La Corte di Cassazione, Sezione Seconda, enuncia il seguente principio di diritto in materia di distanze tra gli edifici: "In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 9 comma primo del d.m. 02/04/1968, n. 1444 - traendo la sua forza cogente dai commi 8 e 9 dell'art. 41 quinquies L. urb. e prescrivendo, per la zona A, per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti - è disciplina integrativa dell'art. 873 cod. civ. immediatamente idonea a incidere sui rapporti interprivatistici, per cui, sia in caso di adozione di strumenti urbanistici contrastanti con la norma citata, sia con ancor maggior fondamento in caso di mancanza di contrasto e quindi in presenza di disposizioni di divieto assoluto di costruire, sussiste l'obbligo per il giudice di merito - nel primo caso mediante disapplicazione della disposizione illegittima, nel secondo caso mediante diretta applicazione della norma di divieto - di dare attuazione alla disposizione integrativa dell'art. 873 cod. civ., ove il costruttore sia stato proprietario di un preesistente volume edilizio, mediante condanna all'arretramento di quanto successivamente edificato oltre i limiti di tale volume o, qualora invece non sussistesse alcun preesistente volume, mediante condanna all'integrale eliminazione della nuova edificazione".

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda, n. 16161 del 23 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.

A sua volta, il TAR Milano  richiama e fa proprio l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell'applicazione delle norme sulle distanze dettate dall'art. 873 del codice civile e seguenti o dalle disposizioni regolamentari integrative del codice civile, per costruzione deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata e, segnatamente, dall'impiego di malta cementizia; mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione, devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente. Sempre secondo tale orientamento occorre precisare che l’espressione "terrapieno naturale" consiste in un ossimoro, poiché ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo: dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 180 del 22 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.