La qualificazione degli interventi edilizi, anche ai fini dell’applicazione di una norma agevolativa nella fissazione del contributo di costruzione o della monetizzazione, non può che avvenire avendo riguardo alla totalità di un intervento, impedendo così suddivisioni meramente artificiose e mosse da una finalità sostanzialmente elusiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 987 del 20 marzo 2025


La rideterminazione del contributo di costruzione, rispetto all’importo già liquidato, a fronte degli impegni assunti in sede convenzionale, se ritenuto errato nella sua quantificazione originaria dall’amministrazione pubblica, costituisce attività vincolata e doverosa. Ciò sull’evidente presupposto che la misura di esso sia totalmente svincolata dall’attività negoziale posta in essere dalle parti nell’elaborazione del tessuto convenzionale sinallagmatico. L’obbligo di versamento e la determinazione della misura del contributo edilizio concernono l’accertamento di un diritto soggettivo che non rinviene la sua fonte nella convenzione ma che trae origine direttamente da fonti normative.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 446 del 10 febbraio 2025





L’art. 17, comma 3, lett. c, del d.P.R. 380/01 esenta dal contributo di costruzione gli interventi che presentino la duplice caratteristica della pubblica rilevanza dell'opera (presupposto oggettivo) e della natura pubblica del soggetto che la esegue (requisito soggettivo). È, quindi, necessario che l'opera pubblica o di interesse pubblico sia realizzata da un soggetto privato per conto di un ente pubblico di cui ne rappresenti, in buona sostanza, la longa manus, come nell'ipotesi di concessione di opera pubblica e, dunque, sulla base di un rapporto strutturale e non potenzialmente transeunte.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2824 del 22 ottobre 2024


Il contributo di costruzione gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore. Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 della Costituzione. Quindi, in ragione delle suesposte coordinate ermeneutiche non possono individuarsi esenzioni in ordine al pagamento del contributo di costruzione diverse da quelle espressamente previste dalla legge, come pure non possono prevedersi riduzioni del suo importo non chiaramente individuate dal legislatore.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 107 del 14 gennaio 2025


Il TAR Milano precisa, con riferimento all’art. 17, comma 3, lett. c, del D.P.R. n. 380 del 2001 - il quale prevede che il contributo di costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici” – che la consolidata giurisprudenza ha posto l’accento sulla necessità di verificare, per ammettere l’esenzione dal pagamento del contributo, la sussistenza sia del requisito oggettivo che soggettivo: il primo ricorre allorquando si realizzano opere pubbliche o di interesse generale, mentre il secondo si configura laddove sia un ente pubblico a costruire l’opera. Nondimeno si è ritenuto possibile riconoscere l’esenzione anche alle opere di interesse generale realizzate da privati; tuttavia, detta esenzione spetta soltanto se lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia operato, ovvero solo se il privato abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2178 del 15 luglio 2024


Il TAR Milano osserva che il contributo di costruzione gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore. Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio e, come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 della Costituzione. Attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1087 del 15 aprile 2024


Il TAR Milano condivide il principio secondo il quale le somme elargite in funzione della realizzazione di un’attività edilizia, essendo strettamente connesse al concreto esercizio della facoltà di costruire, non sono dovute in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio; tale principio è applicabile anche alle prestazioni imposte assimilabili al contributo di costruzione, come la monetizzazione sostitutiva della cessione delle aree a standard. Aggiunge il TAR che la non corrispettività in senso stretto degli oneri assunti dal privato lottizzante in esecuzione di un Piano attuativo rispetto alle facoltà edificatorie allo stesso riconosciute – applicabile, di regola, in presenza della stipula di una convenzione urbanistica – rinviene un’eccezione allorquando il contenuto della pattuizione accessiva al predetto Piano attuativo individui una corrispondenza biunivoca tra l’obbligazione assunta dal privato e lo specifico intervento edilizio assentito, ovvero nel caso in cui si può ragionevolmente escludere che la comune intenzione delle parti, ricavabile dalla lettera della convenzione, fosse quella di considerare gli interventi urbanizzativi e la monetizzazione in maniera onnicomprensiva e forfettaria. Seppure in presenza della formale stipula di una convenzione, infatti, laddove la monetizzazione sia correlata (e prevista) soltanto in rapporto allo specifico titolo edilizio, con cui è verificabile la sussistenza di uno stretto collegamento, non vi sono ragioni per non applicare la regola originaria per cui, se lo ius aedificandi non è esercitato, quanto è stato versato per ottenerlo diviene oggettivamente indebito e va restituito.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1048 del 9 aprile 2024


