Il Consiglio di Stato enuncia i seguenti principî di diritto in materia di sindacato da parte del giudice sull’attività valutativa da parte della commissione giudicatrice:
a) la motivazione tautologica non è sindacabile dal giudice dell’appello, in quanto essa costituisce un atto d’imperio immotivato e, dunque, non è nemmeno integrabile da detto giudice, se non con il riferimento alle più varie, ipotetiche congetture circa la vera ratio decidendi della sentenza impugnata, che tuttavia non è dato rinvenire nel suo corpus motivazionale, sicché una sentenza “congetturale” che affida al giudice dell’appello il compito impossibile di “intuire” quale sia stato il suo iter logico è, per definizione, una non-decisione giurisdizionale o, se si preferisce, e all’estremo opposto, un atto di puro arbitrio e, quindi, un atto di abdicazione al proprio potere-dovere decisorio da parte del giudice;
b) una sentenza che, quindi, non eserciti alcun sindacato giurisdizionale sull’attività valutativa da parte della Commissione giudicatrice, affermando sic et simpliciter che il ricorso a tal fine proposto da un concorrente solleciterebbe un sindacato sostitutivo del giudice amministrativo, senza però in alcun modo supportare tale affermazione con una almeno sintetica disamina circa il contenuto delle censure tecniche, e trincerandosi apoditticamente dietro la natura non anomala o non manifestamente irragionevole della valutazione espressa dalla Commissione, reca una motivazione tautologica e, in quanto tale, meritevole di annullamento con rinvio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., per nullità della stessa sentenza in difetto assoluto di motivazione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6058 del 2 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano esclude che la Comunità Montana, essendo portatrice di interessi diversi da quelli urbanistico/edilizi, possa rivestire la posizione di controinteressato all’impugnazione dell’ordine di demolizione emesso da parte di un Comune appartenente a detta Comunità e, in assenza di impugnazione di provvedimenti emanati dall’Ente Montano, nemmeno quella di parte resistente.
Deve quindi concludersi, per il TAR, che la Comunità Montana possa assumere nel giudizio esclusivamente la posizione di interveniente e proprio per tale posizione processuale deve escludersi che la Comunità Montana possa proporre ricorso incidentale (nella fattispecie la Comunità Montana aveva impugnato una autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune che aveva emesso l’ordine di demolizione oggetto di gravame); l'intervento nel processo amministrativo, a differenza di quello regolato dalla disciplina processualcivilistica, può infatti essere spiegato unicamente a sostegno delle ragioni di una o di altra parte (adesivo dipendente), e non per far valere un interesse proprio nei confronti di tutte le parti (intervento principale) o di una di esse (intervento litisconsortile autonomo).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2171 del 16 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, visto l’art. 12, comma 3, delle norme di attuazione del Codice del processo amministrativo secondo il quale “per le riprese audiovisive delle trattazioni dei ricorsi in pubblica udienza si applica l’articolo 147 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”, preso atto della non opposizione delle parti in causa, ha accolto la richiesta di effettuare riprese audiovisive (nella fattispecie a cura della Redazione di Report-Rai3) di una udienza pubblica con riferimento ad uno specifico giudizio.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2164 del 15 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio); la rideterminazione del contributo di costruzione può effettuarsi solo in caso di errore di calcolo rispetto al contributo dovuto in base alla situazione di fatto e alla disciplina vigente al tempo del rilascio del titolo; principio valevole anche in caso di monetizzazione di standard, in quanto la fonte dell’obbligazione è comunque costituita dal provvedimento assentivo dell’intervento, sia esso un atto espresso del Comune o un atto privato rispetto al quale l’Amministrazione non esercita alcun potere inibitorio.
