La liberalizzazione delle destinazioni d’uso prevista dalla normativa regionale lombarda non implica che il passaggio dall’una all’altra avvenga a titolo gratuito: in base alla normativa regionale, infatti, perché si possa avere un mutamento di destinazione d’uso senza costi per il privato sono necessarie tre condizioni: (i) che il cambio sia senza opere; (ii) che siano decorsi almeno 10 anni dell'ultimazione dei lavori; (iii) che la nuova destinazione d'uso non aumenti il carico urbanistico.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 743 del 4 agosto 2025


Non si può ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un magazzino per deposito (analogamente al caso di una soffitta o di un garage) in un locale abitabile. Solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita del permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, così come tra locali accessori e vani ad uso residenziale, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire e ciò indipendentemente dall'esecuzione di opere. Infatti, neanche il cambiamento di destinazione d'uso senza realizzazione di opere edilizie costituirebbe un'attività del tutto libera e priva di vincoli, non potendo comportare la vanificazione di ogni previsione urbanistica che disciplini l’uso nel territorio del singolo Comune.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1127 del 31 marzo 2025


Il TAR Milano osserva che prima dell’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967 (c.d. legge ponte) la quale, come noto, ha generalizzato l’obbligo della licenza edilizia, prima circoscritto ai soli centri abitati dall’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, non era necessario alcun particolare titolo per il cambio di destinazione d’uso. La prima disciplina del mutamento di destinazione d’uso con opere risale all’art. 1 della legge n. 10 del 1977 (c.d. legge Bucalossi), mentre il mutamento d’uso funzionale, cioè senza opere, è regolato a partire dall’art. 25 della legge n. 47 del 1985 (c.d. legge sul primo condono). Aggiunge che non rileva il regolamento edilizio comunale in vigore dal 1921 che esigeva la licenza edilizia (“nulla osta”) per le nuove costruzioni in tutto il territorio comunale, in quanto la norma regolamentare succitata concerneva la sola realizzazione di opere edilizie, ma nel caso di specie il cambio d’uso (da spazio spp a luogo con permanenza di persone) risultava essere stato realizzato senza opere. In ogni caso anche gli aspetti sopra indicati non risultano essere stati presi in adeguata considerazione dagli uffici comunali nel procedimento amministrativo, il che, per il TAR, conferma la fondatezza delle doglianze sul difetto di istruttoria e di motivazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1349 del 6 maggio 2024


A seguito di una richiesta di una associazione religiosa di poter adibire a luogo di culto la propria sede con destinazione terziario-direzionale, rigettata dal Comune in ragione delle norme del PGT che escludono nelle zone produttive e commerciali le attrezzature religiose, il TAR Brescia osserva che il mutamento di destinazione d’uso potrà essere esclusivamente subordinato a tre condizioni: (a) il rilascio di un permesso di costruire (v. art. 52, comma 3-bis, della LR 12/2005); (b) la stipula con il Comune di una convenzione a fini urbanistici (v. art. 70, comma 2-ter, della LR 12/2005); (c) l’accertamento della compatibilità urbanistica (v. art. 9, comma 15, della LR 12/2005). Il rilascio del permesso di costruire non presuppone più una previsione nel PGT che localizzi le singole strutture religiose. Sarà necessaria una valutazione di compatibilità urbanistica allo scopo di accertare l’equivalenza tra il luogo di culto e le destinazioni di zona esplicitamente ammesse o equivalenti.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 837 del 14 novembre 2023


Il TAR Milano ritiene che, ai fini della individuazione del mutamento di destinazione d'uso che causerebbe, in ragione del passaggio ad una diversa categoria funzionale, l'aumento del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione), non possa prescindersi dalla valutazione dell'utilizzo in concreto dell'immobile e, nel caso in cui questo svolga una funzione servente per un diverso immobile, della natura e della destinazione d'uso di quest'ultimo. Il medesimo magazzino può determinare, pertanto, un differente carico urbanistico se è funzionale all'esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all'esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato.


