365; III, 30 luglio 2013, n. 4026; 24 maggio 2013, n. 2838; V, 6 maggio 2013, n. 2418), essendo intesa non già alla scelta della migliore fra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici preordinati, ma alla valutazione di un interesse pubblico che giustifichi, alla stregua della programmazione delle opere pubbliche, l'accoglimento della proposta formulata dall'aspirante promotore (Cons. Stato, V, 31 agosto 2015, n. 4035); che lo scopo finale dell'intera procedura, interdipendente dalla fase prodromica di individuazione del promotore, è l'aggiudicazione della concessione in base al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (Cons. Stato, V, 14 aprile 2015, n. 1872; VI, 5 marzo 2013, n. 1315).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 879 del 19 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento al disposto dell’ultimo periodo del comma 5 dell'art. 5 della L.R. n. 31/2014 che, nel testo originario, stabiliva che “la validità dei documenti comunali di piano, la cui scadenza intercorra prima dell’adeguamento della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma 2, è prorogata di dodici mesi successivi al citato adeguamento”, osserva:
<<15.2. Tale disposizione non comporta la cristallizzazione del Documento di Piano scaduto prima dell’entrata in vigore della L.r. n. 31/2014 né osta ad una nuova pianificazione comunale.
15.3. In relazione al primo dei profili sopra indicati la Sezione nota come costituisca principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto. Il principio è applicabile in relazione ad ogni provvedimento amministrativo che sia sottoposto ad un termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre la prosecuzione dell’efficacia nel tempo di un originario provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza preclusa per sopravvenuta inefficacia dell’atto abilitativo, occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più approfondita valutazione che tenga conto della situazione di fatto e delle regole giuridiche sopravvenute (cfr. Consiglio di Stato, V, 27.8.2014, n. 4384; IV, 22.5.2006, n. 3025; 22.12.2003, n. 8462; Id., 25.3.2003, n. 1545; Id., Sez. VI, 10.10.2002, n. 5443). Ciò vale anche per le proroghe disposte con atti normativi. Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il solo fine di estendere la validità temporale di un provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia temporale della disciplina di regolazione dell’interesse pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità e l’opportunità di reintrodurre una regolazione dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo). Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie, non può che valere la regola di irretroattività degli effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su fattispecie ormai esaurite. In secondo luogo, l’utilizzo del termine “intercorra”, contenuto nell’art. 5, co. 5, della legge regionale n. 31 del 2014, lascia chiaramente intendere che legislatore regionale vuole disporre la proroga dei documenti di piano che vengano a scadenza in un arco temporale delimitato e successivo a quello di entrata in vigore della norma. In ultimo, la finalità della norma è, infatti, quella di intervenire in favore dei Comuni che – proprio perché aventi documenti di piano che vengono a scadenza dopo l’entrata in vigore della legge ma prima dell’approvazione degli atti di adeguamento provinciale – verrebbero forzatamente privati di tale atto di pianificazione: tali comuni, invero, non potrebbero approvarne uno nuovo fino all’approvazione dell’atto di adeguamento provinciale. L’intervento non è invece giustificato nei casi in cui i Comuni abbiano liberamente deciso di lasciar scadere il documento di piano prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 31 del 2014. Si tratterebbe invero di intervento in contrasto con la loro volontà, dato che a questi enti verrebbe imposta la vigenza di un atto che (proprio perché lasciato liberamente scadere) è ormai evidentemente ritenuto non più rispondente all’interesse pubblico. Né si può opporre che la soluzione qui seguita pregiudichi eccessivamente gli interessi dei privati, atteso che questi hanno comunque a disposizione un periodo di cinque anni per presentare proposte di piani attuativi. Si deve, pertanto, ritenere che l’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014 non si riferisca ai documenti di piano già scaduti e che, quindi, non possa far rivivere la disciplina contenuta nel previgente documento di piano, ormai definitivamente privo di efficacia (T.A.R. Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 15.3.2018, n. 734; Id., 17.10.2017, n. 1985; Id., 7.6.2017, n. 1272).
