Il TAR Milano, esaminando un ricorso contro una informazione antimafia interdittiva e cancellazione dall’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi (c.d. White List), osserva che la funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi. Per l’interdittiva antimafia non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile, secondo il principio del “più probabile che non” il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio. In definitiva, l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico - presuntivi dai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; dall’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri. Sotto questo profilo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento; in altri termini, una visione parcellizzata di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri. In altri termini, secondo l’orientamento consolidato e monolitico della giurisprudenza amministrativa, per vagliare l’apprezzamento discrezionale fatto dal Prefetto in ordine alla ritenuta esposizione di un’impresa al rischio di un condizionamento mafioso, il giudice si deve attenere (quale parametro generale) al criterio che le risultanze dell’istruttoria prefettizia debbano essere valutate unitariamente nel loro complesso, per cui non vanno analizzati singolarmente gli specifici fatti ed elementi di giudizio, che, provenienti da varie fonti, sono confluiti nella motivazione del provvedimento interdittivo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2327 del 16 ottobre 2023