Il TAR Milano, con riferimento alla rilevanza urbanistica della modifica della destinazione d’uso da produttiva a direzionale, osserva che:
<<1. La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 23-ter del D.P.R. 380 del 2001 (introdotto dall’art. 17 comma 1 lett. n) del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014 n. 164), nel ricomprendere innovativamente la destinazione “produttiva” e quella “direzionale” all’interno della medesima categoria funzionale, ha inteso unificare le due categorie ai soli fini della “insediabilità” degli interventi, e quindi della ammissibilità di un intervento di modifica della destinazione d’uso con passaggio dall’una all’altra di tali categorie, ma non ai fini dell’equivalenza degli interventi dal punto di vista del carico urbanistico e dunque del relativo calcolo degli standard ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968 e delle discipline di settore (Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2023 n. 659), facendo salve, peraltro eventuali diverse previsioni contenute nella legislazione regionale e negli strumenti urbanistici comunali.
2. A tale conclusione si perviene, secondo la giurisprudenza (anche di questa Sezione), sia sulla base di considerazioni di carattere sistematico, atteso che l’art. 23-ter si è inserito in un contesto normativo di rango primario che continua tuttora a contemplare disposizioni che - come l’articolo 5 del D.M. n. 1444/1968 e l’art. 19 commi 1 e 2 del DPR 380/2001 - differenziano le due destinazioni funzionali sotto il profilo del carico urbanistico e, quindi, della quantificazione del contributo di costruzione e delle dotazioni standard (cfr. TAR Milano, sez. II, n. 1765 del 19 luglio 2018); sia in considerazione di dati di comune esperienza, essendo fatto notorio che l’utilizzo produttivo-artigianale di un immobile esprime un carico urbanistico inferiore rispetto a quello terziario, giacché negli immobili ove si svolge il primo vi è solitamente una minore presenza umana (TAR Milano, Sez. II, 26 febbraio 2013 n. 5399; TAR Milano, Sez. II, 5 maggio 2009 n. 3859).
3. Secondo la ricostruzione interpretativa fatta propria dalla Sezione, la previsione normativa di cui al citato articolo 23-ter presenta una propria ratio ben definita, individuabile nel favor manifestato dal legislatore nei confronti del recupero degli edifici industriali dismessi (TAR Milano, II, n. 1765/2018).
4. Alla luce di tali principi, è dunque infondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui con l’introduzione dell’art. 23-ter D.P.R. 380/2001 la modifica della destinazione d’uso (con opere) da produttiva a direzionale sarebbe urbanisticamente irrilevante, non solo ai fini dell’assentitibilità degli interventi, ma anche ai fini della quantificazione degli standard urbanistici.
5. D’altra parte, va considerato che l’art. 23-ter DPR 380/2001, nel prevedere l’unificazione in un’unica categoria funzionale della destinazione produttiva e di quella direzionale, fa espressamente “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali” (comma 1; principio ribadito, in diversa forma, dal comma 3); sicchè, pur in presenza di una norma di rango primario che afferma l’irrilevanza urbanistica del passaggio dall’una all’altra destinazione d’uso, resta salva la facoltà delle regioni di continuare a disciplinare diversamente le due categorie funzionali, sia ai fini della insediabilità degli interventi, sia ai fini della disciplina degli oneri economici relativi a contributo di costruzione e standard, proprio in virtù dell’espressa riserva di legge regionale contenuta nell’art. 23-ter DPR 380/2001.
6. Ebbene, la regione Lombardia, già prima dell’introduzione dell’art. 23-ter DPR 380/2001, si era dotata di una norma, inserita all’interno della propria legge urbanistica regionale, e precisamente l’art. 51 comma 2 della L.R. n. 12/2005, la quale rimetteva ai comuni il compio di disciplinare autonomamente nei propri strumenti urbanistici i mutamenti di destinazione d’uso (con opere) ritenuti urbanisticamente rilevanti ai fini dell’aumento del carico urbanistico; tale norma, tuttora vigente, prevede che “I comuni indicano nel PGT in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree e di edifici, attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale di cui all’articolo 9”.
7. L’esistenza di tale norma regionale alla data di entrata in vigore dell’art. 23-ter, essendo compatibile con la riserva di legge regionale contenuta nell’inciso iniziale del primo comma dell’art. 23-ter DPR 380/2001 (“Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali”), esimeva la regione Lombardia dall’obbligo, previsto dal terzo comma della stessa norma, di adeguare la propria legislazione entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore dell’art. 23-ter, al principio della unificazione in un’unica categoria funzionale delle destinazioni “produttiva” e “direzionale” introdotto dalla norma statale, avendo quest’ultima riservato alle regioni il potere di dettare discipline eventualmente difformi da quella statale; potere che la regione Lombardia ha esercitato demandando a sua volta ai Comuni il compito di definire nei propri strumenti urbanistici le ipotesi di mutamenti di destinazione d’uso (con opere) urbanisticamente rilevanti sotto il profilo dell’aggravio di carico urbanistico.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1307 del 30 maggio 2023.


