Il TAR Brescia ritiene non condivisibile la tesi del Comune resistente per la quale tra i “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” richiesti dall’art. 11, comma 4, l. n. 241/1990 per recedere da un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento si dovrebbero includere anche le valutazioni sulla legittimità originaria dell’accordo e del provvedimento a monte. Tale tesi, infatti, contrasta con il dato normativo che parla di motivi “sopravvenuti” e di “pubblico interesse”, facendo quindi riferimento a ragioni sopravvenute rispetto all’accordo che riguardano non la legittimità ma il merito e l’opportunità dell’azione amministrativa. Ne è dimostrazione il fatto che l’art. 11, comma 4, l. n. 241/1990 prevede la corresponsione di un indennizzo al privato, al pari della revoca di cui all’art. 21 quinques l. n. 241/1990 e a differenza dell’annullamento d’ufficio di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990, che non contempla invece alcun indennizzo essendo fondato sull’illegittimità del provvedimento emesso. La tesi del Comune resistente comporterebbe l’elusione dei limiti legali all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio in autotutela previsti dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, ovvero il rispetto, a tutela dell’affidamento dei privati, di “un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione del provvedimento illegittimo diverso dal mero ripristino della legalità violata.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 724 del 29 agosto 2024