Aggiunge il TAR che a non diversa conclusione può condurre la ritenuta applicazione delle nuove disposizioni del P.G.T. operante in regime di salvaguardia; infatti, occorre considerare che la normativa relativa alle misure di salvaguardia ha lo scopo di evitare la realizzazione di interventi che nelle more dell'approvazione degli strumenti urbanistici adottati possono compromettere l'assetto del territorio programmato dal Comune, vanificandone la sua concreta attuazione e, proprio per ovviare a tali inconvenienti, la legge ha stabilito che a decorrere dalla data della deliberazione di adozione dei piani regolatori generali e fino all'emanazione del decreto di approvazione il dirigente dell'ufficio comunale sia obbligato a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni; le misure di salvaguardia sono, quindi, unicamente finalizzate ad evitare l’immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune quali risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest’ultimo; in particolare, ove l’intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all’articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standards e quantificazione del contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2085 del 1 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il Consiglio di Stato, la mera conoscenza dei nominativi dei soggetti che hanno chiesto di effettuare il sopralluogo non integra violazione dell’art. 53, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, nelle procedure aperte, in relazione all’«elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime» (art. 53, comma 2, lett. a), poiché la richiesta di sopralluogo o la proposizione di quesiti circa le sue modalità alla stazione appaltante non costituisce elemento infallibilmente sintomatico, anche per altri soggetti eventualmente interessati a partecipare, di certa futura partecipazione alla gara né, ancor meno, immediata manifestazione di volontà partecipativa o forma equipollente di offerta.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6097 del 4 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano in presenza di un annullamento giurisdizionale delle previsioni urbanistiche rivivono provvisoriamente le previgenti regole fino all’adozione di una determinazione da parte del Comune che potrebbe, in ipotesi, estrinsecarsi nell’accettazione dell’assetto conseguente alla reviviscenza; tesi questa che pare conciliare il rigore dogmatico della tesi che regola i rapporti tra le due discipline in termini di reviviscenza con l’esigenza (parimenti rilevante) di non ritenere la previgente normativa ad applicazione obbligata preservando il potere/dovere comunale di rieditare il potere di conformazione del territorio anche in conseguenza dell’assetto che si crea per effetto dell’annullamento delle prescrizioni nei limiti dello specifico oggetto del giudizio e, quindi, della sentenza;  in tal modo, si consente all’Amministrazione di intervenire anche al fine di assoggettare le aree ad una regolazione comune evitando la policromia regolatoria che potrebbe, in ipotesi, crearsi.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2116 del 9 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Secondo il Consiglio di Stato, la preclusione alla partecipazione alle gare per effetto della produzione di false dichiarazioni o falsa documentazione resta confinata alle due ipotesi tipiche: a) dell’esclusione dalla medesima gara nel cui ambito tale produzione è avvenuta; b) dall’esclusione da ulteriori e successive gare, ma soltanto nel caso in cui sia intervenuta l’iscrizione dell’impresa nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC, nelle ipotesi e con i limiti di cui all’art. 80, comma 5, lett. f- ter), e comma 12; resta, invece, preclusa alle stazioni appaltanti la possibilità di valutare autonomamente ai fini escludenti la condotta di un concorrente il quale abbia reso false e/o omissive dichiarazioni nell’ambito di una precedente gara e non sia stato iscritto nell’indicato casellario, fatta salva ovviamente l’ipotesi in cui perduri, al momento della procedura in corso, la circostanza escludente cui si riferiva l’originaria falsità.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6490 del 27 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la gestione di un magazzino è assimilabile all’attività produttiva quando ha a oggetto le materie prime o i semilavorati destinati a essere impiegati nel ciclo produttivo, mentre, di contro, si inserisce nella fase della commercializzazione quando finge da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato; ne consegue che l’attività di stoccaggio di prodotti finiti (alimenti) in attesa della loro spedizione ai destinatari finali (i.e. coloro che acquistano i prodotti via web o telefono) deve essere qualificata come commerciale.
