Distanze tra unità immobiliari facenti parte dello stesso stabile ricomprendente più abitazioni autonome
<<il presupposto di operatività dell’art. 9, co. 1 n. 2, D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 è l’essere in presenza di un nuovo edificio, circostanza che non ricorre nel caso di specie venendo piuttosto in rilievo un "intervento di ristrutturazione edilizia" ex art. 3, co. 1 lett. d), del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, ricomprendendo tale categoria, per espressa disposizione di legge, anche “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti”.Rispetto all’autorimessa di cui alla presente causa, che deriva proprio da un intervento di demolizione e ricostruzione, non può, pertanto, parlarsi di nuovo edificio giacché, come si evince dall’art. 3, co. 1 lett. e) D.P.R. cit., può discorrersi di “intervento di nuova costruzione” solo per le opere ”di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti” (tra le quali, quindi, anche quelle di cui alla lettera d) sopra richiamata)>>.
<<1.2. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non incide sull’applicabilità delle norme sulle distanze minime tra gli edifici la circostanza che l’art. 64 della Legge Regionale della Lombardia n. 12/2005 qualifichi il recupero dei sottotetti come intervento di ristrutturazione, come ormai acclarato dalla costante giurisprudenza di questo TAR, che il Collegio pienamente condivide e che ha precisato quanto segue: «L'intervento, pur essendo finalizzato al recupero del sottotetto, è comunque soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici. […] sussiste la necessità del rispetto delle distanze di 10 mt tra pareti finestrate di edifici fronteggianti, posto che la deroga prevista dalla norma regionale (art. 64, comma 2, L.R. n. 12/2005) ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale "non può ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle dell'art. 41 quinques della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, nella parte in cui regolano le distanze tra fabbricati (Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2014, n. 1054)» (TAR Lombardia, Milano, II, 24 dicembre 2019, n. 2743; cfr: ibidem, 21 aprile 2021, n. 1037).1.3. Nemmeno esclude l’applicazione delle norme sulle distanze minime la circostanza, pur rilevata da parte ricorrente, che l’unità immobiliare dei Sigg.ri ... e quella della Sig.ra ... facciano parte dello stesso stabile, essendo le distanze minime prescritte dall’art. 9 D.M. 1444/1968 applicabili a tutte le pareti (di cui almeno una finestrata) che si fronteggiano, persino se riferite a diversi corpi di fabbrica dello stesso immobile: «Né può valere la tesi della non applicabilità della norma trattandosi di corpi di fabbrica dello stesso immobile, poiché la finalità igienico-sanitaria della disciplina ne impone l'applicazione anche a simili casi. È stato infatti affermato che "essendo la norma finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 261.2001 n. 1108), sicché non può dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti" (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 08/07/2010, n. 2461)» (TAR Lombardia, Milano, II, 24 dicembre 2019, n. 2743; cfr: ibidem, 21 aprile 2021, n. 1037).>>
Nozione di parete finestrata ai fini del rispetto della distanza tra edifici
Distanze legali tra costruzioni sporgenti dal suolo da valutare in relazione alla quota originaria del terreno
Controversie concernenti le distanze fra costruzioni e rapporti privatistici tra i confinanti
Il TAR Milano precisa che «Le controversie concernenti le distanze fra costruzioni o di queste dai confini, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, sono assoggettate al “regime della c.d. “doppia tutela”, per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia, è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell’autore dell’attività edilizia illecita (con giurisdizione del giudice ordinario) e, dall’altro, dell’interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell’Amministrazione, con cui tale attività sia stata autorizzata, consentita e permessa, da far valere di fronte al giudice amministrativo” (Consiglio di Stato, IV, 14 gennaio 2016, n. 81; altresì, 3 agosto 2016, n. 3511; 31 marzo 2015, n. 1692; T.A.R. Lombardia, Milano II, 26 luglio 2017, n. 1680; 5 dicembre 2016, n. 2301). Peraltro, nella giurisdizione amministrativa i rapporti privatistici tra i confinanti vengono presi in esame solo quando siano per sé evidenti, o quando gli interessati abbiano di loro iniziativa rappresentato agli uffici comunali eventuali contese in grado di incidere sulla legittimazione a chiedere il titolo edilizio (T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 26 marzo 2019, n. 276); difatti, l’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, richiedendo al Comune la verifica dell’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non impone di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma ha la finalità di consentire di accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso. In tal senso, l’Amministrazione è tenuta a svolgere un livello di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla P.A. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 23 dicembre 2019, n. 2729).
Tuttavia, si deve escludere, anche al fine di non aggravare il procedimento, che l’Amministrazione sia tenuta a svolgere complessi e laboriosi accertamenti, essendo necessaria soltanto una verifica minima e di immediata realizzazione, pena un’insufficiente istruttoria (ex multis, Consiglio di Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3096; IV, 6 marzo 2012, n. 1270; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 giugno 2019, n. 1486; 8 aprile 2019, n. 767; 21 gennaio 2019, n. 112; 13 settembre 2018, n. 2065; 31 gennaio 2017, n. 235; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 5 novembre 2015, n. 5137)».
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1643 del 4 settembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.
Osserva il TAR Milano che:
- «la previsione di un distacco minimo tra edifici confinanti costituisce una innovazione del codice civile sardo, poi ripresa dal codice del 1895 e dal vigente codice civile. Si tratta di previsione il cui fondamento è ravvisato nella necessità di salvaguardare, oltre agli interessi dei proprietari frontisti, l’igiene pubblica, evitando che gli edifici vengano ad essere privati di aria e di luce e che si abbia scolo e ristagno di acque tra una costruzione e l’altra. Lo conferma una costante giurisprudenza di legittimità, risoluta nell’affermare come la ratio della previsione sia quella di evitare possibili pregiudizi per l’igiene e la salubrità, aggiungendo, inoltre, come la tutela di tali beni sia immediatamente realizzata dal legislatore che presume foriere di insalubrità distanze inferiori a quella imposta. Ne consegue l’impossibilità per il Giudice di procedere ad ogni indagine sull’idoneità dell'intercapedine ad arrecare il pregiudizio per l'igiene e la salubrità dell'ambiente (cfr., ex multis, Cassazione civile, Sez. II, 28 settembre 2018, n. 23543). Si evidenzia, inoltre, come la previsione operi anche nel caso in cui, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edificata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quella superiore, in quanto la necessità del rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza del pericolo del formarsi d'intercapedini dannose (Cassazione civile, Sez. II, 23 maggio 2019, n. 14084). In sostanza, la previsione opera ogniqualvolta in cui si realizzi una costruzione (nomen actionis che ricomprende, tra l’altro, anche le sopraelevazioni o gli avancorpi a costruzione esistente, che comportino un aumento di volumetria) che crei una intercapedine c.d. dannosa.
- … Individuate ratio e finalità della previsione è agevole comprendere la portata del sintagma eccettuativo che ne esclude l’operatività in caso di costruzioni unite o aderenti. L’unione deve, infatti, ritenersi come l’integrale congiunzione degli edifici che in radice esclude la possibilità di formazione dell’intercapedine. Stessa constatazione vale per l’aderenza che comporta la costruzione lungo il primo edificio ma senza alcun appoggio allo stesso».
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1485 del 31 luglio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.