Il TAR Milano ricorda che la nozione di superficie e volume utile è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici: infatti, mentre nelle valutazioni di natura urbanistica attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori (che sono consumati da alcune tipologie costruttive, ad esempio l'edificazione fuori terra, e non da altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici), nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico; pertanto, un volume o una superficie irrilevanti ai fini urbanistici potrebbero creare un ingombro o un impatto intollerabile per il paesaggio, e dunque sarebbe utile in base ai parametri estetici attraverso cui viene data protezione al vincolo paesistico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2942 del 29 ottobre 2024


Il TAR Milano, con riferimento a una procedura di scelta del contraente condotta in forma telematica previa la registrazione dell’operatore economico alla piattaforma della Regione Lombardia denominata “Sintel” e la successiva predisposizione di una “busta telematica” contenente la documentazione amministrativa (STEP1), una “busta telematica” contenente l’offerta tecnica (STEP2) e una contenente l’offerta economica (STEP3) e una dichiarazione d’offerta finale di tipo riassuntivo generata dal sistema (STEP4), ritiene che sia da escludere la dichiarazione d’offerta tecnica di cui allo STEP2 risultata priva di sottoscrizione in virtù del disposto dell’art. l’art. 65 del CAD (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82). Infatti, mancava nel caso in esame non solo la firma propriamente detta – elettronica o manuale – ma anche gli equipollenti costituiti dall’uso dello SPID o del SERC servizio elettronico di recapito certificato, in quanto non è possibile equiparare la registrazione e la creazione di un account dedicato fatta dalla ricorrente per accedere alla piattaforma Sintel ad un servizio elettronico di recapito certificato (SERC) come definito dal Regolamento eIDAS.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 3359 del 26 novembre 2024


Il TAR Brescia ricorda che il compito del Commissario ad acta – che deve ritenersi intrinsecamente obbligatorio - non è quello di esercitare poteri amministrativi funzionalizzati alla cura dell'interesse pubblico, bensì quello di dare attuazione alla pronuncia del giudice, anche eventualmente attraverso l'esercizio di poteri amministrativi non esercitati, dei quali il comando contenuto in sentenza costituisce il fondamento genetico e l'approdo funzionale, per cui il commissario ad acta può essere chiamato ad adottare atti dalla natura giuridica e dai contenuti più vari.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 881 del 4 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda il consolidato indirizzo giurisprudenziale in merito alla possibilità di rettificare l’errore materiale, secondo il quale, nelle gare pubbliche l’errore materiale nell’offerta consiste in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione dell’offerta che deve emergere ictu oculi, dal contesto stesso dell’atto e senza bisogno di complesse indagini ricostruttive di una volontà agevolmente individuabile e chiaramente riconoscibile da chiunque; la correzione dell’errore materiale postula la concreta possibilità per la stazione appaltante di sostituire la volontà erroneamente estrinsecata attraverso l’offerta con una diversa volontà, rimasta inespressa, ma agevolmente desumibile dal documento. In sostanza la volontà inespressa, o non correttamente espressa, ma specificamente e funzionalmente diretta a correggere il profilo investito dall’errore materiale, dovrebbe essere già presente nel contesto dell’offerta e agevolmente ritraibile dalla stazione appaltante.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 3210 del 15 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda che il proprietario non responsabile dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3225 del 18 novembre 2024


Il TAR Brescia ricostruisce il quadro interpretativo in materia di titoli edilizi in relazione a beni di natura condominiale, ricordando che la giurisprudenza prevalente ha affermato che: 1) i lavori edilizi, da eseguirsi su parti indicate come comuni del fabbricato e comportanti opere non connesse all'uso normale della cosa comune, devono essere preceduti dal previo assenso dei comproprietari, situazione questa che impone al Comune di accertare l'esistenza del consenso alla realizzazione da parte di tutti i condomini e, quindi, un preciso obbligo di istruttoria; 2) in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per l’amministrazione comunale di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti: a) siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili; b) non siano contestati; ciò in quanto il controllo da parte dell’ente locale si deve tradurre in una semplice presa d’atto dei limiti senza necessità di procedere ad un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti dominicali, rimessi ai poteri di accertamento dell’autorità giudiziaria ordinaria; 3) se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria presentata da un condomino, al contrario, qualora uno o più condomini si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edilizio o sia evidente la compromissione del compendio condominiale, il Comune dovrà verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconducibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto dell’intervento edilizio, circoscrivendo invero l’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la legittimazione attiva all’ottenimento del titolo abilitativo al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo; 4) pertanto, qualora i lavori edilizi siano in grado di incidere su parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale della cosa comune (ex art. 1102 c.c.), essi abbisognano, in sede di rilascio del titolo autorizzativo, del previo assenso del condominio anche in relazione agli aspetti pubblicistici.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 919 del 15 novembre 2024