Aggiunge il TAR che, non essendo in contestazione che l’immobile ove venivano stoccati detti prodotti avesse originariamente destinazione produttiva, nella fattispecie è verificato un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante ai sensi dell’articolo 52, comma 3, L.R. Lombardia n. 12/2005 che determina un aumento del carico urbanistico, come si ricava dall’articolo 5 D.M. 1444/1968, e giustifica la debenza di un maggior contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2055 del 30 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato ritiene che, ferma la distinzione, ormai acquisita in giurisprudenza con le relative conseguenze in punto di differente scrutinio di validità del contratto, tra avvalimento c.d. tecnico – operativo e c.d. di garanzia, per il requisito del fatturato specifico in servizi analoghi sia doveroso l’esame degli atti di gara per stabilire le finalità assegnate dalla stazione appaltante al suo possesso; se (il fatturato specifico è) inteso confermativo di una certa solidità economico – finanziaria dell’operatore economico – per aver, dai pregressi servizi, ottenuto ricavi da porre a garanzia delle obbligazioni da assumere con il contratto d’appalto – ovvero della capacità tecnica, per aver già utilmente impiegato, nelle pregresse esperienze lavorative, la propria organizzazione aziendale e le competenze tecniche a disposizione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6066 del 2 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, l'inserimento dei balconi, pur non comportando un aumento di volumetria o di superficie utile, varia l'aspetto estetico dell'edificio, comportando, quindi, un apprezzabile mutamento nel “prospetto” dell'edificio stesso; siffatte opere devono considerarsi soggette a permesso di costruire, a norma dell'art. 10 D.P.R. n. 380 del 2001 che vi assoggetta oltre gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica anche quelli di ristrutturazione edilizia, tra i quali appaiono sussumibili gli interventi che determinano modifiche dei prospetti; da ciò consegue, sul piano della qualificazione dell’intervento, che mentre la mera apertura può in particolari casi essere ricondotta all’attività di restauro e risanamento conservativo, così non può affermarsi per il balcone aggettante che, modificando sempre e sistematicamente l’aspetto esterno, configura una ristrutturazione edilizia, in quanto, muta, seppure in parte, gli elementi tipologici formali e strutturali dell'organismo preesistente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2059 del 30 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si ricorda che venerdì 11 ottobre 2019, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, presso il Tribunale Ordinario di Como, Aula Magna, si terrà l’incontro formativo su “Contenzioso in materia di contratti pubblici: problemi aperti ed evoluzioni giurisprudenziali recenti” (con relatore il prof. Emanuele Boscolo).


La partecipazione è gratuita e le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera.


Precisa il TAR Milano che le carenze che affliggono l’offerta economica e quella tecnica non sono colmabili per il tramite del soccorso istruttorio; e invero, l'art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016, seppure con una formulazione a contrario - che fa salva tra l'altro la ipotesi, innovativa, della mancanza, dell'incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo, sanabili con il c.d. soccorso istruttorio oneroso - ha escluso, in linea di continuità con l'interpretazione degli arti. 38 e 46 del previgente d.lgs. n. 163 del 2006, che possano essere oggetto di sanatoria mediante soccorso istruttorio la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale riguardanti l'offerta tecnica ed economica, nonché le carenze della documentazione che non consentano l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa, ipotesi tutte che concretano mancanze non sanabili.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1980 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che un provvedimento di accertamento di conformità in sanatoria condizionato all’eliminazione degli abusi si palesa abnorme in quanto la previsione che l’immobile sia accertato conforme a condizione che in futuro siano eliminati gli abusi rilevati (nella fattispecie tra l’altro già accertati definitivamente con una sentenza) si pone in contrasto con la stessa natura dell’atto di accertamento di conformità; ricorda il TAR che la giurisprudenza ha chiarito che la sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 può essere rilasciata solo previa verifica della doppia conformità dell’intervento edilizio alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento abusivo, sia al momento della presentazione della domanda; essa presuppone quindi la già avvenuta esecuzione delle opere e il permesso di costruire in sanatoria non può pertanto essere subordinato alla realizzazione di ulteriori interventi, sia pur finalizzati a ricondurre l'immobile abusivo nell'alveo di conformità degli strumenti urbanistici o compatibili con il paesaggio: la conformità agli strumenti urbanistici deve già sussistere.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2088 del 1 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in tema di principio di equivalenza dei prodotti offerti nelle gare d'appalto osserva che:
