Per stabilire la natura conformativa o espropriativa di un vincolo, occorre verificare se la sua imposizione ammetta, comunque, la realizzazione dell'opera da parte del privato e se, in presenza di tale possibilità, quest'ultimo possa porre l'opera medesima sul mercato e sfruttarla economicamente: solo in tal caso, infatti, si può affermare che non vi sia uno svuotamento del diritto di proprietà. In particolare, la destinazione di terreno privato a parcheggio pubblico - impressa in base a previsioni di tipo urbanistico - non comportando automaticamente l'ablazione dei suoli, ed anzi, ammettendo la realizzazione anche da parte dei privati, in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all'uso pubblico, costituisce vincolo conformativo, e non anche espropriativo, della proprietà privata.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1443 del 28 aprile 2025


L’individuazione del responsabile dell’inquinamento può basarsi anche su elementi indiziari quali, a mero titolo esemplificativo, la tipica riconducibilità dell’inquinamento rilevato all’attività industriale condotta sul fondo o la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato, giacché la relativa prova può essere fornita in via diretta o indiretta, potendo cioè, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ. Laddove, quindi, l’ente pubblico competente abbia fornito elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l’ascrivibilità dell’inquinamento a un soggetto, spetta a quest’ultimo l’onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un’incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell’inquinamento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1439 del 24 aprile 2025


L’art. 38, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che, in caso di opere realizzate in base a titolo edilizio annullato, l’amministrazione, al ricorrere dei presupposti ivi previsti, può comminare una sanzione pecuniaria pari al valore delle opere eseguite. La norma è chiara nel rapportare la sanzione al valore delle opere e non all’aumento di valore conseguente alla loro realizzazione. Ai fini della determinazione del valore occorre tener conto del valore all’attualità e ciò in quanto i mutamenti di valore delle opere, dal momento di realizzazione al momento in cui viene applicata la sanzione, incidono in maniera bidirezionale sul proprietario delle stesse. Le diminuzioni comportano, da un lato, un effetto positivo in quanto determinano la contrazione dell’importo della sanzione ma, da altro lato, comportano effetti negativi in quanto il patrimonio del proprietario risente della diminuzione del valore del bene. Gli aumenti di valore determinano gli effetti opposti. Si deve pertanto ritenere che il rapportare la sanzione al valore attuale delle opere costituisca misura che consente di incidere sul debitore in maniera sempre proporzionata al valore del suo patrimonio e costituisca perciò misura più efficace ed equilibrata indipendentemente dalla durata del procedimento e dalle ragioni che l’hanno determinata.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1372 del 16 aprile 2025


La monetizzazione non costituisce un obbligo per il Comune o un diritto per il privato richiedente, ma l’oggetto di una potestà dell’amministrazione, il cui esercizio è legato alla mancanza di interesse pubblico all’acquisizione delle aree a standard. La monetizzazione è non solo un beneficio di carattere eccezionale, ma anche espressione di valutazioni ampiamente discrezionali dell’ente locale cui è rimesso il compito di stabilire se ne ricorrano le condizioni e i presupposti di fattibilità, alla luce della tutela dell’interesse pubblico cui l’azione amministrativa deve ispirarsi. Ne consegue che la scelta fra la cessione delle aree necessarie per la realizzazione delle opere di urbanizzazione ovvero la loro monetizzazione, rientra nella sfera di discrezionalità tecnico-amministrativa dell’ente locale, come tale non censurabile in sede giurisdizionale se non per manifesta irragionevolezza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1435 del 23 aprile 2025


L’onere di provare l’ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all’interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca l’assistenza del presupposto temporale per usufruirne. Al riguardo, non è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti. L’onere della prova della data di realizzazione dell’immobile grava sul privato (anche) in virtù della disposizione contenuta nell’art. 64, comma 1, c.p.a., secondo la quale spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità, poiché deve farsi applicazione del principio di “vicinanza della prova”, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza sul tempo di realizzazione dell’intervento. Nondimeno tale onere non va inteso in senso assoluto e si può ammettere un temperamento, laddove l’interessato sia in grado di fornire delle prove indirette, attraverso un adeguato supporto documentale che abbia una effettiva e adeguata consistenza probatoria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1326 del 14 aprile 2025