Il TAR Milano precisa che la disciplina di cui agli artt. 4 e 5 del DPR 20 ottobre 1998 n. 447, volta a favorire e a semplificare la realizzazione di impianti produttivi di beni e servizi, costituisce una procedura di tipo derogatorio che non vale ad espropriare l'Ente locale degli ordinari poteri di assumere le definitive determinazioni al riguardo; la proposta di variante positivamente assunta dalla conferenza dei servizi non è vincolante per il Consiglio comunale; in particolare, in tale contesto logico-procedimentale, la proposta della citata conferenza assume in pratica il ruolo di un atto d'impulso, strumentale alla prosecuzione del procedimento, in cui il Consiglio comunale può e deve autonomamente valutare se aderire o meno alla proposta in questione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3229 del 18 novembre 2024


Il TAR Brescia, con riferimento ad una azione di accertamento avente ad oggetto la decadenza dalla titolarità di una concessione idroelettrica (per mancato esercizio), ha anzitutto osservato che la decadenza della concessione per mancato esercizio non costituisce un effetto che si verifica ex lege al ricorrere del presupposto normativo, richiedendo, viceversa, l’intermediazione del potere pubblico attraverso l’emanazione di un provvedimento motivato, all’esito di un procedimento necessariamente preceduto dalla contestazione al concessionario delle circostanze che giustificano la decadenza. Su queste basi, il TAR ha osservato che la domanda fatta valere in giudizio era volta a introdurre un’azione di accertamento atipica, la quale, ove vengano in rilievo situazioni di interesse legittimo, è esperibile solo in via residuale, laddove cioè tale forma di tutela risulti l'unica idonea a garantire in concreto una protezione adeguata e immediata della sfera giuridica dell’interessato. In altre parole, nel processo amministrativo, l'azione di accertamento è ammessa solo eccezionalmente, in diretta applicazione del principio di effettività della tutela, ove manchino, nel sistema, strumenti giurisdizionali a protezione di interessi certamente riconosciuti dall'ordinamento. Nel caso di specie mancava proprio il requisito della residualità, perché la parte interessata ben avrebbe potuto sollecitare l’amministrazione competente alla dichiarazione di decadenza, proponendo semmai l’azione disciplinata dagli artt. 31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio–inadempimento; azione sicuramente idonea ad assicurare la tutela, da parte del giudice amministrativo, dell’interesse protetto.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 916 del 14 novembre 2024


Il TAR Milano ritiene che il termine per la costituzione in giudizio di cui all’art. 36, comma 4, D.Lgs. 36/2023 corrisponda al termine per la costituzione in giudizio prevista per il rito ordinario dall’art. 46 c.p.a., il quale ha pacificamente natura ordinatoria (con la conseguenza che è consentito alle parti costituirsi anche oltre il predetto termine - cfr. l’utilizzo anche nell’art. 36, comma 4 in esame, così come nell’art. 46 c.p.a., del verbo “possono” anziché “devono”) e che per individuare il termine per il deposito di memorie e documenti sia necessario riferirsi ai termini processuali previsti dall’art. 55, comma 5, c.p.a., dimidiati ai sensi dell’art. 36, comma 7, D.Lgs. 36/2023, con la conseguenza che le parti possono depositare memorie e documenti fino a un giorno libero prima della camera di consiglio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3225 del 18 novembre 2024


Il TAR Milano precisa che le convenzioni urbanistiche sono giuridicamente qualificate come “contratti di diritto pubblico o ad oggetto pubblico”, in quanto sono costituite da strumenti di natura pattizia, aventi ad oggetto l’esercizio di potestà di natura pubblicistica; ad esse si applicano, in quanto compatibili, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti (art. 11, comma 2, l. n. 241/1990 e s.m.i.). Dunque, in caso di inadempimento degli obblighi da ciascuna parte assunti con la stipula di siffatti accordi, il creditore deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall'ordinamento al soggetto attivo del rapporto obbligatorio, onde poter realizzare coattivamente il proprio interesse, ivi compresa, pertanto, l’azione di esatto adempimento di cui all’art. 1453 c.c. Nella materia trova, poi, applicazione il noto principio di semplificazione in tema di onere della prova dell’inadempimento di una obbligazione, in ossequio al quale il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3038 del 5 novembre 2024