Il TAR Milano rammenta che per i mutamenti di destinazione d’uso – sia con sia senza opere – ciò che rileva, al fine di determinare la necessità di un titolo autorizzatorio e la disciplina sanzionatoria per il caso di violazione, è la rilevanza urbanistica della modifica, nel senso dell’aggravamento del carico urbanistico della zona in questione (art. 32 Testo unico edilizia).
Ciò posto, aggiunge il TAR che con la trasformazione di un locale destinato a ripostiglio in un’abitazione funzionalmente autonoma si genera un maggior carico urbanistico nella zona, con conseguente necessità di ottenere il titolo edilizio; infatti, l'abusivo mutamento di destinazione d'uso dei locali dei sottotetti da locali deposito o magazzini, senza permanenza di persone, a vani abitabili ha certamente modificato i parametri edilizi della costruzione, comportando un non indifferente aggravio del carico urbanistico, e quindi avrebbe dovuto essere assistito da idoneo titolo abilitativo. Difatti, laddove il cambio di categoria edilizia determina un ulteriore carico urbanistico, risulta irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l'effettuazione di opere edilizie.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1036 del 28 aprile 2023.


Il TAR Milano, con riferimento a un cambio di destinazione d’uso dei locali accessori del piano interrato (sgombero, ripostigli) in locali con permanenza di persone (servizio igienico, camera e cucina), evidenzia l’assoluta irrilevanza del fatto che il mutamento sia stato effettuato eventualmente senza opere e mediante la mera apposizione di elementi di arredo; infatti, secondo orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 marzo 2021, n. 1857), il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria (v. anche Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 27 agosto 2020, n. 1620).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 213 del 23 gennaio 2023.


