Il TAR Milano, dopo aver effettuato la ricognizione del quadro normativo che disciplina l’affidamento in house, osserva che:
<<La giurisprudenza, interna ed eurounitaria, formatasi sul tema dell’affidamento in house, ha chiarito che la legittima applicazione dell’istituto postula l’effettiva sussistenza di un “controllo analogo”, anche nelle declinazioni del controllo a cascata e del controllo analogo congiunto, con la precisazione che esso si sostanzia in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma “al socio pubblico controllante”, che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni (così Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6460/2020).
Il controllo analogo è tale se, per effetto della sua concreta modulazione, la società affidataria non è terza rispetto all’ente affidante, ma una sua articolazione, sicché tra socio pubblico controllante e società sussiste “una relazione interorganica e non intersoggettiva”, perché il controllo esercitato deve corrispondere a quello che l’ente pubblico esplica sui propri servizi.
La giurisprudenza eurounitaria specifica che tale relazione deve intercorrere tra soci affidanti e società, “non anche tra la società e altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza” (Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 febbraio 2020 cause C-89/19 e C-91/19).
Va, inoltre, osservato che le norme citate, laddove si riferiscono al “controllo analogo congiunto”, confermano quanto già stabilito dalla Corte di Giustizia (sin dalla sentenza 18 novembre 1999, C-107/98 - Teckal), la quale ha ammesso che, in caso di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo possa essere esercitato in forma congiunta (cfr. anche sentenza 13 novembre 2008 nella causa C-324/07 - Coditel Brabant SA).
La Corte precisa che a tal fine non possono ritenersi adeguati i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune, sicché è necessario dotare i soci affidanti di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.
Il profilo ora introdotto – rilevante nel caso di specie – deve essere esaminato tenendo conto dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016, che ha introdotto il divieto per gli statuti delle società a controllo pubblico di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”.
Nondimeno, la giurisprudenza esclude la riferibilità della disposizione agli organismi in house, sicché il controllo analogo può essere realizzato anche attraverso l’istituzione, ad opera dei soci pubblici, di organi speciali ad esso funzionali.
In tal senso, si sostiene (cfr. Consiglio di Stato, 30 aprile 2018, n. 2599 e 16 luglio 2020, n. 8028) che l’esclusione, per gli organismi in house, del divieto di istituire organi speciali discenda dai seguenti profili: a) il divieto è previsto in relazione alle “società a controllo pubblico” regolate appunto dall’art. 11 e non è ripetuto nell’art. 16 dedicato alle società in house, la cui disciplina risulta, pertanto, speciale e derogatoria; b) a differenza delle società a controllo pubblico, per le quali, l’art. 2, comma 1, lett. m), del d.l.vo n. 175 del 2016 richiede che il controllo si esplichi nelle forme dell’art. 2359 cod. civ., le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo (come chiaramente precisato dall’art. 2, comma 1, lett. o) d.lgs. n. 175 del 2016).
Il tema è rilevante, in quanto la giurisprudenza ha precisato che una partecipazione “pulviscolare” sia in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti e, quindi, a palesare la sussistenza di un controllo analogo almeno congiunto.
Nondimeno, proprio in ragione della non riferibilità dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016 agli organismi in house, si è chiarito che i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578).
La tipizzazione normativa e l’elaborazione giurisprudenziale hanno condotto ad enucleare diverse “forme di in house” connotate da specificità rispetto all’ in house “tradizionale” (sul punto Consiglio di Stato, sez. I, 26 giugno 2018, n. 1645).
Si è già detto che l’art. 5, comma 2, del d.l.vo 2016 n. 50 introduce il c.d. “in house a cascata” caratterizzato dalla presenza di un controllo analogo “indiretto”, ossia esercitato da una persona giuridica diversa da quella affidante, ma a sua volta controllata allo stesso modo da quest’ultima.
In altri termini, l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su un ente che a propria volta esercita un controllo analogo sull’organismo in house; anche se tra la l’amministrazione aggiudicatrice e l’organismo in house non sussiste una relazione diretta è comunque ammesso l’affidamento diretto.
Sul punto, vale ricordare che già in passato la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE 11 maggio 2006 C-340/04) configurava un legittimo controllo analogo anche in caso di partecipazione pubblica indiretta, in cui il pacchetto azionario non è detenuto direttamente dall’ente pubblico di riferimento, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo, determinandosi così un in house a cascata.
E’ configurabile, inoltre, il c.d. “in house frazionato o pluripartecipato”, che trova fondamento positivo nel citato art. 5, commi 4 e 5, ed è centrato sul concetto di “controllo congiunto”, i cui caratteri sono definiti dalle disposizioni appena richiamate.
Si definisce “in house invertito o capovolto” quello descritto dall’art. 5, comma 3, del d.l.vo 2016 n. 50, che si verifica quando il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida un contratto al soggetto controllante senza procedura di evidenza pubblica.
Questa ipotesi evidenzia una sorta di bi-direzionalità dell’in house; la cui giustificazione risiede nel fatto che mancando una relazione di alterità, i rapporti tra i due soggetti sfuggono al principio di concorrenza qualunque sia la “direzione” dell’affidamento.
Diverso è il c.d. “in house orizzontale”, che presuppone la presenza di tre soggetti.
Un soggetto A aggiudica un appalto o una concessione a un soggetto B, ma tanto A quanto B sono controllati da un altro soggetto C, secondo i canoni propri del controllo analogo.
In tale ipotesi non vi è alcuna relazione diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il soggetto C, che così controlla sia A, sia B. Insomma, l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su due operatori economici distinti di cui uno affida un appalto all’altro (cfr. giur cit.).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2535 del 15 novembre 2022.