Il TAR Brescia, in materia di procedura semplificata di autorizzazione paesaggistica, ricorda che il procedimento è disciplinato dall’art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 31/2017, secondo cui “L’amministrazione procedente valuta la conformità dell’intervento o dell’opera alle prescrizioni d’uso, ove presenti, contenute nel provvedimento di vincolo o nel piano paesaggistico, anche solo adottato, ai sensi del Codice, nonché, eventualmente, la sua compatibilità con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento”. Solamente in caso di positivo superamento di tale valutazione, e in considerazione di una proposta di accoglimento dell’istanza, la stessa norma prevede il necessario e successivo coinvolgimento della Soprintendenza, lasciando invece impregiudicato il potere dell’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di rigettare motivatamente l’istanza in caso di esito negativo della valutazione di cui al comma 3, dandone comunicazione al richiedente. (Nel caso concreto, il ricorrente eccepiva l'illegittimità del diniego per omessa trasmissione della proposta di provvedimento alla Soprintendenza. Ma secondo il TAR il procedimento autorizzatorio si era arrestato nella prima fase di valutazione della “compatibilità con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento” senza che il mancato coinvolgimento della Soprintendenza possa avere efficacia invalidante).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 28 ottobre 2024, n. 852


Il TAR Milano precisa che il principio del risultato nel settore dei contratti pubblici si manifesta come regola interpretativa e di validità degli atti amministrativi. In quanto regola interpretativa si traduce nel dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare. In quanto regola di validità, il principio del risultato attua nel settore dei contratti pubblici il principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Pertanto esso integra il paradigma normativo del provvedimento e dunque amplia il perimetro del sindacato del giudice, facendo transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili e, al contempo, consente di escludere che, ove venga rispettato, eventuali vizi formali dell’atto conducano all’illegittimità dell’atto. Il principio del risultato ha quindi una duplica valenza poiché si pone quale criterio di sindacato della validità dell’atto che conduce all’illegittimità laddove non sia rispettato o all’esclusione dell’illegittimità laddove sia rispettato (quale previsione speculare alla disciplina dell’art. 21-octies, comma 2, legge n. 241/1990). In entrambi i casi in cui opera quale regola interpretativa e di validità, il risultato costituisce precetto normativo rivolto sia all’amministrazione chiamata ad esercitare il potere discrezionale sia al giudice chiamato a verificare il corretto esercizio di quel potere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 3127 del 11 novembre 2024


Secondo il TAR Milano, le opere realizzate senza autorizzazione all’interno di un territorio protetto, anche se astrattamente riconducibili al concetto di pertinenza, debbono comunque sottostare alle misure ripristinatorie e di reintegro ambientale di cui agli artt. 167 e 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004: difatti, ove gli illeciti edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3093 del 11 novembre 2024


Il TAR Brescia, con riferimento alla disciplina in materia di accesso agli atti prevista dal nuovo codice dei contratti pubblici, precisa che, con riferimento alla regola generale (art. 36) dell’integrale ostensibilità dell’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, l’art. 35, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 36/2023 prevede, quale eccezione, che il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione “a) possono essere esclusi in relazione alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali”. Tale eccezione, tuttavia, non opera, tornando dunque ad applicarsi la regola generale dell’accessibilità, qualora l’accesso richiesto dal concorrente sia “indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara”. Grava pertanto sull’aggiudicatario l’onere di “motivare” e “comprovare” la presenza di parti della sua offerta coperte da segreti tecnici o commerciali. Solamente una volta fornita tale dimostrazione da parte del controinteressato aggiudicatario, e quindi ritenuta operante l’eccezione all’ostensibilità di cui all’art. 35, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 36/2023, sarà onere del ricorrente non aggiudicatario dimostrare l’indispensabilità della documentazione richiesta ai fini della difesa in giudizio per fare prevalere il suo diritto di difesa sul diritto del controinteressato alla tutela dei segreti tecnici e commerciali.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 880 del 4 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda che la verificazione (e/o la consulenza tecnica d’ufficio) non può sopperire alle carenze probatorie riferibili alle parti del processo, ma ha l’esclusiva finalità di chiarire eventuali dubbi discendenti da elementi ritualmente introdotti in giudizio e non del tutto incontroversi nella loro portata. Difatti, anche la verificazione come la consulenza tecnica d’ufficio non può essere utilizzata per costruire prove che la parte attrice non ha introdotto nel processo nemmeno come principio. Essa, infatti, costituisce non già un mezzo di prova, ma al più di ricerca della prova, avente la funzione di fornire al giudice i necessari elementi di valutazione quando la complessità sul piano tecnico-specialistico dei fatti di causa impedisca una compiuta comprensione, ma non già la funzione di esonerare la parte dagli oneri probatori sulla stessa gravanti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3068 del 7 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda che sul piano della dinamica giuridica, la convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla “saldatura” con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma. L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato. La decorrenza ex tunc è connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo. È questa la principale differenza rispetto alla rinnovazione dell’atto che invece non retroagisce per conservarne gli effetti fin dall’origine.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3058 del 6 novembre 2024