- muovendo dalla normativa prima contenuta nell’art. 68 del d.lgs. n. 163 del 2006 e ora racchiusa nell’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza ha evidenziato che, allorché le offerte devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche, il legislatore ha inteso introdurre il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale ma sostanziale con le specifiche tecniche, in modo che le stesse vengano comunque soddisfatte, con la conseguenza che, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza – finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche – i concorrenti possono sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto e che il riferimento negli atti di gara a specifiche certificazioni o caratteristiche tecniche non consente alla stazione appaltante di escludere un concorrente respingendo l’offerta che possieda una certificazione equivalente o rechi caratteristiche tecniche perfettamente corrispondenti allo specifico standard voluto;
- peraltro, è l’operatore economico che intende avvalersi della clausola di equivalenza ad avere l’onere di dimostrare l’equipollenza funzionale tra i prodotti, non potendo pretendere che di tale accertamento si faccia carico la stazione appaltante, la quale è vincolata alla regola per cui le caratteristiche tecniche previste nel capitolato di appalto valgono a qualificare i beni oggetto di fornitura e concorrono, dunque, a definire il contenuto della prestazione sulla quale deve perfezionarsi l’accordo contrattuale, sicché eventuali e apprezzabili difformità registrate nell’offerta concretano una forma di aliud pro alio, comportante, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di apposita comminatoria, e nel contempo non rimediabile tramite regolarizzazione postuma, consentita soltanto quando i vizi rilevati nell’offerta siano puramente formali o chiaramente imputabili a errore materiale;
- se dunque la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti deve ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissione alla gara, in quanto atta a consentire alla stazione appaltante lo svolgimento di un giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche – sì che la prova da fornire può concretizzarsi in una specifica e dettagliata descrizione del prodotto e della fornitura –, resta fermo che il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara, legato non a formalistici riscontri ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte, costituisce pacificamente legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione e, pertanto, il relativo sindacato giurisdizionale deve attestarsi su riscontrati, e prima ancora dimostrati, vizi di manifesta erroneità o di evidente illogicità del giudizio stesso, ossia sulla palese inattendibilità della valutazione espressa dalla stessa commissione di gara;
- d’altra parte, l’Amministrazione ben può esigere che i prodotti che intende acquisire presentino caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle ordinariamente richieste per simili tipologie di prodotti, dovendosi presumere – fino a prova contraria – che le prescritte ulteriori proprietà elevino lo standard prestazionale ai fini di un migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito, mentre spetta all’offerente dimostrare, pur a fronte della più alta soglia imposta, l’equivalenza sostanziale/funzionale del diverso prodotto offerto e poi, in caso di giudizio negativo della stazione appaltante, argomentatamente denunciare in sede giurisdizionale l’erroneità della determinazione amministrativa sfavorevole.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1991 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.

In argomento vedi anche la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6212 del 18 settembre 2019.



Secondo il TAR Brescia, l’amministrazione può chiedere al proprietario incolpevole di farsi carico delle misure di prevenzione, a condizione che la spesa possa essere sostenuta senza conseguenze economiche eccessive, secondo il normale bilanciamento di interessi garantito dal principio di proporzionalità; nessun intervento di bonifica può invece essere imposto al proprietario incolpevole, il quale rimane tuttavia obbligato a rimborsare i relativi costi all’amministrazione, qualora risulti infruttuosa o non praticabile l’escussione dell’autore dell’inquinamento; poiché il credito dell’amministrazione grava sull’area contaminata (v. art. 253 commi 1 e 2 del Dlgs. 152/2006) come un onere reale assistito da un privilegio speciale immobiliare ex art. 2748 comma 2 c.c., al proprietario incolpevole che non possa o non voglia rimborsare i costi della bonifica rimane l’opzione di abbandonare il fondo, secondo un meccanismo non dissimile da quello descritto nell’art. 1070 c.c. a proposito dell’abbandono del fondo servente; in alternativa, il proprietario incolpevole può volontariamente assumere gli oneri della bonifica ex art. 245 comma 1 del Dlgs. 152/2006, salvo rivalsa nei confronti dell’autore dell’inquinamento.