Il TAR Milano richiama e fa proprio l’orientamento secondo il quale in caso di intervento edilizio comportante il mutamento di destinazione d'uso, al fine della determinazione degli spazi a standard deve rivalutarsi la complessiva situazione esistente, e conseguentemente è ammissibile il reperimento della sola quota differenziale degli spazi a standard ove già sussista la quota richiesta per il precedente uso, mentre, solo in assenza di questa, le aree devono essere reperite per l'intero (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 1586).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 572 del 10 marzo 2022.
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Il TAR Milano affronta la questione riguardante la legittimità di un mutamento di destinazione d’uso da industriale a residenziale avvenuto nella vigenza di uno strumento pianificatorio che permetteva unicamente insediamenti produttivi e osserva quanto segue:
<< … il mutamento di destinazione d’uso, ancorché senza opere o “funzionale” … non risulta un’attività neutra da un punto di vista urbanistico ed edilizio, poiché modifica i parametri edilizi dell’immobile, comportando una modifica (nel caso di specie, un aggravio) del carico urbanistico, con la necessità del previo ottenimento di un idoneo titolo abilitativo.
Difatti, laddove il cambio di categoria edilizia determina un ulteriore carico urbanistico, è irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l’effettuazione di opere edilizie (T.A.R. Salerno, Sez. II, 8 marzo 2013, n. 580).
Come chiarito da consolidata giurisprudenza, l’art. 32, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, qualifica come “variazione essenziale” – sanzionata ai sensi del precedente art. 31 con l’obbligo di demolizione e riduzione in pristino – il mutamento di destinazione d’uso che implichi una variazione degli standard previsti dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (T.A.R. Milano, Sez. II, 4 luglio 2019, n. 1529; Id., 27 luglio 2012, n. 2146; T.A.R. Aosta, 16 novembre 2016, n. 55; T.A.R. Venezia, Sez. II, 21 agosto 2013, n. 1078). Segnatamente, «il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti» (T.A.R. Milano, Sez. II, 9 marzo 2021, n. 619; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. VI, 12 dicembre 2019, n. 8454; Id., 18 luglio 2019, n. 5041; Id., 20 novembre 2018, n. 6562). Inoltre, «il cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere» (Cons. Stato, Sez. II, 31 agosto 2020, n. 5300; Id., Sez. VI, 20 novembre 2018, n. 6562).
6.3. Tale conclusione non è messa in discussione dal disposto di cui all’artt. 53, comma 2, della l.r. Lombardia n. 12/2005 che, a fronte di un mutamento di destinazione d’uso senza opere, sembrerebbe stabilire l’applicazione di sanzioni esclusivamente pecuniarie in luogo di sanzioni reali.
Le norme regionali, infatti, devono essere interpretate alla luce dei principi contenuti nella legge statale e, in particolare, dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, che, configurando come variazione essenziale il mutamento di destinazione d’uso che importa una variazione degli standard urbanistici, lo rende inevitabilmente assoggettato alla misura ripristinatoria di cui al precedente art. 31.
A conferma di tale impostazione interpretativa, va poi menzionato l’art. 23-ter del d.p.r. n. 380/2001, il quale ribadisce la rilevanza urbanistica della variazione della destinazione d’uso che determini il passaggio tra categorie funzionali autonome, imponendo alle regioni di adeguare la propria legislazione al suddetto principio. Quest’ultima norma, benché introdotta - con il d.l. n. 133/2014 - dopo l’adozione del provvedimento quivi in contestazione, è confermativa di un assetto giurisprudenziale già consolidato e ha portata chiarificatrice di quanto già ricavabile dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, giacché il passaggio tra categorie funzionali autonome impatta sugli standard urbanistici e, pertanto, non è sanzionabile esclusivamente in via pecuniaria.
Così coordinata la disciplina regionale con quella statale (di diretta applicazione), si deve dunque ritenere ... che il cambio di destinazione d’uso in questione non sia punibile con la mera sanzione pecuniaria, bensì con quella ripristinatoria. Residua perciò uno spazio di applicazione dell’art. 53, comma 2, della l.r. n. 12/2005 per quelle fattispecie – diverse dalla presente – in cui il mutamento di destinazione d’uso, pur difforme dalle previsioni urbanistiche comunali, avvenga all’interno della medesima categoria funzionale (T.A.R. Milano, Sez. II, 26 aprile 2021, n. 1040; Id., Sez. II, 1 luglio 2020, n. 1267; Id., 1 settembre 2020, n. 1631)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2094 del 29 settembre 2021.
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Il TAR Brescia osserva che gli articoli 51 e 52 della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 hanno previsto un regime di sostanziale liberalizzazione delle destinazioni d’uso, per il quale il passaggio a un diverso tipo di utilizzazione deve ritenersi sempre ammissibile, in mancanza di espressi divieti contenuti nello strumento urbanistico; la liberalizzazione delle destinazioni d’uso non assicura peraltro che il passaggio dall’una all’altra avvenga a titolo gratuito; in base alla normativa regionale perché si possa avere un mutamento di destinazione d’uso senza costi per il privato sono necessarie tre condizioni: che il cambio sia senza opere, che la nuova destinazione d'uso non alteri il fabbisogno di standard, che siano decorsi almeno 10 anni dell'ultimazione dei lavori (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 2 marzo 2021, n. 206; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 17 giugno 2015, n. 855).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 578 del 21 giugno 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:
  • il mutamento di destinazione d’uso senza opere, o funzionale, non risulta un’attività neutra da un punto di vista urbanistico ed edilizio poiché modifica i parametri edilizi dell’immobile, comportando una modifica (nel caso di specie, un aggravio) del carico urbanistico, con la necessità del previo ottenimento di un idoneo titolo abilitativo;
  • tale conclusione non è messa in discussione dal disposto di cui all’artt. 53, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005 che, a fronte di un mutamento di destinazione d’uso senza opere, sembrerebbe stabilire l’applicazione di sanzioni esclusivamente pecuniarie, in luogo di sanzioni reali;
  • l’ultimo comma dell’art. 23-ter del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che «le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore; decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo»;
  • tuttavia, le norme regionali devono essere interpretate alla luce dei principi contenuti nella legge statale e, in particolare, in quelli contenuti nell’art. 32 e nell’art. 23-ter del citato D.P.R. n. 380 del 2001, i quali configurano come “variazioni essenziali” i mutamenti che determinano il passaggio a una diversa categoria funzionale e li rendono, dunque, sanzionabili ai sensi del precedente art. 31; così coordinata la disciplina regionale con quella statale (di diretta applicazione), si deve dunque ritenere che un cambio di destinazione d’uso dalla funzione produttiva a quella residenziale senza opere in contrasto con lo strumento urbanistico vigente non sia punibile con la mera sanzione pecuniaria, bensì con quella ripristinatoria;
  • residua dunque uno spazio di applicazione dell’art. 53, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005 per quelle fattispecie in cui il mutamento di destinazione d’uso, pur difforme dalle previsioni urbanistiche comunali, avvenga all’interno della medesima categoria funzionale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1040 del 26 aprile 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:

«Per costante giurisprudenza, il mutamento di destinazione d’uso da “industriale” a “commerciale”, anche senza realizzazione di nuove opere, integra una variazione tra categorie funzionali distinte e non omogenee che determina un incremento del carico urbanistico, soggiacendo, pertanto, all’onere di sopportare gli oneri concessori conseguenti all’aggravio del carico urbanistico; quindi, l’incremento del carico urbanistico, ancorché discendente da un mutamento di destinazione d’uso senza opere, è presupposto sufficiente a determinare la debenza degli oneri concessori, rapportati agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione, in considerazione dell’aggravio urbanistico conseguente all’incremento dei flussi di traffico e di clientela che la destinazione commerciale, rispetto alla iniziale destinazione industriale, necessariamente implica (v. TAR Lazio, Sez. II, 19 settembre 2017 n. 9818). Come questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare (Sez. IV, 10 giugno 2010 n. 1787), il “fondamento degli oneri di urbanizzazione non consiste nell’atto amministrativo in sé, bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II - 13/11/2001 n. 3699). Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d’uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione”.

