Il TAR Milano osserva che:
<<Secondo la concezione tradizionale, la figura della “ristrutturazione edilizia” presupponeva la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare provvisto di murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Conseguentemente, era stata sempre esclusa dalla giurisprudenza la possibilità che la ricostruzione di un rudere potesse ricondursi entro la nozione di ristrutturazione, trattandosi, al contrario, di un intervento del tutto nuovo.
Tuttavia il legislatore, con l’art. 30, primo comma, del d.l. n. 69 del 2013 convertito con legge n. 98 del 2013, ha profondamente innovato la disciplina modificando l’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale stabilisce ora che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi <<…anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza>>.
In sostanza, questa disposizione, qualificando come interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli di ricostruzione, consente di sostituire gli immobili in precedenza andati distrutti con nuovi edifici, e ciò anche nel caso in cui gli strumenti urbanistici vigenti non consentano la realizzazione di nuove costruzioni. Si tutela in questo modo, non solo l’interesse del privato, ma anche l’interesse pubblico volto ad evitare la permanenza di ruderi sul territorio.
Tuttavia, affinché la ricostruzione possa qualificarsi come ristrutturazione, è necessario che il nuovo edificio abbia le stesse dimensioni di quello crollato. Questa limitazione si ricava dall’ultima parte della norma la quale, come visto, richiede che sia possibile accertare la “preesistente consistenza” dell’immobile.
Poiché, nel caso concreto, la richiesta di rilascio del permesso di costruire presentata dal ricorrente è stata respinta proprio in quanto si è ritenuta non dimostrata la preesistente consistenza dell’immobile, per risolvere la controversia in esame, occorre stabilire cosa si intenda per “preesistente consistenza”, quale sia il livello di precisione preteso dalla norma con riguardo a tale elemento e in che modo ne possa essere fornita la dimostrazione.
Per quanto riguarda il primo punto (nozione di “preesistente consistenza”), possono ritenersi condivisibili le conclusioni alle quali è giunta la giurisprudenza secondo cui gli interventi di ripristino di cui all’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 sono ammissibili a condizione che siano determinabili le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente (fra cui volumetria, altezza, struttura complessiva), con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo di questi elementi determina l’insussistenza del requisito previsto dalla norma. Parimenti condivisibile risulta l’affermazione secondo cui la verifica riguardante gli elementi necessari per determinare la preesistente consistenza non può essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma deve invece basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili (cfr. Cass. pen. Sez. III, 28 aprile 2020, n. 13148; id., 8 ottobre 2015, n. 45147).
Quando l’edificio crollato è stato realizzato a seguito del rilascio di un titolo edilizio, la preesistente consistenza può essere facilmente dimostrata mediante la produzione di quel titolo e della documentazione progettuale ad esso allegata nella quale sono riportate con precisione le caratteristiche dimensionali del bene.
Il problema si pone però se, come nel caso in esame, l’immobile sia stato edificato in epoca antecedente all’anno 1967, quando la realizzazione di nuove costruzioni non presupponeva il rilascio di un titolo edilizio, non essendo in questo caso possibile disporre della suindicata documentazione.
Ritiene il Collegio che, in queste specifiche ipotesi, l’amministrazione non possa pretendere la produzione di progetti aventi data certa che dimostrino, con assoluta precisione, tutte le caratteristiche dimensionali dell’edificio crollato, posto che questa pretesa renderebbe di fatto inapplicabile la norma di cui all’art. 3, primo comma, lett d), del d.P.R n. 380 del 2001 per gli immobili edificati prima dell’anno 1967. Per questi immobili, occorre quindi ammettere la possibilità di fornire in modo diverso la dimostrazione della preesistente consistenza, producendo prove che inevitabilmente non possiedono quel grado di precisione che caratterizza la documentazione progettuale, fermo restando ovviamente che, anche in questo caso, la prova deve comunque riguardare tutte le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente.
La possibilità di fornire prova diversa da quella consistente nella documentazione progettuale (e che inevitabilmente possiede un minor grado di precisione rispetto a quest’ultima) è del resto ammessa anche dalla giurisprudenza sopra richiamata la quale afferma che la prova della preesistente consistenza può essere fornita anche attraverso la produzione di aerofotogrammetrie (cfr. Cass. pen. Sent. n. 45147 del 2015 cit.). Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza del giudice amministrativo, il quale ammette che l’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato può fondarsi anche su documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio distrutto (in tal senso, cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 6 luglio 2020, n.517; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 23 dicembre 2019, n. 6098; T.A.R. Liguria, sez. I, 11 giugno 2020, n. 364).
Ritiene il Collegio che, nell’apprezzamento di queste diverse prove, l’Amministrazione debba dare applicazione ai principi di buona fede e proporzionalità, tenendo conto anche delle caratteristiche dell’intervento che si intende realizzare, nel senso che il livello di precisione richiesto della prova fornita deve essere proporzionale all’importanza di tale intervento.
Da quanto illustrato discende che, se l’immobile che si intende realizzare ha dimensioni modeste e incide in maniera poco significativa sul carico urbanistico, il permesso di costruire deve essere rilasciato quando dalla documentazione prodotta in sede procedimentale emerga che il manufatto da realizzare avrà sostanzialmente le stesse dimensioni di quello andato distrutto, e ciò anche nel caso in cui non sia possibile risalire con estrema precisione a tutti i dati dimensionali di quest’ultimo.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2566 del 18 novembre 2022.