La Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni legislative della Regione Liguria in materia paesaggistica, precisa che:
  • un vincolo di mero raccordo del piano regionale delle attività estrattive al piano territoriale di coordinamento paesistico comporta una significativa alterazione del principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico, sancito dall'art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio; 
  • non può ritenersi ammissibile che una disposizione di legge regionale limiti o alteri, in qualsivoglia forma, il principio di gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, che va considerato valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale; 
  • l’esclusione del rapporto ambientale dalla fase di adozione del progetto di piano regionale delle attività estrattive integra una violazione della prescrizione contenuta nella seconda parte del comma 3 dell’art. 13 del d.lgs. n. 152 del 2006;
  • la legislazione regionale non può prevedere «margini di flessibilità» della autorizzazione paesaggistica per l’esecuzione e l’autorizzazione all'esercizio dell’attività estrattiva; l’espressione «margini di flessibilità» non risulta contemplata dalla normativa statale e il rapporto di necessaria presupposizione, stabilito dall'art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, tra l’autorizzazione paesistica e l’autorizzazione all'esercizio dell’attività estrattiva, impone che quest’ultima non possa avere dei contenuti, come i detti «margini di flessibilità», che non risultino già previsti e disciplinati nell'autorizzazione paesistica, non essendo consentito al legislatore regionale di introdurre, ex novo, categorie concettuali ed istituti idonei, per la loro indeterminatezza, a cagionare l’elusione dei precetti statali; 
  • la regolamentazione del riempimento delle cave mediante rifiuti da estrazione spetta, in via esclusiva, alla Stato e non è consentito alle Regioni di introdurre norme che deroghino, in senso peggiorativo, rispetto alla disciplina statale, in particolare, permettendo di effettuare negli impianti a servizio dell’attività di cava il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, senza richiamare, in modo analitico, le condizioni poste in materia dalla disciplina statale, e subordinandole a semplice SCIA, senza stabilire che questa debba essere successiva e condizionata al rilascio delle autorizzazioni ambientali; 
  • la previsione normativa secondo la quale le modifiche al piano regionale delle attività estrattive non comportanti variante al piano territoriale di coordinamento paesistico o modifica alla tipologia di cava sono approvate dalla Giunta regionale previo parere dei comuni, della Città metropolitana e delle province territorialmente interessati, non prevedendo alcuna partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti da essa disciplinati, si pone in contrasto con la previsione dell’art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, che stabilisce, invece, che la regione disciplina il procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo; 
  • la previsione che consente alla Regione di rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto un incremento sino a una determinata percentuale della superficie dell’areale di cava e/o la modifica della tipologia normativa, sulla base della presunzione ex lege che tali incrementi non comportino mai variazioni al PTCP, deve costituire, per quanto concerne le zone soggette a vincolo paesaggistico sulla base di previsione di legge o di specifico provvedimento, oggetto di specifico accordo tra la Regione e il Ministero dei beni e delle attività culturali, secondo quanto previsto, in materia, dagli artt. 135, 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che sanciscono il principio inderogabile della pianificazione congiunta.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 16 settembre 2016 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.