Il TAR Milano precisa che la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lettera b), del TUE che prevede la gratuità degli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, degli edifici unifamiliari, è quella di favorire gli edifici unifamiliari, quindi la piccola proprietà immobiliare, meritevole di un trattamento contributivo differenziato per agevolare interventi di ristrutturazione o di limitato ampliamento di unità immobiliari destinate al soddisfacimento dei bisogni abitativi di una famiglia; insomma si tratta di un’esenzione da contributo per finalità di carattere eminentemente sociale, per garantire una decorosa sistemazione abitativa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 719 del 13 marzo 2024


Il TAR Milano ritiene che, ai fini della individuazione del mutamento di destinazione d'uso che causerebbe, in ragione del passaggio ad una diversa categoria funzionale, l'aumento del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione), non possa prescindersi dalla valutazione dell'utilizzo in concreto dell'immobile e, nel caso in cui questo svolga una funzione servente per un diverso immobile, della natura e della destinazione d'uso di quest'ultimo. Il medesimo magazzino può determinare, pertanto, un differente carico urbanistico se è funzionale all'esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all'esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato.


Il TAR Milano, con riferimento alla rilevanza urbanistica della modifica della destinazione d’uso da produttiva a direzionale, osserva che:
<<1. La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 23-ter del D.P.R. 380 del 2001 (introdotto dall’art. 17 comma 1 lett. n) del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014 n. 164), nel ricomprendere innovativamente la destinazione “produttiva” e quella “direzionale” all’interno della medesima categoria funzionale, ha inteso unificare le due categorie ai soli fini della “insediabilità” degli interventi, e quindi della ammissibilità di un intervento di modifica della destinazione d’uso con passaggio dall’una all’altra di tali categorie, ma non ai fini dell’equivalenza degli interventi dal punto di vista del carico urbanistico e dunque del relativo calcolo degli standard ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968 e delle discipline di settore (Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2023 n. 659), facendo salve, peraltro eventuali diverse previsioni contenute nella legislazione regionale e negli strumenti urbanistici comunali.
2. A tale conclusione si perviene, secondo la giurisprudenza (anche di questa Sezione), sia sulla base di considerazioni di carattere sistematico, atteso che l’art. 23-ter si è inserito in un contesto normativo di rango primario che continua tuttora a contemplare disposizioni che - come l’articolo 5 del D.M. n. 1444/1968 e l’art. 19 commi 1 e 2 del DPR 380/2001 - differenziano le due destinazioni funzionali sotto il profilo del carico urbanistico e, quindi, della quantificazione del contributo di costruzione e delle dotazioni standard (cfr. TAR Milano, sez. II, n. 1765 del 19 luglio 2018); sia in considerazione di dati di comune esperienza, essendo fatto notorio che l’utilizzo produttivo-artigianale di un immobile esprime un carico urbanistico inferiore rispetto a quello terziario, giacché negli immobili ove si svolge il primo vi è solitamente una minore presenza umana (TAR Milano, Sez. II, 26 febbraio 2013 n. 5399; TAR Milano, Sez. II, 5 maggio 2009 n. 3859).
3. Secondo la ricostruzione interpretativa fatta propria dalla Sezione, la previsione normativa di cui al citato articolo 23-ter presenta una propria ratio ben definita, individuabile nel favor manifestato dal legislatore nei confronti del recupero degli edifici industriali dismessi (TAR Milano, II, n. 1765/2018).
4. Alla luce di tali principi, è dunque infondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui con l’introduzione dell’art. 23-ter D.P.R. 380/2001 la modifica della destinazione d’uso (con opere) da produttiva a direzionale sarebbe urbanisticamente irrilevante, non solo ai fini dell’assentitibilità degli interventi, ma anche ai fini della quantificazione degli standard urbanistici.
5. D’altra parte, va considerato che l’art. 23-ter DPR 380/2001, nel prevedere l’unificazione in un’unica categoria funzionale della destinazione produttiva e di quella direzionale, fa espressamente “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali” (comma 1; principio ribadito, in diversa forma, dal comma 3); sicchè, pur in presenza di una norma di rango primario che afferma l’irrilevanza urbanistica del passaggio dall’una all’altra destinazione d’uso, resta salva la facoltà delle regioni di continuare a disciplinare diversamente le due categorie funzionali, sia ai fini della insediabilità degli interventi, sia ai fini della disciplina degli oneri economici relativi a contributo di costruzione e standard, proprio in virtù dell’espressa riserva di legge regionale contenuta nell’art. 23-ter DPR 380/2001.
6. Ebbene, la regione Lombardia, già prima dell’introduzione dell’art. 23-ter DPR 380/2001, si era dotata di una norma, inserita all’interno della propria legge urbanistica regionale, e precisamente l’art. 51 comma 2 della L.R. n. 12/2005, la quale rimetteva ai comuni il compio di disciplinare autonomamente nei propri strumenti urbanistici i mutamenti di destinazione d’uso (con opere) ritenuti urbanisticamente rilevanti ai fini dell’aumento del carico urbanistico; tale norma, tuttora vigente, prevede che “I comuni indicano nel PGT in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree e di edifici, attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale di cui all’articolo 9”.
7. L’esistenza di tale norma regionale alla data di entrata in vigore dell’art. 23-ter, essendo compatibile con la riserva di legge regionale contenuta nell’inciso iniziale del primo comma dell’art. 23-ter DPR 380/2001 (“Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali”), esimeva la regione Lombardia dall’obbligo, previsto dal terzo comma della stessa norma, di adeguare la propria legislazione entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore dell’art. 23-ter, al principio della unificazione in un’unica categoria funzionale delle destinazioni “produttiva” e “direzionale” introdotto dalla norma statale, avendo quest’ultima riservato alle regioni il potere di dettare discipline eventualmente difformi da quella statale; potere che la regione Lombardia ha esercitato demandando a sua volta ai Comuni il compito di definire nei propri strumenti urbanistici le ipotesi di mutamenti di destinazione d’uso (con opere) urbanisticamente rilevanti sotto il profilo dell’aggravio di carico urbanistico.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1307 del 30 maggio 2023.


