Secondo il TAR Brescia, ai fini della verifica della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e il suo inquinamento, occorre utilizzare le indicazioni della Corte di Giustizia UE, che escludono l’applicabilità di una impostazione penalistica, incentrata sul superamento della soglia oltre il "ragionevole dubbio", trovando invece applicazione il canone civilistico del "più probabile che non". Aggiunge che l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa afferma che l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. La prova può, quindi, essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l'id quod plerumque accidit, che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 781 del 25 ottobre 2023