In ordine alla natura ed alla consistenza dei doveri di chiarezza e specificità dei motivi di ricorso ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, precisa che:
  • la chiarezza e la specificità si riferiscono all'ordine dell’esposizione delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato (sia esso il provvedimento amministrativo o giurisdizionale);
  • il principio di chiarezza e specificità dell’impugnazione è valorizzato oggi dall’art. 101, comma 1, c.p.a., che, nel disciplinare il contenuto del ricorso in appello, espressamente stabilisce che i motivi di ricorso debbano essere «specifici» e che eventuali motivi proposti in violazione di detta regola sono inammissibili;
  • lo scopo delle disposizioni nella materia è quello di sollecitare le parti alla redazione di ricorsi chiari, al fine di arginare la prassi difensiva di redigere ricorsi lunghi e privi di una lineare enucleazione dei motivi di ricorso, nonché di una chiara distinzione tra fatto, svolgimento del processo e censure proposte;
  • è onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, sicché la prolissità e la mancanza di chiarezza degli argomenti conducono all'inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi sanciti dall'art. 101, comma 1, c.p.a. per il giudizio di appello;
  • l’inesatta suddivisione tra parte in fatto e parte in diritto comporta il rischio dei c.d. «motivi intrusi» ossia di quei motivi di ricorso, ex se inammissibili, perché inseriti nella parte in fatto (con il conseguente diffuso aumento di sentenze che non contengono l’esatta disamina di tutti i motivi di ricorso proposti a causa dell’oggettiva difficoltà di individuarli nel corpo dell’atto).


Il testo della sentenza n. 5459 del 2 dicembre 2015 della Sezione Quinta del Consiglio di Stato è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.