Secondo il TAR Milano:
<<1.2. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non incide sull’applicabilità delle norme sulle distanze minime tra gli edifici la circostanza che l’art. 64 della Legge Regionale della Lombardia n. 12/2005 qualifichi il recupero dei sottotetti come intervento di ristrutturazione, come ormai acclarato dalla costante giurisprudenza di questo TAR, che il Collegio pienamente condivide e che ha precisato quanto segue: «L'intervento, pur essendo finalizzato al recupero del sottotetto, è comunque soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici. […] sussiste la necessità del rispetto delle distanze di 10 mt tra pareti finestrate di edifici fronteggianti, posto che la deroga prevista dalla norma regionale (art. 64, comma 2, L.R. n. 12/2005) ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale "non può ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle dell'art. 41 quinques della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, nella parte in cui regolano le distanze tra fabbricati (Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2014, n. 1054)» (TAR Lombardia, Milano, II, 24 dicembre 2019, n. 2743; cfr: ibidem, 21 aprile 2021, n. 1037).
1.3. Nemmeno esclude l’applicazione delle norme sulle distanze minime la circostanza, pur rilevata da parte ricorrente, che l’unità immobiliare dei Sigg.ri ... e quella della Sig.ra ... facciano parte dello stesso stabile, essendo le distanze minime prescritte dall’art. 9 D.M. 1444/1968 applicabili a tutte le pareti (di cui almeno una finestrata) che si fronteggiano, persino se riferite a diversi corpi di fabbrica dello stesso immobile: «Né può valere la tesi della non applicabilità della norma trattandosi di corpi di fabbrica dello stesso immobile, poiché la finalità igienico-sanitaria della disciplina ne impone l'applicazione anche a simili casi. È stato infatti affermato che "essendo la norma finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 261.2001 n. 1108), sicché non può dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti" (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 08/07/2010, n. 2461)» (TAR Lombardia, Milano, II, 24 dicembre 2019, n. 2743; cfr: ibidem, 21 aprile 2021, n. 1037).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 714 del 30 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda, in materia di recupero dei sottotetti, che:
<<per giurisprudenza costante, nel consentire modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde “[...] unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all’articolo 63, comma 6” (cioè l’altezza media ponderale di 2,40 m), l’art. 64, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005 ammette l’incremento delle altezze nei soli limiti strettamente funzionali ad assicurare le condizioni minime di salubrità agli spazi (resi) abitativi, sicché l’altezza media di 2,40 m deve ritenersi ad un tempo altezza minima (per l’abitabilità degli spazi) e altezza massima (se comporta l’innalzamento delle linee di colmo e di gronda del tetto) [cfr. Consiglio di Stato, IV, 24 febbraio 2021, n. 1613; II, 12 agosto 2019, n. 5664; T.A.R. Lombardia, Milano, I, 27 gennaio 2021, n. 242; I, 26 aprile 2018, n. 1124; II, 19 marzo 2014, n. 714; II, 5 luglio 2011, n. 1763; II, 2 aprile 2010, n. 970; II, 29 ottobre 2009, n. 4941].
L’altezza da considerare nella specie, in assenza di ulteriori specificazioni, è quella rilevante ai fini urbanistici e non quella “assoluta” (e percepibile) legata all’ingombro fisico dell’immobile, con la conseguenza che rendere abitabile un sottotetto di un immobile determina necessariamente un aumento dell’altezza urbanisticamente rilevante dello stesso, a prescindere da una sua avvenuta effettiva sopraelevazione fisica (nelle valutazioni di natura urbanistica si fa riferimento alla consistenza degli indici edificatori – che vengono in rilievo per alcune tipologie costruttive, ad esempio l’edificazione fuori terra, e non per altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici –, mentre non rileva ciò che si percepisce da un punto di vista materiale, riguardando soltanto l’aspetto paesaggistico: cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 9 luglio 2020, n. 1303; 24 giugno 2020, n. 1172; 11 giugno 2019, n. 1319; altresì, T.A.R. Campania, Napoli, VII, 1° febbraio 2018, n. 712); ciò risulta confermato dalla circostanza che “il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti è classificato come ristrutturazione edilizia” (comma 2 dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005), che, a differenza della nuova costruzione, si può configurare soltanto quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente (cfr. Consiglio di Stato, VI, 13 gennaio 2021, n. 423; II, 20 maggio 2019, n. 3208; IV, 19 gennaio 2016, n. 328; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 gennaio 2021, n. 239).