15.4. Va aggiunto, inoltre, che con la legge regionale n. 16 del 2017 è stato altresì modificato il secondo periodo dell’art. 5, co. 5, della legge regionale n. 31 del 2014, attribuendo al Consiglio comunale la facoltà di scelta in ordine alla proroga della validità dei documenti di piano già scaduti [“La validità dei documenti di piano dei PGT comunali la cui scadenza è già intercorsa può essere prorogata di dodici mesi successivi all’adeguamento della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma 2, con deliberazione motivata del consiglio comunale, da assumersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge regionale recante “Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per lo riqualificazione del suolo degradato)”, ferma restando la possibilità di applicare quanto previsto al comma 4”]. Pur volendo ritenere, non senza qualche dubbio, la disposizione priva di efficacia retroattiva, dalla stessa si ricava comunque la conferma dell’indirizzo seguito dalla Sezione anche nel presente contenzioso.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 788 del 8 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano esamina un motivo di ricorso con i quale si denuncia che ragioni di effettività e di efficienza avrebbero imposto alla stazione appaltante - nelle more della decorrenza del termine per l’impugnazione rideterminato alla luce dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 12/2020 (secondo cui la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la “dilazione temporale” quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti oggetto dell’istanza di accesso agli atti che non risultano pubblicati sul profilo del committente) - di adeguare il termine di cui all’art. 32, comma 9, del D.lgs. 50/2016 in funzione dell’effettiva decorrenza del termine d’impugnazione che può essere diverso da caso a caso; secondo parte ricorrente, in caso contrario sarebbe violato lo stand still processuale previsto dal comma 11 del citato art. 32, con la conseguenza che all’operatore economico verrebbe preclusa una piena ed effettiva tutela giurisdizionale.

Il TAR ritiene il motivo infondato sulla base del seguente percorso motivazionale:
<<Ai sensi dell’art. 32, comma 9 del D.lgs. n. 50/2016 “Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione”.
La disposizione stabilisce, quindi, espressamente il dies a quo della decorrenza del termine dilatorio di cui si discute nella data di comunicazione del provvedimento di aggiudicazione.
Non è contestato che tale termine sia stato rispettato.
Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, l’interpretazione di cui alla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 12/2020 è esclusivamente riferibile al termine di impugnazione degli atti, e risponde al principio di garanzia del diritto di difesa (che può essere compiutamente esercitato solo a fronte della piena conoscenza dell’atto e quindi dal momento in cui la piena conoscenza si è verificata), ma non può estendersi a termini diversi, quale quello di cui all’art. 32 comma 9 D.lgs. 50/2016.
Tale disposizione infatti connette il decorso del termine per la stipulazione del contratto all’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione, quindi ad una circostanza oggettiva, certa e governabile dalla sola stazione appaltante, nell’ottica di un contemperamento tra l’esigenza di tutela, in particolare cautelare, degli interessi legittimi dei concorrenti e quella di una pronta esecuzione degli affidamenti delle commesse pubbliche. Tale equilibrio verrebbe meno se si facesse dipendere il termine di stand still per la sottoscrizione del contratto dall’accesso agli atti dei concorrenti e dalla relativa acquisizione documentale, determinandosi la totale incertezza circa l’inizio dell’esecuzione degli affidamenti pubblici.
Verrebbe in sostanza vanificata la celerità della procedura e del rito processuale cui è improntata la materia delle commesse pubbliche, senza che tale esito sia giustificato alla luce delle chiare disposizioni applicabili.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 845 del 14 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che la pianificazione acustica, proprio perché intesa a governare l'assetto del territorio sotto il distinto profilo della tutela ambientale e della salute umana, attraverso la più coerente ed opportuna localizzazione delle attività umane in relazione alla loro rumorosità, deve necessariamente porsi l’obiettivo della riduzione dei rumori, e non limitarsi a fotografare l’esistente, “al fine di realizzare la piena tutela del riposo e della salute, la conservazione degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo e dell'ambiente esterno” (così, tra le altre, TAR Milano, sez. III, n. 1 del 2021, e sez. IV, 14 gennaio 2015, n. 133).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 780 del 6 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Per il TAR Milano è illegittima la norma del regolamento edilizio che impone ai notai, in caso di compravendita dell’immobile, di allegare il certificato di idoneità statica all’atto di vendita. Trattandosi di aspetto afferente a profili di matrice civilistica, in quanto incidente sulle modalità di circolazione dei diritti reali immobiliari, lo stesso incorre nel divieto di introduzione di previsioni, oltre che di origine regionale, di matrice comunale, poiché “l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire sul territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati. Il limite dell’ordinamento civile, quindi, identifica un’area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprende i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione” (Corte costituzionale, sentenza n. 138 del 6 luglio 2021; sentenza n. 113 del 31 maggio 2018).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 852 del 14 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia osserva che:
<<Deve, pertanto, essere ritenuta “escludente” qualunque disposizione, contenuta nella lex specialis della gara, che, a prescindere dal suo contenuto (e cioè indipendentemente dal fatto che abbia ad oggetto un requisito soggettivo o un adempimento da assolvere contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione) sia tale da precludere la partecipazione dell'impresa interessata a contestarla o comunque da giustificare una prognosi, ragionevolmente certa, di esito infausto della sua partecipazione. In tali ipotesi, infatti, «l'impugnazione del provvedimento che sancisca formalmente l'esclusione o la mancata aggiudicazione sarebbe tardiva, essendo ormai cristallizzate le relative vincolanti premesse nella inoppugnata (ed inoppugnabile) lex specialis, dall'altro lato, la presentazione della domanda di partecipazione rappresenterebbe un adempimento superfluo, se non contraddittorio (con l'affermata inutilità della partecipazione), non presentando alcuna funzionalità rispetto al soddisfacimento dell'interesse perseguito (alla partecipazione e/o aggiudicazione della gara), il quale non potrebbe che avvenire, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso, mediante la rinnovazione ab imis dell'iter procedimentale» (Consiglio di Stato sez. V, 22 novembre 2019, n.7978, in terminis anche Consiglio di Stato sez. III, 21 gennaio 2019, n.513)>>.