La drastica riduzione, non meramente occasionale, dei partecipanti all’esame di abilitazione alla professione di avvocato (sessione 2023) e la concentrazione in un solo elaborato della prova scritta (regolata in modo specifico dall’art. 4-quater, del d.l. n. 51/2023), impone di valorizzare in sede ermeneutica l’obbligo di motivazione ulteriore introdotto dal legislatore, con legge n. 47 del 2012, pur nella consapevolezza che esso, in ragione delle “proroghe” della sua entrata in vigore intervenute e in coerenza con quanto deciso dall’Adunanza Plenaria n. 7 del 2017, non si sostanzia attualmente nell’apposizione di specifiche annotazioni, ma è rimesso alle valutazioni dell’amministrazione, potendo risolversi, pertanto, anche nell’apposizione di segni grafici idonei a palesare le parti dell’elaborato ritenute insufficienti o particolarmente meritevoli in relazione ai criteri valutativi dettati dalla normativa di riferimento per ciascuna sessione. L’interpretazione costituzionalmente orientata delle leggi che hanno via via differito l’applicazione della novella, conduce a ritenere necessario sin d’ora che i giudizi espressi dalla commissione d’esame siano supportati da una motivazione ulteriore rispetto a quella solo numerica, che, seppure non debba necessariamente consistere nell’apposizione di annotazioni, consenta di percepire, secondo modalità rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, le ragioni del giudizio espresso, in modo ulteriore e più specifico rispetto a quanto si realizza con il voto numerico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1401 del 18 aprile 2025


La giurisprudenza amministrativa ha fornito numerose indicazioni sulla identificazione di situazioni che concretizzano fattispecie di collegamento tra concorrenti in una gara d’appalto, individuando una serie di indici, che per assurgere a presupposti del provvedimento di esclusione devono avere le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, che spetta all’amministrazione valutare in concreto: se, da un lato, l’amministrazione è onerata delle verifiche puntuali degli elementi che fanno ritenere probabile il collegamento societario, dall’altro, non è necessario che effettui una verifica circa il fatto che il collegamento societario abbia in concreto influito sulla presentazione delle offerte e sull’esito della gara. Ne consegue che, ai fini dell’esclusione, è necessario che si raggiunga un grado di verosimiglianza della sussistenza di un unico centro decisionale secondo un criterio probabilistico che poggia sugli elementi del collegamento di carattere societario, commerciale o comunque relazionale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1315 del 11 aprile 2025


Il TAR Milano si conforma ai principi espressi dal Consiglio di Stato che, nel distinguere tra contributo di costruzione e clausola di monetizzazione di standard, rimarca che quest’ultima ha una diretta e immediata incidenza urbanistica e, avendo tale natura, segue la disciplina dello strumento urbanistico, anche in relazione all’applicazione delle misure di salvaguardia

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1289 del 11 aprile 2025


Non sussiste ormai alcun dubbio sull’utilizzabilità dell’azione ex art. 696 c.p.c. nel processo amministrativo, trattandosi di un mezzo di istruzione preventiva assolutamente compatibile con il processo stesso, soprattutto nelle materie di giurisdizione esclusiva (nella fattispecie la controversia riguardava l’interpretazione e l’esecuzione di una convenzione urbanistica, per la quale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera a), n. 2) del c.p.a.).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1356 del 15 aprile 2025


L’istanza di accesso agli atti, qualora non sia presentata direttamente dall’interessato ma da un suo legale, deve essere o firmata anche dall’interessato, o accompagnata dalla procura che legittimi l’avvocato a presentarla in nome e per conto dell’assistito. Nessuno dei due requisiti alternativi sussisteva nel caso esaminato dal Collegio, pertanto l’istanza di accesso è stata considerata inammissibile per difetto di potere rappresentativo del soggetto che l’aveva sottoscritta; di conseguenza, è stato ritenuto legittimo il diniego tacitamente opposto dal Comune all’istanza di accesso.