Il TAR Milano precisa che la prova dell'anteriorità dell'intervento al 1° settembre 1967, in quanto strumentale ad avvalersi di una normativa eccezionale di favore, deve essere rigorosa, tanto più quando – come nella fattispecie – dalla sua mancanza non deriva l'insanabilità assoluta delle opere, bensì il solo sgravio economico degli oneri concessori (così TAR Milano, IV, 23 febbraio 2022 n. 446); in tale contesto, solo la deduzione, da parte dell’interessato, di concreti elementi a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all´amministrazione (cfr. T.A.R. Napoli sez. III, 17 luglio 2019 n. 3936; T. A. R. Salerno, Sez. II, 11 ottobre 2019 n. 1727; C.G.A.R.S. 03 luglio 2019 n. 642; T.A.R. Napoli sez. III, 20 aprile 2016 n. 1957; id., sez. VI, 17 settembre 2015 n. 4565; Tar Firenze, sez. III, 14 maggio 2014 n. 795; Cons. St., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 45; id, sez. V, 9 novembre 2009, n. 6984; T.A.R. Palermo, Sez. III, 14 febbraio 2014 n. 528, con riferimento alla data rilevante ai fini del pagamento degli oneri di urbanizzazione).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1306 del 30 maggio 2023.



Il TAR Milano ricorda che sulla questione della legittimità dell’applicazione della sanzione per ritardato pagamento del contributo per il rilascio del permesso di costruire in presenza di una fideiussione
<< si è pronunciata l’Adunanza Plenaria (sentenza n. 24 del 7 dicembre 2016), intervenuta a fronte di due orientamenti contrapposti: secondo il primo, quando il credito vantato dal Comune per gli oneri dovuto dal titolare di una concessione edilizia è assistito da garanzia fideiussoria, l’Amministrazione non può fare legittimamente ricorso alle sanzioni di cui all'art. 42 D.P.R. n. 380/2001, se non dopo aver previamente escusso infruttuosamente il fideiussore (Cons. St., V , n. 32 del 2003, V, n. 571 del 2003 e I, parere 17 maggio 2013 n. 11663). Secondo questo orientamento l’Amministrazione violerebbe i doveri di correttezza e buona fede, non attivandosi per tempo nel chiedere al garante il pagamento delle somme dovute, in quanto vi sarebbe uno specifico dovere, ai sensi degli artt. 1175, 1375 e 1227, comma 2, cod. civ., di richiedere il pagamento al garante.
Nell’ipotesi in cui l'ente stesso ometta tale adempimento, violerebbe l'obbligo per il creditore di non aggravare inutilmente la posizione del debitore.
Un secondo, maggioritario, orientamento (Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2012 n. 5818, 30 luglio 2012 n. 4320, Sez. VI, 27 novembre 2014 n. 5884), inquadrava la fattispecie in una prospettiva pubblicistica; la fideiussione non avrebbe avuto la funzione di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, ma avrebbe costituito una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'Amministrazione, sulla quale non graverebbe alcun obbligo giuridico di preventiva escussione del fideiussore.
L’Adunanza Plenaria ha condiviso il secondo orientamento, riconoscendo “il potere-dovere della amministrazione comunale di applicare le sanzioni pecuniarie per il ritardo nel pagamento dei contributi di costruzione al semplice verificarsi delle condizioni previste dalla legge, dovendosi per contro escludere la sussistenza di un obbligo di preventiva escussione della garanzia fideiussoria”.
Ha precisato l’Adunanza Plenaria che il sistema di pagamento degli oneri concessori è caratterizzato da uno strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo individuato dalla lett. c), dell'art. 42 d.p.r. n. 380 del 2001, con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento, e trova applicazione al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligato principale.