Aggiunge inoltre il TAR che:
<<in caso di impugnativa di una clausola escludente di un bando, non sono configurabili controinteressati in senso formale (ex multis T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 27 maggio 2020, n. 5646): la ricorrente mira qui a ottenere la rinnovazione della gara emendata dalle clausole che ne avrebbero impedito la partecipazione, con la conseguenza che gli altri partecipanti solo titolari di un interesse di mero fatto perché conservano intatto il proprio interesse all'aggiudicazione della gara, eventualmente da rinnovare; non può, infatti, configurarsi come interesse legittimo quello a confrontarsi con una platea meno ampia di concorrenti (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 10 febbraio 2022, n.186)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 310 del 31 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento a un intervento di ristrutturazione edilizia di demolizione e ricostruzione di capannone industriale andato distrutto a causa di un incendio, precisa che il contributo di costruzione – previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione – gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria «rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio» (Consiglio di Stato, Ad. plen., 7 dicembre 2016, n. 24; altresì Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; IV, 31 luglio 2020, n. 4877; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 maggio 2019, n. 1198).
Pertanto, laddove l’intervento edilizio non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico, nessun contributo risulta dovuto in capo al privato che ha realizzato il predetto intervento (per fattispecie assimilabili, cfr. Consiglio di Stato, IV, 30 maggio 2017, n. 2567 e T.A.R. Piemonte, II, 21 maggio 2018, n. 630; più in generale, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 10 maggio 2018, n. 1242).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 820 del 11 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<4.6 Deve quindi ritenersi che, secondo la legge regionale, siano iscrivibili più in generale tutti gli atti di cessione che provengano da atti con i quali il Comune ed il privato hanno concordato la cessione di aree pubbliche in cambio di volumetria edificabile, anche se la volumetria non è stata attribuita a titolo perequativo o compensativo, in quanto partecipi della stessa ratio che soggiace alla creazione del suddetto Registro.
4.7 Questa interpretazione permette anche di evitare disparità di trattamento rispetto a cessioni non perequative.
Infatti i piani di nuova generazione, compreso quello di Milano, mantengono la duplicità delle fonti di acquisizione di aree pubbliche da parte del Comune, affidata sia a strumenti di nuova generazione fondati sull’attribuzione di volumetria “a priori”, mediante una norma generale ed astratta contenuta nel PGT (perequazione e compensazione), sia a strumenti per così dire “classici”, mediante i quali lo scambio tra cessione di aree e riconoscimento di volumetria deriva da piani attuativi ed accordi lottizzatori, cioè strumenti di secondo livello.