Il TAR Milano ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza, non sussiste, di regola e in via generale, alcun obbligo per la P.A. di avviare e concludere un procedimento in autotutela – salvi i casi in cui la stessa sia doverosa o quando emergano ragioni di giustizia e di equità – tenuto conto che le istanze dei privati volte a chiedere l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione hanno una funzione di mera denuncia o sollecitazione e non creano in capo alla medesima Amministrazione alcun obbligo di provvedere, non dando luogo a formazione di silenzio inadempimento in caso di mancata definizione dell’istanza. Del resto, se si imponesse un obbligo di provvedere, il rischio sarebbe anche quello di eludere i termini di impugnare mediante la proposizione di un’istanza all’amministrazione, con possibilità di impugnare l’eventuale esito negativo della procedura, nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini per proporre ricorso nei confronti del provvedimento di primo grado, con evidente compromissione delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3003 del 31 ottobre 2024


Il TAR Milano rigetta la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme di legge statali e regionali sulla caccia, per l’asserito contrasto delle medesime con l’art. 9 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, laddove si prevede che: «La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Osserva che la norma dell’art. 9 della Costituzione, ancorché inserita nei Principi Fondamentali di quest’ultima, appare di carattere programmatico e non immediatamente precettivo, creando una riserva di legge statale sulle modalità di tutela degli animali e rinviando quindi l’individuazione concreta di tali forme di tutela alle scelte del legislatore statale. Peraltro appare evidente che nell’esercizio del proprio potere normativo, il legislatore dovrà necessariamente bilanciare l’interesse alla tutela animale con altri valori costituzionali, visto che nel nostro ordinamento i valori fondamentali sono in rapporto di reciproca integrazione, senza che uno di essi possa assumere valenza assoluta verso gli altri; in altri termini occorre evitare che nell’ordinamento emergano quelli che, con efficace espressione, sono definiti come “diritti tiranni”. Il TAR aggiunge che l’ordinamento dell’Unione Europea non pare vietare la caccia. L’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), se da una parte garantisce il rispetto del benessere animale, dall’altra impone il rispetto delle consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda le tradizioni culturali e il patrimonio regionale. L’attività venatoria è praticamente coeva alla storia umana e sebbene abbia perso ormai il suo carattere originario di prevalente – se non addirittura esclusiva – fonte di sostentamento delle comunità, rappresenta parimenti una parte della tradizione sociale e culturale italiana, senza contare che la caccia persegue oggi una finalità non solo ricreativa ma anche di misura di conservazione del patrimonio animale (si pensi all’abbattimento selettivo di specie reputate eccessivamente invasive oppure all’abbattimento per limitare la diffusione di gravi patologie quali la peste suina africana). In tal senso si veda la direttiva UE 2009/147/CE (c.d. direttiva uccelli), che ammette (decimo “considerando”) che talune specie possono formare oggetto di caccia, la quale costituisce un modo ammissibile di sfruttamento, seppure nel rispetto di determinati limiti. Inoltre il Consiglio d’Europa, nella sua Carta della caccia e della biodiversità, Principio 6, ha introdotto la nozione di “caccia sostenibile”, il che conferma la legittimità dell’attività venatoria per il Consiglio stesso, seppure nel rispetto della biodiversità e delle inderogabili esigenze di tutela ambientale.

TAR Lombardia, Milano, II, n. 2583 del 7 ottobre 2024