Pertanto, laddove si ammettesse la derogabilità dell’altezza massima – contemporaneamente anche minima – si darebbe vita alla realizzazione di un nuovo piano dell’edificio che snaturerebbe l’attività di recupero del sottotetto e darebbe vita ad un’attività di nuova costruzione e non più di ristrutturazione (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, I, 26 aprile 2018, n. 1124; II, 2 aprile 2010, n. 970). Tale intervento si porrebbe poi in contrasto anche con la normativa statale, in precedenza citata (art. 1 del D.M. Sanità 5 luglio 1975), che stabilisce un’altezza minima per i locali abitabili di 2,70 m, potendosi realizzare vani con altezze anche inferiori (che vanno da 2.41 a 2,69 m) in carenza di un supporto normativo in tal senso: difatti, la previsione dell’art. 63, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2005 rappresenta una deroga alla regola generale delle altezze minime e, in quanto tale, non può essere oggetto di interpretazione estensiva>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1351 del 31 maggio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che il mutamento di destinazione d’uso consistente nella destinazione a locale abitabile di un sottotetto destinato a locale di sgombero, senza permanenza di persone, a prescindere dalla circostanza che sia stato accompagnato da opere edilizie, modifica i parametri edilizi della costruzione (aumento di altezze e della volumetria), comportando un non indifferente aggravio del carico urbanistico, e quindi deve essere assistito da idoneo titolo abilitativo; difatti, laddove il cambio di categoria edilizia determina un ulteriore carico urbanistico, risulta irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l’effettuazione di opere edilizie e in materia edilizia, l’art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001, qualifica come “variazione essenziale” – sanzionata ai sensi del precedente art. 31 con l’obbligo di demolizione e riduzione in pristino – il mutamento di destinazione d’uso (comunque realizzato, anche senza opere edilizie), che implichi una variazione degli standard previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 997 del 5 giugno 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il TAR Milano precisa che da un’esegesi letterale del comma 6 dell’art. 63 della legge regionale n. 12 del 2005, che dispone che “il recupero abitativo dei sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri 2,40 (…), calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa”, si ricava che per il calcolo dell’altezza media ponderale, che deve essere pari a 2,40 m, può essere considerata e computata unicamente la parte di sottotetto con un’altezza non inferiore a 1,50 m., essendo soltanto tale porzione idonea a concorrere alla realizzazione del requisito imposto dalla legge; la citata norma tuttavia non esclude affatto che il sottotetto possa possedere delle parti di altezza inferire a 1,50 m., ma si limita a considerarle del tutto neutre ai predetti fini, escludendole dal calcolo del volume necessario per raggiungere l’altezza media ponderale.
Aggiunge, poi, il TAR che la volumetria generata da un abbaino deve essere computata ai fini della verifica del raggiungimento degli indici richiesti dalla normativa per considerare il sottotetto abitabile, tenuto conto che lo stesso non soltanto è in grado di garantire il rispetto dei rapporti aeroilluminanti, ma assicura anche il rispetto dell’altezza media ponderale che può rendere un locale idoneo ad essere utilizzato quale residenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 476 del 12 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la normativa regionale (art. 63 e segg. L.R. 12/2005) che favorisce il recupero dei sottotetti ha quale presupposto per il recupero abitativo un volume sottotetto già esistente passibile di riutilizzo a fini abitativi; ciò richiede che il sottotetto abbia, in partenza, dimensioni tali da essere praticabile e da essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti che occorrono per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità; solo a queste condizioni il "recupero", che la stessa legge regionale classifica come "ristrutturazione", è effettivamente ascrivibile a tale categoria di interventi, come definita dall'art. 3 D.P.R. n. 380 del 2001, la quale postula che il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; diversamente, l'intervento si risolverebbe non già nel recupero di un piano sottotetto, ma nella realizzazione di un piano aggiuntivo che eccede i caratteri della ristrutturazione per integrare un intervento di nuova costruzione (nel caso in esame, veniva dato un completo riassetto del piano, creando un nuovo piano abitabile, un nuovo volume, un nuovo terrazzo, con conseguente modifica della sagoma preesistente e il TAR ha ritenuto l’intervento in questione, pur essendo finalizzato al recupero del sottotetto, comunque soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2743 del 24 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa che l’altezza di m. 2,40 indicata dall’art. 63 della l.r. 12/2005 - ai sensi del quale il recupero abitativo dei sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri 2,40, ulteriormente ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a quote superiori a seicento metri di altitudine sul livello del mare, calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa - costituisce quella minima e non massima che i sottotetti debbono avere per poter essere utilizzati a fini abitativi (nella fattispecie è stato ritenuto conforme alla disciplina regionale un sottotetto di tre metri d’altezza).