La sanzione scatta automaticamente, quale effetto legale automatico, se l'importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; mentre è sfornita di base normativa ogni opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio del Comune al previo esercizio dell'onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale, ovvero presso il fideiussore. Solo eventuale, infatti, può essere la parallela garanzia prestata per l'adempimento del debito principale.
In tale sistema, l'amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non accada, l'amministrazione avrà comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all'aumentare del ritardo. E, solo alla scadenza di tutti termini fissati al debitore per l'adempimento (e quindi dopo aver applicato le massime maggiorazioni di legge), l'amministrazione avrà il potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore principale (art. 43, D.P.R. n. 380 del 2001).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 913 del 13 aprile 2023.


Il TAR Milano osserva che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un'iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Fin dalla legge che ha introdotto nell'ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l'amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio (Consiglio di Stato, Ad. plen., 7 dicembre 2016, n. 24; T.A.R. Milano, sez. II, 4 gennaio 2023, n.604) e solo da tale momento è dovuto.
Ciò premesso, nel caso in cui l’intervento edilizio si fermi alla fase della demolizione, il privato non riceve alcun beneficio dalle urbanizzazioni primarie e secondarie realizzate dal Comune, in quanto manca del tutto l'edificio che dovrebbe esserne servito; viene meno quindi il presupposto del pagamento degli oneri di urbanizzazione, non essendovi alcuna incidenza qualitativa o quantitativa sul carico urbanistico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 986 del 21 aprile 2023.






Il TAR Milano osserva che, secondo un diffuso indirizzo esegetico, condiviso dalla Sezione, l’obbligazione di pagamento del contributo, conseguente al rilascio del titolo in sanatoria, ha carattere di obbligazione propter rem o “ambulatoria”, vale a dire un’obbligazione intimamente connessa alla proprietà del bene oggetto dell’abuso, sicché tutti coloro che hanno avuto la proprietà del bene stesso e ne hanno tratto godimento sono obbligati solidalmente alla corresponsione del contributo.
Quanto sopra prescinde dalla responsabilità nella realizzazione dell’illecito edilizio ma si fonda sulla circostanza oggettiva che i proprietari hanno avuto la disponibilità e il godimento dell’immobile, compresa la parte oggetto dell’attività edilizia abusiva, sicché gli stessi devono partecipare degli oneri urbanizzativi e del costo di costruzione derivanti dall’attività costruttiva svolta nel bene (cfr. sul punto, fra le tante, TAR Lombardia, Milano, Sezione II, sentenze n. 1080/2016 e n. 1573/2020, con la giurisprudenza in esse richiamata).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 708 del 20 marzo 2023.


Il TAR Milano precisa che la qualificazione degli interventi edilizi, anche ai fini dell’applicazione di una norma agevolativa nella fissazione del contributo di costruzione o della monetizzazione, non può che avvenire avendo riguardo alla totalità di un intervento, impedendo così suddivisioni meramente artificiose e mosse da una finalità sostanzialmente elusiva (si vedano, per l’affermazione della necessaria valutazione unitaria di qualsivoglia intervento costruttivo, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5879/2022; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4919/2021; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 5140/2022 e anche TAR Milano, Sez. II, n. 572/2022). Tale principio viene in considerazione in caso di abusi edilizi, ma si può estendere senza dubbio alle fattispecie per le quali il legislatore prevede una disciplina di riduzione o addirittura di esenzione dal pagamento dei contributi dovuti al Comune per il compimento dell’attività costruttiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2742 del 13 dicembre 2022.