Né induce a diverse conclusioni la previsione di cui all’invocato art. 52, comma 3, della L.R. n. 12 del 2005. La disposizione, invero, si limita a sancire che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato entro il termine di dieci anni dal momento di conclusione di precedenti lavori fa sorgere in capo all'operatore l'obbligo di versare "... il contributo di costruzione (...) nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione …". Quindi, lungi dal rendere gratuiti i mutamenti di destinazione d’uso senza opere intervenuti oltre il termine decennale ivi indicato, la previsione ha il solo effetto di ragguagliare alla “misura massima” la quota contributiva dovuta nel periodo anteriore alla scadenza decennale, limite che viene meno quando è decorso il decennio».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1674 del 21 settembre 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il TAR Milano precisa che il mutamento di destinazione d’uso consistente nella destinazione a locale abitabile di un sottotetto destinato a locale di sgombero, senza permanenza di persone, a prescindere dalla circostanza che sia stato accompagnato da opere edilizie, modifica i parametri edilizi della costruzione (aumento di altezze e della volumetria), comportando un non indifferente aggravio del carico urbanistico, e quindi deve essere assistito da idoneo titolo abilitativo; difatti, laddove il cambio di categoria edilizia determina un ulteriore carico urbanistico, risulta irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l’effettuazione di opere edilizie e in materia edilizia, l’art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001, qualifica come “variazione essenziale” – sanzionata ai sensi del precedente art. 31 con l’obbligo di demolizione e riduzione in pristino – il mutamento di destinazione d’uso (comunque realizzato, anche senza opere edilizie), che implichi una variazione degli standard previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 997 del 5 giugno 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la gestione di un magazzino è assimilabile all’attività produttiva quando ha a oggetto le materie prime o i semilavorati destinati a essere impiegati nel ciclo produttivo, mentre, di contro, si inserisce nella fase della commercializzazione quando finge da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato; ne consegue che l’attività di stoccaggio di prodotti finiti (alimenti) in attesa della loro spedizione ai destinatari finali (i.e. coloro che acquistano i prodotti via web o telefono) deve essere qualificata come commerciale.
Aggiunge il TAR che, non essendo in contestazione che l’immobile ove venivano stoccati detti prodotti avesse originariamente destinazione produttiva, nella fattispecie è verificato un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante ai sensi dell’articolo 52, comma 3, L.R. Lombardia n. 12/2005 che determina un aumento del carico urbanistico, come si ricava dall’articolo 5 D.M. 1444/1968, e giustifica la debenza di un maggior contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2055 del 30 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato precisa che ai fini della individuazione del mutamento di destinazione d’uso che causa, in ragione del passaggio ad una diversa categoria funzionale, l’aumento del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione), non può prescindersi dalla valutazione dell’utilizzo in concreto dell’immobile e, nel caso in cui questo svolga una funzione servente per un diverso immobile, della natura e della destinazione d’uso di quest’ultimo; un magazzino può determinare, pertanto, un differente carico urbanistico se è funzionale all’esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all’esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 6388 del 13 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che la disciplina contenuta nell’articolo 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001, dedicato al “Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”, non è applicabile in Lombardia, dovendo reputarsi operante esclusivamente la disciplina della destinazione d’uso specificamente dettata dall’articolo 51 della legge regionale n. 12 del 2005.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1765 del 19 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sezione Sesta n. 9 del 5 gennaio 2015, ha escluso che la modificazione della destinazione d’uso di una vecchia stalla per conigli in locale per la vendita diretta al pubblico dei prodotti agricoli determini un mutamento nella destinazione d'uso agricola dell'immobile.

In particolare per il giudice amministrativo “(…) Va condivisa la tesi della società appellante secondo cui il richiamato, diverso, utilizzo dell’immobile non abbia determinato una modificazione nella destinazione d’uso agricolo dello stesso. Al riguardo è stato condivisibilmente osservato che, ai sensi del secondo comma dell’art. 2135 cod. civ. (nel testo sostituito ad opera dell’articolo 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228), sono comunque considerate ‘connesse’ a quelle tipiche dell’imprenditore agricolo le attività dirette alla ‘commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo (…) o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata’ (…)”.