Ne consegue che la mancanza di identiche forme di pubblicità per le convenzioni di lottizzazione che producano effetti analoghi a quelli creati dalla perequazione urbanistica o dalla compensazione, darebbe vita ad una disparità di trattamento difficilmente comprensibile, mentre la pubblicità permetterebbe di far venire alla luce quegli scambi stipulati in fase attuativa, che spesso invece rimangono relegati tra le sole parti contraenti>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 818 del 11 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano,
<<Considerato che la Corte Costituzionale, con sentenza 9 luglio 2021, n. 148 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 44, comma 4 cod. proc. amm., nella parte in cui subordinava la rinnovazione della notifica nulla del ricorso alla sussistenza di una causa non imputabile al notificante, in quanto la notificazione non integra “un elemento costitutivo dell'atto che ne forma oggetto”, e dunque la norma non risultava “proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza (…) con grave compromissione del diritto di agire in giudizio”;
Considerato che, in tal senso, il Consiglio di Stato ha ritenuto applicabile la pronuncia al caso di notifica eseguita presso la sede reale dell’amministrazione e non presso l’Avvocatura dello Stato, anche per fatti verificatisi prima della sentenza della Corte Costituzionale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13 dicembre 2021, n. 8303);
Ritenuto pertanto che:
- nel caso di specie la notificazione del ricorso debba considerarsi nulla, non essendo effettuata all'Avvocatura Distrettuale dello Stato;
- in seguito alla citata decisione della Corte Cost., l’art. 44, comma 4 impone al giudice amministrativo di accordare sempre la rinnovazione della notificazione nulla del ricorso, eccettuandosi solo i casi di inesistenza della stessa;>>;
dispone la rinnovazione della notifica del ricorso eseguita presso la sede reale dell’amministrazione e non presso l’Avvocatura dello Stato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 775 del 6 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Lombardia, Sezione di Brescia, ritiene che la disciplina delle sanzioni per la violazione dell’articolo 146 D.Lgs. n. 42/2004 rientri nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, senza che residui spazio alle Regioni per introdurre sanzioni ulteriori e/o diverse rispetto a quelle contenute nella legge statale e dubita, pertanto, che l’articolo 83 L.R. Lombardia n. 12/2005, prevedendo una difforme disciplina sanzionatoria in un ambito riservato alla competenza esclusiva dello Stato, violi l’articolo 117, secondo comma, lettera s), Costituzione.
Il TAR solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 83 L.R. Lombardia n. 12/2005 rispetto all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Costituzione.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 322 del 6 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:
<<Il divieto di commistione tra l’offerta tecnica e l’offerta economica è un corollario dei principi di trasparenza dell’azione amministrativa e di par condicio dei concorrenti ed è finalizzato alla tutela della segretezza dell’offerta economica, in modo che la conoscenza anche di alcuni degli elementi che la compongono non possa condizionare la valutazione degli elementi discrezionali che compongono l’offerta tecnica.
Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale che il Collegio condivide, perché sia violato il principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta economica, è sufficiente l’astratta possibilità, per la commissione giudicatrice, di conoscere il contenuto di alcune componenti dell’offerta economica contestualmente alla valutazione dell’offerta tecnica (Consiglio di Stato, Sezione III, 7 aprile 2021, n. 2819; Sezione V, 19 ottobre 2020, n. 6308; 29 aprile 2020, n. 2732; 24 gennaio 2019, n. 612).
Tale interpretazione possibilista è l’unica compatibile con la tutela avanzata che postula il principio di segretezza dell’offerta economica negli appalti da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, posto a presidio dell’imparzialità di giudizio della commissione giudicatrice>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 752 del 4 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia osserva che:
<<I più recenti approdi giurisprudenziali – che il Collegio condivide - hanno precisato che il provvedimento di VIA (o di esclusione di assoggettamento a VIA) è impugnabile dai soggetti legittimati dalla sola prossimità ai luoghi interessati dall’intervento (c.d. “vicinitas”) anche senza la dimostrazione di una lesione puntuale e, quindi, a maggior ragione da quelli ... che lamentando un pregiudizio diretto alla proprietà, senza che sia richiesta la dimostrazione anche di un danno certo all’ambiente giacché “la tutela dell’ambiente si connota per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e dei coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, com’è dimostrato dalle scelte legislative (di recepimento delle norme europee e della Convenzione di Aarhus) in tema di partecipazione alle procedure di VAS. e VIA, di legittimazione all’accesso alla documentazione in materia ambientale, di valorizzazione degli interessi “diffusi” anche quanto al profilo della legittimazione processuale (Consiglio di Stato sez. IV, 12 maggio 2014, n.2403). In tale ottica, pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, costituirebbe una “probatio diabolica”, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive (Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254: cfr. anche sez. V, n. 5193 del 16 settembre 2011). Ai fini della sussistenza delle condizioni dell’azione avverso provvedimenti lesivi dal punto di vista ambientale, il criterio della “vicinitas” - ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o comunque abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative - rappresenta quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere (Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2017, n. 6667)” (Cons. Stato, sez. IV, 16.11.2020 n. 6862)>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 312 del 1 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ritiene che le misure di c.d. self cleaning possono avere solo effetto pro futuro, ossia per la partecipazione a gare successive all’adozione delle misure stesse, essendo inimmaginabile un loro effetto retroattivo (in termini, Cons. Stato, Sez. V, 6 aprile 2020, n. 2260; T.A.R. Roma, Sez. II, 2 marzo 2018, n. 2394; T.A.R. Brescia, Sez. II, 26 febbraio 2018, n. 218); ricorda il TAR che è stato condivisibilmente osservato che “Solo dopo l’adozione delle stesse la stazione appaltante può, infatti, essere ritenuta al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette, posto anche che l’atto sanzionatorio remunera una condotta ormai perfezionata in ogni elemento (in termini, Cons. Stato, Sez. V, 6.4.2020, n. 2260)” (Cons. Stato sez. III 6 dicembre 2021 n. 8160).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 724 del 31 marzo 2022.