Il TAR Milano con riguardo alla riconducibilità delle alcune opere realizzate (mensa, deposito, laboratorio didattico) alla destinazione produttiva o a quella terziaria ai fini della corresponsione del contributo di costruzione, osserva:
<<4.2.1. L’art. 19, comma 1, t.u. edilizia prevede per gli impianti industriali un particolare regime agevolato per la corresponsione del contributo di costruzione.
Storicamente, la disciplina di favore per le attività produttive trova il suo antecedente in una disposizione della legge Bucalossi (L. 28 gennaio 1977, n. 10), che – nell’introdurre il principio secondo cui ogni attività comportante trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, subordinata al rilascio di un titolo edilizio, partecipa agli oneri da essa derivanti, mediante l'obbligo di corresponsione di un contributo che il successivo art. 3 indicava come costituito dalle due quote di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione – escludeva poi, all’art. 10, dal pagamento della quota prevista per il costo di costruzione la "concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi”, che comportava la “corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi”.
Analoga disposizione è ora contenuta nel D.P.R. n. 380 del 2001, che prevede all'art. 19, comma 1, che "Il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui al comma 4, lettere a) e b) dell'articolo 16, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva".
4.2.2. Trattasi quindi di una disciplina di favore di cui deve farsi interpretazione restrittiva, in quanto norma eccezionale.
Sul punto, deve richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sentenze 19 giugno 2012 n. 3561; 21 ottobre 1998, n. 1512; 5 settembre 1995, n. 1266; 13 luglio 1994, n. 752; Tar Piemonte, 22 aprile 2021, n. 430) che afferma che "il beneficio dell'esonero dalla corresponsione del contributo concessorio afferente ai costi di costruzione ed urbanizzazione, previsto per gli immobili nei quali si svolge attività industriale dall'art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977, concerne strettamente i fabbricati complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale e non già quegli edifici che non sono di per sé destinati alla produzione di beni industriali, ovvero quelle opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica".
4.2.3. Le unità edilizie in esame – per le ragguardevoli dimensioni e la destinazione in sé estranea alla produzione di beni industriali – non sono suscettibili di essere utilizzate in via diretta per l'esercizio dell'attività produttiva e a suo esclusivo vantaggio: a seguito delle varianti essenziali, infatti, la mensa, oltre a divenire notevolmente più ampia, diviene esterna all’edificio in cui è inserito il corpo di fabbrica, potendo essere – anche viste le ragguardevoli dimensioni – non destinata esclusivamente alle esigenze del personale impiegato nell’attività produttiva; lo stesso vale per il laboratorio didattico, che non ha alcun collegamento diretto e immediato con la destinazione industriale.
Alla luce delle modifiche introdotte in sede di variante e dell’istruttoria del Comune – di cui si è dato più puntualmente conto in narrativa – le superfici in questione non possono essere ritenute asservire alla destinazione industriale, che si è quindi ridotta.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 60 del 4 gennaio 2023.


Il TAR Milano respinge la tesi patrocinata dalla difesa delle parti ricorrenti secondo la quale il contributo di costruzione da prendere a riferimento per i permessi di costruire in sanatoria – e successivamente da raddoppiare – è quello la cui determinazione, nel silenzio della normativa di settore, si ottiene applicando tutti i benefici e le esenzioni che verrebbero tenuti in considerazione nel caso di rilascio di un permesso di costruire ordinario e non in sanatoria.
Secondo il TAR:
<<Tale prospettazione non appare condivisibile, atteso che il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico – quale diretta applicazione del fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 10 aprile 2020) – e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; IV, 7 novembre 2017, n. 5133). Difatti, «il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 3 novembre 2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio» (Consiglio di Stato, IV, 30 maggio 2017, n. 2567).
La giurisprudenza ha affermato che, «attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore» (T.A.R. Veneto, II, 26 novembre 2019, n. 1281; T.A.R. Marche, I, 30 dicembre 2017, n. 954).
Ciò risponde pienamente al principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale «nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», cui consegue una rigidità delle previsioni legislative assolutamente non derogabile in sede interpretativa (sull’applicabilità del principio alla materia del contributo di costruzione, cfr. Consiglio di Stato, IV, 23 dicembre 2019, n. 8703; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 maggio 2020, n. 828).
Quindi, in ragione delle suesposte coordinate ermeneutiche non possono individuarsi esenzioni in ordine al pagamento del contributo di costruzione diverse da quelle espressamente previste dalla legge, come pure non possono prevedersi riduzioni del suo importo non chiaramente individuate dal legislatore.
2.2. Inoltre, lo stesso art. 36, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, prevede che “in caso di gratuità a norma di legge, [il contributo è individuato] in misura pari a quella prevista dall’articolo 16”, con ciò volendo significare che la base di riferimento per il calcolo della sanzione deve essere quella del contributo ordinario e nella misura integrale indicata dalla legge, ossia dal richiamato art. 16 del medesimo Decreto, mentre non possono essere considerate le esenzioni o riduzioni previste dal successivo art. 17 (tra le quali rientra anche la riduzione per l’efficientamento energetico: cfr. comma 4-bis), non oggetto di esplicito richiamo nel citato art. 36.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2644 del 28 novembre 2022.


