Il Consiglio di Stato con riferimento alla cessione volontaria dell’immobile oggetto di procedura di esproprio, precisa che:
«L’istituto può essere ricondotto al genus dei c.d. contratti ad oggetto pubblico, che si diversifica dai normali contratti di compravendita di diritto privato per una serie di imprescindibili elementi costitutivi che la giurisprudenza ha individuato:
- nell’inserimento del negozio nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione dell’acquisizione del bene da parte dell’espropriante, quale strumento alternativo all’ablazione d’autorità mediante decreto di esproprio;
- nella preesistenza non solo di una dichiarazione di pubblica utilità ancora efficace, ma anche di un subprocedimento di determinazione dell’indennità e delle relative offerte ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dall’art. 12 della legge n. 865 del 1971;
-nel prezzo di trasferimento volontario correlato ai parametri di legge stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell’indennità di espropriazione.
Ove non siano riscontrabili tutti i ridetti requisiti, non potendosi astrattamente escludere che l’amministrazione abbia inteso perseguire una finalità di pubblico interesse tramite un ordinario contratto di compravendita, al negozio traslativo non possono collegarsi gli effetti tipici della cessione volontaria disciplinata dall’art. 12 della legge n. 865 del 1971, ossia l’estinzione dei diritti reali o personali gravanti sul bene acquisito dall’amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 ottobre 2019, n. 7445; id., 27 luglio 2016, n. 3391; Cass. 22 gennaio 2018, n. 1534; id., 22 maggio 2009, n. 11955)».

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 705 del 28 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri