Rilevanza urbanistica della modifica della destinazione d’uso da produttiva a direzionale
<<1. La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 23-ter del D.P.R. 380 del 2001 (introdotto dall’art. 17 comma 1 lett. n) del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014 n. 164), nel ricomprendere innovativamente la destinazione “produttiva” e quella “direzionale” all’interno della medesima categoria funzionale, ha inteso unificare le due categorie ai soli fini della “insediabilità” degli interventi, e quindi della ammissibilità di un intervento di modifica della destinazione d’uso con passaggio dall’una all’altra di tali categorie, ma non ai fini dell’equivalenza degli interventi dal punto di vista del carico urbanistico e dunque del relativo calcolo degli standard ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968 e delle discipline di settore (Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2023 n. 659), facendo salve, peraltro eventuali diverse previsioni contenute nella legislazione regionale e negli strumenti urbanistici comunali.2. A tale conclusione si perviene, secondo la giurisprudenza (anche di questa Sezione), sia sulla base di considerazioni di carattere sistematico, atteso che l’art. 23-ter si è inserito in un contesto normativo di rango primario che continua tuttora a contemplare disposizioni che - come l’articolo 5 del D.M. n. 1444/1968 e l’art. 19 commi 1 e 2 del DPR 380/2001 - differenziano le due destinazioni funzionali sotto il profilo del carico urbanistico e, quindi, della quantificazione del contributo di costruzione e delle dotazioni standard (cfr. TAR Milano, sez. II, n. 1765 del 19 luglio 2018); sia in considerazione di dati di comune esperienza, essendo fatto notorio che l’utilizzo produttivo-artigianale di un immobile esprime un carico urbanistico inferiore rispetto a quello terziario, giacché negli immobili ove si svolge il primo vi è solitamente una minore presenza umana (TAR Milano, Sez. II, 26 febbraio 2013 n. 5399; TAR Milano, Sez. II, 5 maggio 2009 n. 3859).3. Secondo la ricostruzione interpretativa fatta propria dalla Sezione, la previsione normativa di cui al citato articolo 23-ter presenta una propria ratio ben definita, individuabile nel favor manifestato dal legislatore nei confronti del recupero degli edifici industriali dismessi (TAR Milano, II, n. 1765/2018).4. Alla luce di tali principi, è dunque infondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui con l’introduzione dell’art. 23-ter D.P.R. 380/2001 la modifica della destinazione d’uso (con opere) da produttiva a direzionale sarebbe urbanisticamente irrilevante, non solo ai fini dell’assentitibilità degli interventi, ma anche ai fini della quantificazione degli standard urbanistici.5. D’altra parte, va considerato che l’art. 23-ter DPR 380/2001, nel prevedere l’unificazione in un’unica categoria funzionale della destinazione produttiva e di quella direzionale, fa espressamente “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali” (comma 1; principio ribadito, in diversa forma, dal comma 3); sicchè, pur in presenza di una norma di rango primario che afferma l’irrilevanza urbanistica del passaggio dall’una all’altra destinazione d’uso, resta salva la facoltà delle regioni di continuare a disciplinare diversamente le due categorie funzionali, sia ai fini della insediabilità degli interventi, sia ai fini della disciplina degli oneri economici relativi a contributo di costruzione e standard, proprio in virtù dell’espressa riserva di legge regionale contenuta nell’art. 23-ter DPR 380/2001.6. Ebbene, la regione Lombardia, già prima dell’introduzione dell’art. 23-ter DPR 380/2001, si era dotata di una norma, inserita all’interno della propria legge urbanistica regionale, e precisamente l’art. 51 comma 2 della L.R. n. 12/2005, la quale rimetteva ai comuni il compio di disciplinare autonomamente nei propri strumenti urbanistici i mutamenti di destinazione d’uso (con opere) ritenuti urbanisticamente rilevanti ai fini dell’aumento del carico urbanistico; tale norma, tuttora vigente, prevede che “I comuni indicano nel PGT in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree e di edifici, attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale di cui all’articolo 9”.7. L’esistenza di tale norma regionale alla data di entrata in vigore dell’art. 23-ter, essendo compatibile con la riserva di legge regionale contenuta nell’inciso iniziale del primo comma dell’art. 23-ter DPR 380/2001 (“Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali”), esimeva la regione Lombardia dall’obbligo, previsto dal terzo comma della stessa norma, di adeguare la propria legislazione entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore dell’art. 23-ter, al principio della unificazione in un’unica categoria funzionale delle destinazioni “produttiva” e “direzionale” introdotto dalla norma statale, avendo quest’ultima riservato alle regioni il potere di dettare discipline eventualmente difformi da quella statale; potere che la regione Lombardia ha esercitato demandando a sua volta ai Comuni il compito di definire nei propri strumenti urbanistici le ipotesi di mutamenti di destinazione d’uso (con opere) urbanisticamente rilevanti sotto il profilo dell’aggravio di carico urbanistico.>>
Trasformazione di un locale destinato a ripostiglio in un’abitazione.