Il TAR Milano respinge la tesi di parte ricorrente secondo la quale il pagamento degli oneri concessori sarebbe svincolato dal rilascio del titolo edilizio e il rilascio del permesso di costruire non potrebbe essere condizionato al pagamento del contributo di costruzione e osserva:
<<L’art. 16, 2° comma, DPR 380/2001 stabilisce che: “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata.”
La disposizione nazionale è stata disapplicata a seguito dell’entrata in vigore della L.R. 12/2005. Infatti l’art. 103 comma 1 lett. A) cessa di avere diretta applicazione nella Regione la disciplina di dettaglio prevista: a) dagli articoli 3-bis, 11, 12, 13, 14, a esclusione del comma 1-bis, 16, a esclusione del comma 2-bis, 17, comma 4-bis, 19, commi 2 e 3, 23-bis, comma 4, e 32 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Pertanto in materia di rilascio del provvedimento edilizio, trovano applicazione le disposizioni della L.R. 12/2005, ed in particolare l’art. 38 che al comma 7 bis stabilisce: “L'ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché completa della documentazione prevista. Nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l'ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la segnalazione certificata di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data dell'approvazione medesima. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la corresponsione al comune della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti, deve essere fatta all'atto del rilascio del permesso di costruire, ovvero allo scadere del termine di quindici giorni previsto dal comma 7, primo periodo, nei casi di cui al comma 10”.
L’alternativa che si pone è quindi tra il versamento al momento di rilascio del permesso di costruire o la richiesta di rateizzazione, sempre all’atto del rilascio del permesso di costruire.
In base all’interpretazione letterale della norma regionale, il pagamento o la richiesta di rateizzazione devono quindi essere fatti all’atto del rilascio; alias l’Amministrazione al momento del rilascio del titolo deve avere la prova del versamento o della l’istanza di rateizzazione.
La norma pone quindi come presupposto per il rilascio del titolo uno dei due adempimenti.
Non può dedursi dall’art. 43 comma 1 della L.R. 12/2005 un argomento a sostegno della tesi di parte ricorrente, poiché la disposizione, dettata nel Capo - segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire - si limita ad affermare l’obbligo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione, senza disciplinare la modalità di versamento, ma per la diversa fattispecie della Scia.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1933 del 22 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento a un intervento di ristrutturazione edilizia di demolizione e ricostruzione di capannone industriale andato distrutto a causa di un incendio, precisa che il contributo di costruzione – previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione – gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria «rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio» (Consiglio di Stato, Ad. plen., 7 dicembre 2016, n. 24; altresì Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; IV, 31 luglio 2020, n. 4877; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 maggio 2019, n. 1198).
Pertanto, laddove l’intervento edilizio non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico, nessun contributo risulta dovuto in capo al privato che ha realizzato il predetto intervento (per fattispecie assimilabili, cfr. Consiglio di Stato, IV, 30 maggio 2017, n. 2567 e T.A.R. Piemonte, II, 21 maggio 2018, n. 630; più in generale, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 10 maggio 2018, n. 1242).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 820 del 11 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<< gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico, e soggetta al termine di prescrizione decennale.
Nel corso del rapporto concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Inoltre, la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità, ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito. L’originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto. L’amministrazione, dunque, qualora rilevi un errore nel calcolo, può procedere alla rettifica entro il termine di prescrizione, che nel caso in esame non risulta decorso >>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 691 del 28 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.