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Il TAR Milano precisa che:
<<il diritto euro-unitario non esige, in linea di principio, che un organo amministrativo sia obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquistato carattere definitivo, in quanto la certezza del diritto è annoverata tra i principi generali dallo stesso riconosciuti e il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito con il decorso dei termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce alla formazione di tale certezza.
Tuttavia il giudicato formatosi su una interpretazione, successivamente ritenuta non conforme al diritto euro-unitario, non costituisce un limite all’esercizio dell’autotutela (Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 12 febbraio 2008 in C-2/2006).
Deve pertanto ritenersi doveroso che l’amministrazione annulli in via di autotutela l’atto contrastante con il diritto euro-unitario, salvo che ciò non comporti un pregiudizio ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.
L’autotutela c.d. doverosa, intesa come attività di obbligatorio ripristino delle regole della concorrenza che si assumono violate, esclude in concreto ed a monte la sussistenza di una situazione di legittimo affidamento del privato.
Tale situazione di affidamento non necessita inoltre di essere comparata con l’interesse pubblico, il quale deve essere semplicemente evidenziato e richiamato nella motivazione del provvedimento e deve ritenersi, per ciò solo, preminente rispetto agli altri interessi coinvolti nella fattispecie concreta.
L’onere motivazionale è infatti attuato in ragione della rilevanza ed autoevidenza degli interessi pubblici tutelati e ben può essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e mediante il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate e che legittimano l’esercizio dello ius poenitendi.
Anche il termine ragionevole per l’adozione del provvedimento di autotutela deve ritenersi decorrente solo dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro, ossia dell’illegittimità del provvedimento annullato …>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 735 del 1 aprile 2022.
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Secondo il TAR Milano:
<<1.2. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non incide sull’applicabilità delle norme sulle distanze minime tra gli edifici la circostanza che l’art. 64 della Legge Regionale della Lombardia n. 12/2005 qualifichi il recupero dei sottotetti come intervento di ristrutturazione, come ormai acclarato dalla costante giurisprudenza di questo TAR, che il Collegio pienamente condivide e che ha precisato quanto segue: «L'intervento, pur essendo finalizzato al recupero del sottotetto, è comunque soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici. […] sussiste la necessità del rispetto delle distanze di 10 mt tra pareti finestrate di edifici fronteggianti, posto che la deroga prevista dalla norma regionale (art. 64, comma 2, L.R. n. 12/2005) ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale "non può ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle dell'art. 41 quinques della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, nella parte in cui regolano le distanze tra fabbricati (Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2014, n. 1054)» (TAR Lombardia, Milano, II, 24 dicembre 2019, n. 2743; cfr: ibidem, 21 aprile 2021, n. 1037).
1.3. Nemmeno esclude l’applicazione delle norme sulle distanze minime la circostanza, pur rilevata da parte ricorrente, che l’unità immobiliare dei Sigg.ri ... e quella della Sig.ra ... facciano parte dello stesso stabile, essendo le distanze minime prescritte dall’art. 9 D.M. 1444/1968 applicabili a tutte le pareti (di cui almeno una finestrata) che si fronteggiano, persino se riferite a diversi corpi di fabbrica dello stesso immobile: «Né può valere la tesi della non applicabilità della norma trattandosi di corpi di fabbrica dello stesso immobile, poiché la finalità igienico-sanitaria della disciplina ne impone l'applicazione anche a simili casi. È stato infatti affermato che "essendo la norma finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 261.2001 n. 1108), sicché non può dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti" (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 08/07/2010, n. 2461)» (TAR Lombardia, Milano, II, 24 dicembre 2019, n. 2743; cfr: ibidem, 21 aprile 2021, n. 1037).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 714 del 30 marzo 2022.
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