Mutamento di destinazione d’uso e determinazione degli spazi a standard
<< … il mutamento di destinazione d’uso, ancorché senza opere o “funzionale” … non risulta un’attività neutra da un punto di vista urbanistico ed edilizio, poiché modifica i parametri edilizi dell’immobile, comportando una modifica (nel caso di specie, un aggravio) del carico urbanistico, con la necessità del previo ottenimento di un idoneo titolo abilitativo.Difatti, laddove il cambio di categoria edilizia determina un ulteriore carico urbanistico, è irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l’effettuazione di opere edilizie (T.A.R. Salerno, Sez. II, 8 marzo 2013, n. 580).Come chiarito da consolidata giurisprudenza, l’art. 32, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, qualifica come “variazione essenziale” – sanzionata ai sensi del precedente art. 31 con l’obbligo di demolizione e riduzione in pristino – il mutamento di destinazione d’uso che implichi una variazione degli standard previsti dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (T.A.R. Milano, Sez. II, 4 luglio 2019, n. 1529; Id., 27 luglio 2012, n. 2146; T.A.R. Aosta, 16 novembre 2016, n. 55; T.A.R. Venezia, Sez. II, 21 agosto 2013, n. 1078). Segnatamente, «il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti» (T.A.R. Milano, Sez. II, 9 marzo 2021, n. 619; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. VI, 12 dicembre 2019, n. 8454; Id., 18 luglio 2019, n. 5041; Id., 20 novembre 2018, n. 6562). Inoltre, «il cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere» (Cons. Stato, Sez. II, 31 agosto 2020, n. 5300; Id., Sez. VI, 20 novembre 2018, n. 6562).6.3. Tale conclusione non è messa in discussione dal disposto di cui all’artt. 53, comma 2, della l.r. Lombardia n. 12/2005 che, a fronte di un mutamento di destinazione d’uso senza opere, sembrerebbe stabilire l’applicazione di sanzioni esclusivamente pecuniarie in luogo di sanzioni reali.Le norme regionali, infatti, devono essere interpretate alla luce dei principi contenuti nella legge statale e, in particolare, dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, che, configurando come variazione essenziale il mutamento di destinazione d’uso che importa una variazione degli standard urbanistici, lo rende inevitabilmente assoggettato alla misura ripristinatoria di cui al precedente art. 31.A conferma di tale impostazione interpretativa, va poi menzionato l’art. 23-ter del d.p.r. n. 380/2001, il quale ribadisce la rilevanza urbanistica della variazione della destinazione d’uso che determini il passaggio tra categorie funzionali autonome, imponendo alle regioni di adeguare la propria legislazione al suddetto principio. Quest’ultima norma, benché introdotta - con il d.l. n. 133/2014 - dopo l’adozione del provvedimento quivi in contestazione, è confermativa di un assetto giurisprudenziale già consolidato e ha portata chiarificatrice di quanto già ricavabile dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, giacché il passaggio tra categorie funzionali autonome impatta sugli standard urbanistici e, pertanto, non è sanzionabile esclusivamente in via pecuniaria.Così coordinata la disciplina regionale con quella statale (di diretta applicazione), si deve dunque ritenere ... che il cambio di destinazione d’uso in questione non sia punibile con la mera sanzione pecuniaria, bensì con quella ripristinatoria. Residua perciò uno spazio di applicazione dell’art. 53, comma 2, della l.r. n. 12/2005 per quelle fattispecie – diverse dalla presente – in cui il mutamento di destinazione d’uso, pur difforme dalle previsioni urbanistiche comunali, avvenga all’interno della medesima categoria funzionale (T.A.R. Milano, Sez. II, 26 aprile 2021, n. 1040; Id., Sez. II, 1 luglio 2020, n. 1267; Id., 1 settembre 2020, n. 1631)>>.