Aggiunge il TAR che l’intervento di bonifica assunto volontariamente ai sensi dell’art. 245, comma 1, nonché dell’art. 252, comma 5, del Dlgs. 152/2006 costituisce una gestione di affari altrui che, in applicazione analogica della norma generale ex art. 2028 c.c., deve essere portata a compimento, o comunque proseguita finché l’amministrazione non sia in grado di far subentrare l’autore dell’inquinamento; lo stesso vale se l’assunzione dell’intervento di bonifica da parte del proprietario incolpevole o di altri soggetti è avvenuta ai sensi dell’art. 9 del DM 25 ottobre 1999 n. 471.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 831 del 25 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Giustizia UE con riferimento all’art. 105 del d.lgs. n. 50 del 2016 statuisce che:
La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.

La sentenza della Quinta Sezione del 26 settembre 2019 (causa C-63/18) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia.



Il TAR Milano chiarisce che l’accesso da parte di terzi al fascicolo processuale è calibrato in modo strumentale alla proposizione dell’atto di intervento volontario in giudizio ed è da accordarsi in presenza di quella posizione soggettiva che ne fonderebbe la legittimazione ai sensi dell’art. 28, secondo comma, c.p.a.; sicché il soggetto istante è tenuto a rappresentare il proprio interesse all’ostensione e a preannunciare la propria intenzione di intervenire volontariamente nella causa e non deve essere decaduto dall’esercizio della relativa azione.
Aggiunge il TAR che, in applicazione di siffatta disposizione, è stato correttamente affermato come nel processo amministrativo l’intervento in giudizio non sia litisconsortile autonomo, bensì adesivo dipendente, ossia a sostegno delle ragioni altrui, ed è consentito a condizione che il soggetto, se legittimato, non sia decaduto dal diritto di impugnare il provvedimento: sarebbe quindi inammissibile l'intervento ad opera del soggetto che sia comunque legittimato a proporre direttamente ricorso in via principale avverso il medesimo atto impugnato da terzi nel processo in cui ritiene di intervenire, eludendosi altrimenti il rispetto dei termini decadenziali imposti dalla legge; l’art. 28, comma secondo, cit. prevede, altresì, che l’interveniente accetta lo stato e il grado in cui il giudizio si trova, a conferma che va negato a chi, possedendo legittimazione attiva e avendovi interesse, decaduto dal gravame, possa surrettiziamente eludere il termine di decadenza mediante l’intervento in giudizio.