TAR Lombardia, Brescia, sez. I, n. 311 del 10 aprile 2025


Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione. Le condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione processuale, cosiddetta legittimazione ad agire, e l'interesse a ricorrere; nel giudizio impugnatorio, la legittimazione ad agire spetta al soggetto che afferma di essere titolare della situazione giuridica sostanziale di cui lamenta l'ingiusta lesione per effetto del provvedimento amministrativo, posizione speciale e qualificata, che lo distingue dal quisque de populo rispetto all'esercizio del potere amministrativo, mentre l'interesse al ricorso consiste nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente dall'accoglimento dell'impugnativa. L'interesse al ricorso, quale species dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., deve avere le caratteristiche della concretezza e dell'attualità e deve consistere in una utilità pratica, diretta e immediata, che l'interessato può ottenere con il provvedimento richiesto al giudice. Dunque, il provvedimento giudiziale a cui si aspira mediante la proposizione del ricorso amministrativo deve essere idoneo ad assicurare, direttamente ed immediatamente, l'utilità che la parte ricorrente assume esserle sottratta o negata o disconosciuta, non essendo a tal fine sufficiente il mero riferimento alla generica pretesa al rispetto di norme, svincolate dalla prospettazione di vizi dell'atto che incidono sulla sfera giuridica del ricorrente.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1297 del 11 aprile 2025


L’oggettivo malfunzionamento della piattaforma digitale utilizzata per lo svolgimento della procedura selettiva, debitamente attestato dal gestore della medesima, non soltanto rende doverosa la rimessione in termini del concorrente, non potendo essere imputato allo stesso il malfunzionamento del sistema, ma impone la proroga del termine di presentazione delle offerte in favore di tutti i potenziali partecipanti, trattandosi di impedimento generalizzato; il malfunzionamento della piattaforma informatica giustifica ex se la rimessione in termini e non richiede l’assolvimento di alcun onere probatorio in capo al partecipante, in applicazione delle previsioni contenute nel Codice dei contatti pubblici laddove impongono la proroga dei termini di presentazione delle offerte nei casi di comprovato malfunzionamento, pur se temporaneo, delle piattaforme.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1096 del 28 marzo 2025


L’assenza di un dovere di confutazione analitica e puntuale delle singole osservazioni consente all’Amministrazione comunale di procedere, discrezionalmente, al loro accorpamento per gruppi omogenei (non tuttavia in un unico blocco), in modo da agevolare il lavoro degli Uffici e di razionalizzare l’iter di approvazione dello strumento pianificatorio, anche al fine di evitare disparità di trattamento tra situazioni omogenee.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1101 del 31 marzo 2025


Ancorché l’art. 133 c.p.a. preveda la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, alla luce dei criteri correttivi introdotti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004, tale attrazione ratione materiae non esclude la verifica della natura giuridica del potere esercitato dalla pubblica amministrazione nella concreta dinamica del rapporto giuridico dedotto in giudizio. Ne consegue che ove gli atti dell'ente pubblico di cui si chiede l'annullamento siano intervenuti dopo la fase di designazione autoritativa dell'impresa appaltatrice (all'esito di gara pubblica o in virtù di provvedimento di affidamento provvisorio) all'interno della regolazione contrattuale del rapporto, la giurisdizione non può che essere del giudice ordinario. Ove invece si tratti di atti strettamente connessi alla procedura di gara o di esercizio di poteri autoritativi la giurisdizione spetta al giudice amministrativo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1106 del 31 marzo 2025


Ai fini della qualificazione di una nuova media struttura di vendita non rileva l’autonomia funzionale dei singoli esercizi; ciò che assume rilievo non è la gestione delle singole unità commerciali insediate nell’immobile quanto la gestione unitaria di infrastrutture e spazi comuni, quali sono l’accesso e i parcheggi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1162 del 4 aprile 2025


L’art. 30, comma 3 bis, del D.L. n. 69/2013 – a mente del quale “il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni” – va interpretato nel senso che l'estensione di tre anni della proroga a tutti i termini previsti nell'ambito della singola convenzione urbanistica opera con esclusivo riferimento alle convenzioni ancora efficaci al momento di entrata in vigore della legge di conversione e non anche con riferimento ad accordi pur stipulati entro il 31 dicembre 2012 ma non più efficaci

