Il TAR Milano rileva che le distanze legali previste dal regolamento edilizio, a fini pubblicistici, e dal codice civile, a fini privatistici, rispondono a differenti esigenze di tutela. La ratio sottesa alla vigente normativa codicistica su apertura e tutela delle vedute è mutuata dal codice civile del 1865, che aveva predeterminato un contemperamento legale tra interessi confliggenti dei proprietari di fondi contigui, nel quadro di un armonico assetto dei rapporti di vicinato. Il legislatore ha tenuto presente che il conflitto si pone essenzialmente tra l'interesse del proprietario del muro a ricevere luce, aria e amenità all'interno della sua costruzione, anche mediante la possibilità di spaziare con lo sguardo al di fuori di questa, e l'interesse del vicino di impedire che l'esercizio delle facoltà altrui incida sull’esclusività del suo dominio, cagionando la lesione o la messa in pericolo della sua sfera di sicurezza e riservatezza. La ratio della norma sulle distanze contenute nel regolamento edilizio, per contro, non è la tutela della privacy, ma la tutela del decoro e della sicurezza di chi occupa gli edifici antistanti, in quanto la norma mira a evitare la formazione di intercapedini tra pareti, dannose per l’igiene e la salute di chi occupa gli edifici antistanti; di talché, le distanze fissate, in via generale, dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 e, nello specifico, dalle N.t.a. comunali sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico, non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2761 del 18 ottobre 2024