Il Consiglio di Stato, con la decisione della Sezione Quinta n. 3144 del 23 giugno 2014, ha annullato una sentenza del TAR Lazio che aveva ritenuto illegittima la nomina di una giunta comunale per violazione del principio della parità di accesso alle cariche amministrative tra uomini e donne.
 
Secondo il giudice di primo grado, in una prospettiva di effettività di tutela in senso sostanziale, la concreta attuazione del principio di non discriminazione, in relazione ai principi di proporzionalità e adeguatezza discendenti dal diritto europeo e dall’attuazione della Corte di Strasburgo, doveva essere individuata nella garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla pari rappresentanza dei generi, da indicarsi nel 40% di persone del sesso sotto-rappresentato.
 
Il Consiglio di Stato, a sostegno della sua decisione di riforma, rileva che:
  • l’art. 51, comma 1, della Costituzione, finalizzato a promuovere la pari opportunità tra donne e uomini, ha natura meramente programmatica;
  • i principi di non discriminazione, proporzionalità e adeguatezza discendenti dal diritto europeo non sono direttamente invocabili quali parametri di legittimità degli atti amministrativi nazionali se non nel significato di vietare ogni condotta discriminatoria;
  • nel caso specifico le disposizioni statutarie dell’ente locale erano prive di contenuti precettivi, in ragione della loro vaga e generica formulazione;
  • il nuovo disposto di cui all’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000, novellato nel senso che gli statuti debbano ora garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte, non è rilevante, poiché esso implica che, per il futuro, non potranno più ammettersi giunte monogenere, al di fuori del caso estremo di concreta e motivata impossibilità di assicurare tale presenza, imponendo la compresenza dei generi, ma non anche il loro riequilibrio, rimesso all’autonomia statutaria dell’Ente.