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1161 del 4 aprile 2025


I vizi che inficiano la nomina o la composizione della commissione di gara non si trasmettono in via automatica ai lotti diversi rispetti a quello oggetto di impugnativa poiché tale effetto viene precluso dall’autonomia delle singole procedure di gara relative ai diversi lotti attinenti al medesimo bando. A differenza della pubblicazione del bando di gara, la nomina commissione, sebbene costituisca un segmento o tronco procedimentale unitario per tutti i lotti, non ha rispetto alle singole aggiudicazioni natura di atto presupposto tale per cui l’illegittimità che la colpisce si trasmette in via derivata, con effetto caducante, verso le aggiudicazioni diverse rispetto a quella oggetto di impugnazione. Il vizio che colpisce la commissione di una gara ad oggetto plurimo rimane un vizio di quella specifica procedura di gara che inficia in via derivata, con effetto viziante, tutte le aggiudicazioni, ma che potrà essere fatto valere, attesa l’autonomia delle gare relativa ai vari lotti, mediante apposita impugnativa o ricorso cumulativo. Nonostante l’annullamento dell’aggiudicazione di un lotto, in mancanza di specifico gravame le altre aggiudicazioni continuano a rimanere in piedi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1109 del 31 marzo 2025








Il percorso evolutivo delle disposizione in materia di ristrutturazione edilizia riflette il progressivo superamento dei confini originariamente propri dell’istituto della ristrutturazione demoricostruttiva, che ha portato all’eliminazione del requisito della ricostruzione con “identità” tra il fabbricato precedente e quello risultante all’esito dei lavori, rendendo così possibile ricondurre a tale categoria edilizia anche interventi comportanti una ricostruzione con modifica dei parametri costruttivi, con l’obiettivo di favorire il contenimento del consumo di nuovo suolo e l’utilizzazione di aree già urbanizzate. La corretta interpretazione della norma, tuttavia, passa attraverso un’analisi che tenga conto non solo del dato strettamente semantico o letterale, ma anche dell’esigenza di mantenere un’oggettiva distinzione sul piano concettuale e regolatorio tra la ristrutturazione e la nuova costruzione, pure nel sistema risultante dalle recenti modifiche al testo unico dell’edilizia. L’attuale versione dell’art. 3, comma 1, lett. d), TU edilizia difatti, sebbene animata dall’obiettivo di rendere più utilizzabile lo strumento della ristrutturazione demoricostruttiva anche nella prospettiva di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente e evitare consumo di nuovo suolo, non può legittimare un concetto di ristrutturazione completamente sganciato dalla conservazione della precedente identità dell’edificio oggetto di trasformazione, né un’interpretazione che avvalori l’idea per cui l’edificio preesistente rappresenterebbe soltanto “l’occasione” per un intervento che, di fatto, si risolve nella creazione di un novum sul piano edilizio, non riconducibile sotto alcun profilo alla costruzione esistente se non sul piano meramente nominalistico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1133 del 1 aprile 2025



Con riferimento al novellato art. 120 c.p.a., il legislatore ha cercato di far coincidere la conoscenza del provvedimento con la conoscibilità dei vizi e, quindi, con la trasmissione degli atti, e ciò al fine di contemperare due esigenze in conflitto: ovverosia, da un lato, evitare il fenomeno dei c.d. ricorsi “al buio” (proposti cioè senza conoscere ancora tutti gli atti della procedura) e, dall’altro, contenere rigorosamente i termini per la proposizione del gravame entro i limiti di legge, con individuazione di un “termine certo”, a soddisfazione dell’esigenza di stabilità dell’atto amministrativo e di certezza dei rapporti giuridici. In questa prospettiva la regola è, quindi, quella dell’impugnazione entro il termine di trenta giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione; la possibilità di sommare a detto termine quello ulteriore di quindici giorni presuppone, quale condizione imprescindibile, la tempestività dell’istanza ostensiva.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 247 del 27 marzo 2025


Non si può ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un magazzino per deposito (analogamente al caso di una soffitta o di un garage) in un locale abitabile. Solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita del permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, così come tra locali accessori e vani ad uso residenziale, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire e ciò indipendentemente dall'esecuzione di opere. Infatti, neanche il cambiamento di destinazione d'uso senza realizzazione di opere edilizie costituirebbe un'attività del tutto libera e priva di vincoli, non potendo comportare la vanificazione di ogni previsione urbanistica che disciplini l’uso nel territorio del singolo Comune.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1127 del 31 marzo 2025