Il TAR Milano ricorda che l’utilizzo di un titolo inidoneo rende abusivo l’intervento e impone al Comune di intervenire attraverso i suoi poteri generali di vigilanza in ambito edilizio di cui all’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001. Pur in presenza di sempre maggiori spazi di semplificazione procedimentale anche in ambito edilizio, esistono tuttavia dei limiti insormontabili che non consentono di derubricare gli interventi “maggiori” al titolo “minore”. Se, pertanto, il privato ha sempre la possibilità di optare per il permesso di costruire, anche nel caso in cui gli sarebbe possibile agire tramite semplice d.i.a. (oggi s.c.i.a.), non vale il reciproco, per cui nei casi in cui è ritenuto necessario l’avallo esplicito dell’intervento, l’utilizzo di qualsivoglia altra forma di comunicazione, ivi comprese quelle nuove introdotte nel tempo (si pensi alla c.d. comunicazione inizio lavori - C.I.L. - o comunicazione inizio lavori asseverata - C.I.L.A.) appare sostanzialmente inutile. Esso, cioè, si palesa tamquam non esset ai fini della legittimazione dell’intervento, che resta abusivo. L’utilizzo, infatti, di un titolo edilizio completamente inadeguato a “coprire” l’intervento realizzato non elide la natura illecita dello stesso, sì da poter comunque scongiurare l’intervento sanzionatorio del Comune nell’ambito del proprio generico potere di vigilanza di cui all’art. 27 del T.U.E.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2659 del 15 novembre 2023