Ciò considerato, il TAR, accertato che nel caso di specie gli istanti sarebbero stati legittimati a gravare gli atti impugnati nel procedimento al cui fascicolo processuale hanno chiesto l’accesso (nella fattispecie, in quanto destinatari dell’impugnata ingiunzione di demolizione, unitamente ai ricorrenti, in qualità di comproprietari dell’immobile di cui trattasi), ritiene precluso loro l’intervento in giudizio e conseguentemente rigetta l’istanza di accesso al fascicolo processuale.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2015 del 25 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la previsione di un’esclusiva iniziativa comunale nell’attuazione delle misure per realizzare i servizi pubblici (parcheggi), conferendo natura espropriativa e non conformativa al vincolo, rende necessaria una specifica motivazione in ordine alla reiterazione del predetto vincolo, oltre alla previsione di una forma di indennizzo a ristoro del sacrificio imposto alla proprietà privata.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1896 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato, con riferimento alla questione dell’individuazione del momento dal quale decorre il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione conclusivo di una procedura di appalto pubblico qualora il soggetto leso dichiari di aver avuto conoscenza degli atti della procedura e dei relativi vizi solamente a seguito di accesso ai documenti, ritiene che restano validi i seguenti principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa nella vigenza del vecchio codice dei contratti pubblici:
a) in caso di comunicazione dell’aggiudicazione che non specifichi le ragioni di preferenza dell’offerta dell’aggiudicataria (o non sia accompagnata dall’allegazione dei verbali di gara), e comunque, in ogni caso in cui si renda indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell’offerta dell’aggiudicatario per aver chiare le ragioni di preferenza, l’impresa concorrente può richiedere di accedere agli atti della procedura;
b) alla luce dell’insegnamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione;
c) la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l’accesso informale ai documenti di gara dall’art. 79, comma 5 quater d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell’art. 76 d.lgs. n. 50 per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato;
d) qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l’accesso, o tenga comportamenti dilatori che non consentano l’immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere e il potere di impugnare dall’interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa non si “consuma”; in questo caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura;
e) la comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione imposta dall’art. 76, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali, in particolare, la pubblicazione del provvedimento all’albo pretorio della stazione appaltante per l’espresso riferimento dell’art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente;
f) anche indipendentemente dal formale inoltro della comunicazione dell’art. 76, comma 5, d.lgs. n. 50 cit., per la regola generale di cui all’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., il termine decorre dal momento in cui il concorrente abbia acquisito “piena conoscenza” dell’aggiudicazione, del suo concreto contenuto dispositivo e della sua effettiva lesività, pur se non sia accompagnata dall’acquisizione di tutti gli atti del procedimento.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6251 del 20 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in sede di interpretazione dell’art. 80, comma 5, lett. m), del D. Lgs. 50/2016, ove si prevede che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: “m) l'operatore economico si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”, ricorda che la giurisprudenza, condivisa dal Tribunale, ha precisato che:
- l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale costituisce motivo in sé sufficiente a giustificare l’esclusione delle imprese dalla procedura selettiva, non essendo necessario verificare che la comunanza a livello strutturale delle imprese partecipanti alla gara abbia concretamente influito sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, determinando la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale;
- ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo, autonomo e svincolato da valutazioni a posteriori di tipo qualitativo, rappresentato dall’esistenza di un collegamento sostanziale tra le imprese, con la necessaria precisazione che lo stesso debba essere dedotto da indizi gravi, precisi e concordanti;
- tale interpretazione garantisce la giusta tutela ai principi di segretezza delle offerte e di trasparenza delle gare pubbliche nonché della parità di trattamento delle imprese concorrenti, principi che verrebbero irrimediabilmente violati qualora si ritenesse di correlare l’esclusione dalla gara di imprese in collegamento sostanziale ad una posteriore valutazione sul contenuto delle offerte;
- è ravvisabile un centro decisionale unitario laddove tra imprese concorrenti vi sia intreccio parentale tra organi rappresentativi o tra soci o direttori tecnici, vi sia contiguità di sede, vi siano utenze in comune (indici soggettivi), oppure, anche in aggiunta, vi siano identiche modalità formali di redazione delle offerte, vi siano strette relazioni temporali e locali nelle modalità di spedizione dei plichi, vi siano significative vicinanze cronologiche tra gli attestati SOA o tra le polizze assicurative a garanzia delle offerte; la ricorrenza di questi indici, in numero sufficiente e legati da nesso oggettivo di gravità, precisione e concordanza tale da giustificare la correttezza dello strumento presuntivo, è sufficiente a giustificare l’esclusione dalla gara dei concorrenti che si trovino in questa situazione;
- il semplice collegamento può quindi dar luogo all’esclusione da una gara d’appalto solo all’esito di puntuali verifiche compiute con riferimento al caso concreto da parte dell’Amministrazione che deve accertare se la situazione rappresenta anche solo un pericolo che le condizioni di gara vengano alterate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1981 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.