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2220 del 5 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in materia di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti, precisa che l'art. 1 della legge regionale Lombardia n. 15 del 1996, poi trasfuso nell'art. 63 della legge regionale n. 12 del 2005, che ne prevede la possibilità, ha quale presupposto che la trasformazione avvenga in ordine ad un volume già esistente e che abbia, in partenza, dimensioni tali da essere praticabile e da poter essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti che occorrono per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità; solo a queste condizioni il "recupero", che la legge regionale classifica come "ristrutturazione" (art. 3 comma 2), è effettivamente ascrivibile a tale categoria di interventi, come definita dall'art. 31 della legge n. 457 del 1978 (oggi, art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001), la quale postula che il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; diversamente l'intervento si risolverebbe non già nel recupero di un piano sottotetto, ma nella realizzazione di un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri della ristrutturazione per integrare un intervento di nuova costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1858 del 27 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che gli artt. 63 e seguenti della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005 – che prevedono la possibilità di eseguire, in deroga alle previsioni urbanistiche, interventi di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti – possono applicarsi solo qualora un sottotetto sia effettivamente esistente, intendendosi per tale un significativo spazio posto fra l’ultima soletta e la copertura dell’edificio che, proprio perché significativo, dia luogo ad un locale in qualche modo già fruibile; tali disposizioni non sono applicabili qualora lo spazio consista in una mera intercapedine del tutto inutilizzabile; a contrario non è invocabile la disposizione contenuta nel primo comma dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005, la quale consente l’effettuazione di sopraelevazioni e ciò in quanto funzione di tale norma è quella di consentire interventi atti a conferire al sottotetto esistente le qualità necessarie per renderlo abitabile e non quella di consentire interventi volti alla creazione di sottotetti prima inesistenti.
Aggiunge il TAR che dal comma 4 dell’art. 63 della legge regionale n. 12 del 2005 – applicabile agli interventi da eseguirsi su edifici realizzati in forza di titoli successivi al 31 dicembre 2005 – si ricava: a) che gli interventi di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti possono riguardare solo i sottotetti collocati in edifici che, per almeno il venticinque per cento, abbiano funzione residenziale; la norma ha lo scopo evidente di limitare tali interventi, che possono essere eseguiti in deroga alle previsioni urbanistiche, ai soli casi in cui sia rinvenibile l’esigenza di ampliamento di una unità residenziale; b) che gli interventi di cui si discute possono realizzarsi solo dopo che sia decorso il termine ivi previsto dal rilascio del certificato di agibilità dell’edificio; la stessa norma ha dunque anche lo scopo di limitare gli interventi di recupero in deroga alla normativa urbanistica a quei casi in cui l’ampliamento dell’unità abitativa (da attuarsi appunto mediante il recupero del sottotetto) sia volto a soddisfare esigenze sopravvenute, sorte dopo un significativo utilizzo della stessa unità.
Da quanto sopra si ricava dunque, secondo il TAR, che la normativa sugli interventi di recupero dei sottotetti non può essere utilizzata come escamotage per realizzare nuove unità abitative in deroga ai limiti volumetrici imposti dagli strumenti urbanistici  (nel caso in esame, l’intervento di recupero riguardava il sottotetto di un edificio che non aveva funzione residenziale e per il quale tale destinazione era stata conferita proprio con l’atto impugnato; lo stesso titolo edilizio aveva quindi assentito sia il cambio di destinazione d’uso sia il recupero del sottotetto).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2360 del 12 dicembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo (si confronti anche la sentenza della stessa sezione n. 2359/2017).


La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 11 del 29 gennaio 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Campania n. 15 del 2000, nella parte in cui prevede che il recupero abitativo dei sottotetti (esistenti alla data del 17 ottobre 2000) possa essere realizzato in deroga alle prescrizioni dei piani paesaggistici e alle prescrizioni a contenuto paesaggistico dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici; la norma regionale srutinata, assegnando all'ordine inferiore della disciplina urbanistica la definizione del regime concreto degli interventi di recupero abitativo dei sottotetti, anche in deroga alle prescrizioni paesaggistiche, degrada la tutela paesaggistica da valore unitario prevalente a mera «esigenza urbanistica», parcellizzata tra i vari comuni competenti al rilascio dei singoli titoli edilizi; in questo modo risulta compromessa quell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, assunta dalla normativa statale a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme sull'intero territorio nazionale, idonea a superare la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali.


La sentenza n. 11 del 29 gennaio 2016 della Corte Costituzionale è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.