Il TAR Milano ricorda, in materia di recupero dei sottotetti, che:
<<per giurisprudenza costante, nel consentire modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde “[...] unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all’articolo 63, comma 6” (cioè l’altezza media ponderale di 2,40 m), l’art. 64, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005 ammette l’incremento delle altezze nei soli limiti strettamente funzionali ad assicurare le condizioni minime di salubrità agli spazi (resi) abitativi, sicché l’altezza media di 2,40 m deve ritenersi ad un tempo altezza minima (per l’abitabilità degli spazi) e altezza massima (se comporta l’innalzamento delle linee di colmo e di gronda del tetto) [cfr. Consiglio di Stato, IV, 24 febbraio 2021, n. 1613; II, 12 agosto 2019, n. 5664; T.A.R. Lombardia, Milano, I, 27 gennaio 2021, n. 242; I, 26 aprile 2018, n. 1124; II, 19 marzo 2014, n. 714; II, 5 luglio 2011, n. 1763; II, 2 aprile 2010, n. 970; II, 29 ottobre 2009, n. 4941].
L’altezza da considerare nella specie, in assenza di ulteriori specificazioni, è quella rilevante ai fini urbanistici e non quella “assoluta” (e percepibile) legata all’ingombro fisico dell’immobile, con la conseguenza che rendere abitabile un sottotetto di un immobile determina necessariamente un aumento dell’altezza urbanisticamente rilevante dello stesso, a prescindere da una sua avvenuta effettiva sopraelevazione fisica (nelle valutazioni di natura urbanistica si fa riferimento alla consistenza degli indici edificatori – che vengono in rilievo per alcune tipologie costruttive, ad esempio l’edificazione fuori terra, e non per altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici –, mentre non rileva ciò che si percepisce da un punto di vista materiale, riguardando soltanto l’aspetto paesaggistico: cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 9 luglio 2020, n. 1303; 24 giugno 2020, n. 1172; 11 giugno 2019, n. 1319; altresì, T.A.R. Campania, Napoli, VII, 1° febbraio 2018, n. 712); ciò risulta confermato dalla circostanza che “il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti è classificato come ristrutturazione edilizia” (comma 2 dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005), che, a differenza della nuova costruzione, si può configurare soltanto quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente (cfr. Consiglio di Stato, VI, 13 gennaio 2021, n. 423; II, 20 maggio 2019, n. 3208; IV, 19 gennaio 2016, n. 328; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 gennaio 2021, n. 239).
Pertanto, laddove si ammettesse la derogabilità dell’altezza massima – contemporaneamente anche minima – si darebbe vita alla realizzazione di un nuovo piano dell’edificio che snaturerebbe l’attività di recupero del sottotetto e darebbe vita ad un’attività di nuova costruzione e non più di ristrutturazione (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, I, 26 aprile 2018, n. 1124; II, 2 aprile 2010, n. 970). Tale intervento si porrebbe poi in contrasto anche con la normativa statale, in precedenza citata (art. 1 del D.M. Sanità 5 luglio 1975), che stabilisce un’altezza minima per i locali abitabili di 2,70 m, potendosi realizzare vani con altezze anche inferiori (che vanno da 2.41 a 2,69 m) in carenza di un supporto normativo in tal senso: difatti, la previsione dell’art. 63, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2005 rappresenta una deroga alla regola generale delle altezze minime e, in quanto tale, non può essere oggetto di interpretazione estensiva>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1351 del 31 maggio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.