Regime sanzionatorio per un cambio di destinazione d’uso funzionale senta titolo e in contrasto con il PGT
- il mutamento di destinazione d’uso senza opere, o funzionale, non risulta un’attività neutra da un punto di vista urbanistico ed edilizio poiché modifica i parametri edilizi dell’immobile, comportando una modifica (nel caso di specie, un aggravio) del carico urbanistico, con la necessità del previo ottenimento di un idoneo titolo abilitativo;
- tale conclusione non è messa in discussione dal disposto di cui all’artt. 53, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005 che, a fronte di un mutamento di destinazione d’uso senza opere, sembrerebbe stabilire l’applicazione di sanzioni esclusivamente pecuniarie, in luogo di sanzioni reali;
- l’ultimo comma dell’art. 23-ter del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che «le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore; decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo»;
- tuttavia, le norme regionali devono essere interpretate alla luce dei principi contenuti nella legge statale e, in particolare, in quelli contenuti nell’art. 32 e nell’art. 23-ter del citato D.P.R. n. 380 del 2001, i quali configurano come “variazioni essenziali” i mutamenti che determinano il passaggio a una diversa categoria funzionale e li rendono, dunque, sanzionabili ai sensi del precedente art. 31; così coordinata la disciplina regionale con quella statale (di diretta applicazione), si deve dunque ritenere che un cambio di destinazione d’uso dalla funzione produttiva a quella residenziale senza opere in contrasto con lo strumento urbanistico vigente non sia punibile con la mera sanzione pecuniaria, bensì con quella ripristinatoria;
- residua dunque uno spazio di applicazione dell’art. 53, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005 per quelle fattispecie in cui il mutamento di destinazione d’uso, pur difforme dalle previsioni urbanistiche comunali, avvenga all’interno della medesima categoria funzionale.
Contributo di costruzione per il cambio di destinazione d’uso senza opere
Il TAR Milano precisa che:
«Per costante giurisprudenza, il mutamento di destinazione d’uso da “industriale” a “commerciale”, anche senza realizzazione di nuove opere, integra una variazione tra categorie funzionali distinte e non omogenee che determina un incremento del carico urbanistico, soggiacendo, pertanto, all’onere di sopportare gli oneri concessori conseguenti all’aggravio del carico urbanistico; quindi, l’incremento del carico urbanistico, ancorché discendente da un mutamento di destinazione d’uso senza opere, è presupposto sufficiente a determinare la debenza degli oneri concessori, rapportati agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione, in considerazione dell’aggravio urbanistico conseguente all’incremento dei flussi di traffico e di clientela che la destinazione commerciale, rispetto alla iniziale destinazione industriale, necessariamente implica (v. TAR Lazio, Sez. II, 19 settembre 2017 n. 9818). Come questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare (Sez. IV, 10 giugno 2010 n. 1787), il “fondamento degli oneri di urbanizzazione non consiste nell’atto amministrativo in sé, bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II - 13/11/2001 n. 3699). Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d’uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione”.
Né induce a diverse conclusioni la previsione di cui all’invocato art. 52, comma 3, della L.R. n. 12 del 2005. La disposizione, invero, si limita a sancire che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato entro il termine di dieci anni dal momento di conclusione di precedenti lavori fa sorgere in capo all'operatore l'obbligo di versare "... il contributo di costruzione (...) nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione …". Quindi, lungi dal rendere gratuiti i mutamenti di destinazione d’uso senza opere intervenuti oltre il termine decennale ivi indicato, la previsione ha il solo effetto di ragguagliare alla “misura massima” la quota contributiva dovuta nel periodo anteriore alla scadenza decennale, limite che viene meno quando è decorso il decennio».
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1674 del 21 settembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.
Destinazione a locale abitabile di un sottotetto destinato a locale di sgombero
L’utilizzo di un immobile per attività connesse all’uso agricolo non comporta un mutamento nella destinazione d’uso agricola
In particolare per il giudice amministrativo “(…) Va condivisa la tesi della società appellante secondo cui il richiamato, diverso, utilizzo dell’immobile non abbia determinato una modificazione nella destinazione d’uso agricolo dello stesso. Al riguardo è stato condivisibilmente osservato che, ai sensi del secondo comma dell’art. 2135 cod. civ. (nel testo sostituito ad opera dell’articolo 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228), sono comunque considerate ‘connesse’ a quelle tipiche dell’imprenditore agricolo le attività dirette alla ‘commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo (…) o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata’ (…)”.