La Corte Costituzionale: “dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe”.
La Corte ricorda che:
1.1.– La disposizione censurata è stata aggiunta dall’art. 1, comma 1, lettera xxx), della legge della Regione Lombardia 14 marzo 2008, n. 4, recante «Ulteriori modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)», e prevede che, ai fini dell’adeguamento, «ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».
La disciplina in esame salvaguarda, per i soli interventi di nuova costruzione, «il rispetto della distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri» e ne consente la deroga soltanto «tra fabbricati inseriti all’interno di piani attuativi e di ambiti con previsioni planivolumetriche oggetto di convenzionamento unitario», in base alla previsione introdotta dall’art. 4, comma 1, lettera k), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali».
La distanza minima di dieci metri, nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 873 e 907 del codice civile, è altresì «derogabile per lo stretto necessario alla realizzazione di sistemi elevatori a pertinenza di fabbricati esistenti che non assolvano al requisito di accessibilità ai vari livelli di piano» (art. 103, comma 1-ter, della legge regionale n. 12 del 2005, aggiunto dall’art. 12, comma 1, della legge della Regione Lombardia 13 marzo 2012, n. 4, recante «Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia»)”.
Nel giudizio la Regione Lombardia ha eccepito l’inammissibilità delle questioni in ragione dell’inadeguata motivazione in punto di rilevanza: il rimettente non avrebbe argomentato in alcun modo in ordine alla necessità di applicare una disposizione che riguarda specificamente la fase di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti.
La Corte Costituzionale accoglie l’eccezione di inammissibilità sulla base delle seguenti motivazioni:
6.1.– La disposizione censurata esclude l’applicazione delle previsioni del d.m. n. 1444 del 1968 e puntualizza che tale disapplicazione opera «[a]i fini dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti».
L’art. 26, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 dispone che i Comuni deliberino l’avvio del procedimento di adeguamento dei piani regolatori generali vigenti entro un anno dall’entrata in vigore della medesima legge, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 16 marzo 2005, n. 11, e destinata a entrare in vigore, in difetto di previsioni di segno diverso, il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione.
I Comuni sono poi obbligati ad approvare tutti gli atti inerenti ai piani di governo del territorio in conformità ai princìpi enunciati dalla nuova «Legge per il governo del territorio» e secondo il procedimento che tale legge delinea.
L’art. 26, comma 3, della stessa legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, nella formulazione originaria, disciplinava i tempi di adeguamento dello strumento urbanistico generale, quando fosse stato approvato prima dell’entrata in vigore «della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51 (Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico)» (art. 25, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005). Era previsto il termine più celere di sei mesi dall’entrata in vigore della nuova «Legge per il governo del territorio» e si stabiliva che, successivamente, fossero approvati tutti gli atti di piano di governo del territorio.
Dopo le novità apportate dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge della Regione Lombardia 10 marzo 2009, n. 5 (Disposizioni in materia di territorio e opere pubbliche - Collegato ordinamentale), l’art. 26, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 oggi regola l’avvio del procedimento di approvazione del piano di governo del territorio, che deve essere deliberato dai Comuni entro il 15 settembre 2009.
6.2.– Il Consiglio di Stato, sin dalle premesse dell’ordinanza di rimessione, evidenzia che è stata impugnata la variante adottata con delibera del Consiglio comunale di Sondrio 28 novembre 2014, n. 81, e destinata a modificare il piano di governo del territorio, a sua volta approvato con delibera del Consiglio comunale 6 giugno 2011, n. 40.
6.3.– A fronte di una variante risalente al novembre 2014 e relativa a un piano di governo del territorio già approvato nel giugno 2011, il rimettente non illustra le ragioni che rendono necessaria l’applicazione di una disciplina volta a regolare la sola fase transitoria di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti, modulata secondo precise scansioni temporali, e non la revisione dei piani di governo del territorio già approvati.
La disposizione censurata, pur posteriore alla «Legge per il governo del territorio» del 2005, si colloca in un orizzonte temporale definito, legato all’adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti e alla successiva transizione ai piani di governo del territorio, che si configurano come i nuovi strumenti di pianificazione urbanistica previsti dalla legislazione regionale.
In tal senso depone l’univoco dettato letterale, che richiama l’adeguamento, secondo le cadenze predeterminate dall’art. 26, commi 2 e 3, della legge regionale n. 12 del 2005, e postula un nesso di strumentalità della disapplicazione rispetto all’adeguamento stesso.
Sull’elemento temporale e sulla correlazione finalistica con l’adeguamento, che integrano requisiti imprescindibili della disposizione sospettata di incostituzionalità, il rimettente non offre ragguagli di sorta. Il Consiglio di Stato non dimostra che il provvedimento impugnato, posteriore alla fase transitoria di adeguamento, rinviene il suo fondamento nella disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte e contraddistinta da presupposti applicativi rigorosi”.

Corte Costituzionale n. 13 del 7 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.