Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenendo in merito alla possibilità per un soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese dell’Unione Europea di iscriversi nell'albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia, hanno enunciato il seguente principio di diritto:
In base alla normativa comunitaria volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, il soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese membro dell’Unione Europea, qualora voglia esercitare la professione in Italia, può chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia. L’iscrizione è subordinata al possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 96 del 2001 e in sede di iscrizione il Consiglio dell’ordine degli avvocati non può opporre la mancanza di diversi requisiti – segnatamente quello della condotta specchiatissima ed illibata (art. 17, r.d.l. n. 1578 del 1933), ovvero, oggi, della condotta irreprensibile (art.17, della legge n. 247 del 2012) – prescritti dall'ordinamento forense nazionale, salvo il caso in cui la condotta del richiedente possa essere qualificata come abuso del diritto”.

La sentenza n. 4252 del 4 marzo 2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è consultabile sul sito della Corte di Cassazione.