Il Consiglio di Stato delinea i limiti del giudizio di ottemperanza proposto per ottenere chiarimenti dal giudice in ordine alle modalità di ottemperanza del giudicato e precisa:

  • la c.d. “ottemperanza di chiarimenti”, ex art. 112, comma 5, c.p.a, costituisce un mero incidente sulle modalità di esecuzione del giudicato – utilizzabile quando vi sia una situazione di incertezza da dirimere che impedisce la sollecita esecuzione del titolo esecutivo – e non un’azione o una domanda in senso tecnico, per cui essa non può trasformarsi in un’azione di accertamento della legittimità o liceità della futura azione amministrativa, né in un’impugnazione mascherata, che porti di fatto a stravolgere il contenuto della pronuncia, la quale non può più venire riformata né integrata dal giudice dell’ottemperanza ove la pretesa avanzata sia de plano ricavabile dal tenore testuale della sentenza da eseguire;
  • i quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell’ottemperanza devono attenere alle modalità dell’ottemperanza e devono avere i requisiti della concretezza e della rilevanza, non potendosi sottoporre al giudice questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma solo questioni specifiche che siano effettivamente insorte durante la fase di esecuzione dello stesso;
  • lo strumento in esame non può trasformarsi in un pretesto per investire il giudice dell’esecuzione, in assenza del presupposti suindicati, di questioni che devono trovare la loro corretta risoluzione nella sede dell’esecuzione del decisum, nell’ambito del rapporto tra parti e amministrazione, salvo che successivamente si contesti l’aderenza al giudicato dei provvedimenti così assunti.

La sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 1674 del 10 aprile 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente link.