Il TAR Milano esamina la legittimità di una disposizione di servizio di un Comune che qualifica come nuova costruzione (e non ristrutturazione edilizia) l'intervento di demolizione e ricostruzione nel caso in cui manchi qualsiasi “traccia” dell’immobile preesistente (in particolare, in via esemplificativa e non esaustiva, sotto il profilo strutturale o funzionale, delle giaciture preesistenti, delle altezze preesistenti); il Collegio ritiene che l’interpretazione fornita dalla disposizione di servizio all’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 debba considerarsi corretta, con conseguente irrilevanza delle ragioni che hanno determinato l’Amministrazione comunale a emanare tale atto (nella fattispecie collegate a delle vicende di natura penale; ragioni che peraltro, per il TAR, appaiono comprensibili e compatibili con l’interesse pubblico posto che non avrebbe senso autorizzare interventi edilizi considerati, dal giudice penale, in contrasto con legge penale).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2757 del 23 luglio 2025


Il percorso evolutivo delle disposizione in materia di ristrutturazione edilizia riflette il progressivo superamento dei confini originariamente propri dell’istituto della ristrutturazione demoricostruttiva, che ha portato all’eliminazione del requisito della ricostruzione con “identità” tra il fabbricato precedente e quello risultante all’esito dei lavori, rendendo così possibile ricondurre a tale categoria edilizia anche interventi comportanti una ricostruzione con modifica dei parametri costruttivi, con l’obiettivo di favorire il contenimento del consumo di nuovo suolo e l’utilizzazione di aree già urbanizzate. La corretta interpretazione della norma, tuttavia, passa attraverso un’analisi che tenga conto non solo del dato strettamente semantico o letterale, ma anche dell’esigenza di mantenere un’oggettiva distinzione sul piano concettuale e regolatorio tra la ristrutturazione e la nuova costruzione, pure nel sistema risultante dalle recenti modifiche al testo unico dell’edilizia. L’attuale versione dell’art. 3, comma 1, lett. d), TU edilizia difatti, sebbene animata dall’obiettivo di rendere più utilizzabile lo strumento della ristrutturazione demoricostruttiva anche nella prospettiva di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente e evitare consumo di nuovo suolo, non può legittimare un concetto di ristrutturazione completamente sganciato dalla conservazione della precedente identità dell’edificio oggetto di trasformazione, né un’interpretazione che avvalori l’idea per cui l’edificio preesistente rappresenterebbe soltanto “l’occasione” per un intervento che, di fatto, si risolve nella creazione di un novum sul piano edilizio, non riconducibile sotto alcun profilo alla costruzione esistente se non sul piano meramente nominalistico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1133 del 1 aprile 2025


Il TAR Milano osserva che l’art. 28 Regolamento al Codice stradale impedisce la realizzazione di nuove strutture edilizie, anche sotto forma di ampliamento o ricostruzione di manufatti integralmente demoliti, ma non vieta qualsiasi tipo di intervento edilizio sull’esistente, nel rispetto del principio di prevenzione che caratterizza, in via generale, la disciplina delle distanze nelle costruzioni. Si deve considerare che, nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono comprese varie tipologie di opere rivolte a trasformare gli organismi edilizi esistenti, che non comportano necessariamente la demolizione e la ricostruzione degli edifici; quest’ultima costituisce solo una specifica e particolare modalità di ristrutturazione, soggetta a precisi vincoli. Pertanto, laddove l’espressione del parere in senso negativo dell’ente autostradale si fonda sulla considerazione che l’art. 28 del Regolamento C.d.S. ammetterebbe solo interventi di restauro e risanamento conservativo, con esclusione di ogni altro intervento che non rientri nella definizione di restauro e risanamento conservativo, indipendentemente dal fatto che non sia prevista la demolizione e ricostruzione né l’ampliamento dell’esistente, ne consegue l’illegittimità, non solo per il contrasto con il dettato normativo, ma anche per l’illogicità sintomatica dell’eccesso di potere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2760 del 18 ottobre 2024


Il TAR Milano ricorda che, ai sensi del terzo e quarto periodo dell’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, come modificato dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla l. n. 120 del 2020, rientrano nell’ambito concettuale della ristrutturazione edilizia anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edificio diverso, rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Ciò precisato, il TAR osserva che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, nonostante l’ampia formulazione delle suindicata disposizione, si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente (nel caso in esame l’intervento consiste nella demolizione di un vecchio fabbricato adibito a laboratorio-deposito e nella realizzazione in suo luogo di una palazzina residenziale avente due piani fuori terra e un piano seminterrato; secondo il Collegio, il nuovo edificio, sia per le sue caratteristiche strutturali sia per la funzione cui è adibito la quale introduce un rinnovato carico urbanistico del tutto diverso da quello prodotto dal precedente edificio, non può che essere considerato alla stregua di una nuova costruzione).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2353 del 7 agosto 2024


Il TAR Milano precisa che occorre discernere nell’ambito della nozione di interventi di ristrutturazione edilizia quelli che – ai sensi dell’art. 10 dPR 380/2001 – portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, richiedenti il permesso di costruire; da quelli che consistano, invece, nella realizzazione di un organismo edilizio identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, né, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d’uso, che viceversa tale permesso non richiedono, restando perciò soggetti alla disciplina abilitativa semplificata di cui all’art. 22 del cit. dPR 380/2001. Ricorda, quindi, che sul punto la giurisprudenza da tempo precisa che il discrimine tra gli interventi manutentivi o di restauro ovvero di c.d. ristrutturazione leggera per i quali è sufficiente la SCIA, con possibilità di sanatoria ex art. 37 dPR n. 380/2001, e un intervento edilizio necessitante di permesso di costruire, si sostanzia nel fatto che i primi sono diretti a conservare l’edificio nel rispetto della sua tipologia, forma e struttura, senza alcun inserimento di elementi innovativi sotto l’aspetto della migliore e più ampia fruizione (anche se sostitutivi di quelli precedenti), mentre la seconda ottiene il risultato di modificare l’originaria consistenza fisica dell’edificio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2110 del 10 luglio 2024


Secondo il TAR Brescia, la demolizione di un bene vincolato con conseguente costruzione di altro manufatto avente medesima volumetria, ma ontologicamente diverso dall'opera originaria tutelata, non è qualificabile come “ristrutturazione”, ma costituisce nuova costruzione e richiede il previo rilascio di un permesso di costruire. Pertanto, considerato il rapporto tra titolo paesaggistico e titolo edilizio (che si sostanzia in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e urbanistiche), il progetto della nuova costruzione richiede non solo un nuovo e autonomo titolo edilizio ma anche una nuova valutazione paesaggistica.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 441 del 20 maggio 2024


Il TAR Brescia osserva che i lavori implicanti demolizione e ricostruzione di manufatti preesistenti, mentre in linea generale rientrano nel concetto di ristrutturazione edilizia anche qualora implichino modifica della sagoma e dei prospetti, nel caso di beni sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia soltanto a condizione che non comportino modifiche alla sagoma, ai prospetti, al sedime e alle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non determinino incrementi volumetrici.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 256 del 28 marzo 2024


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l’art. 3, comma 1, lett. d), decreto legislativo n. 380 del 2001 prevede che rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia «gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza», osserva che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che perché si possa ritenere sussistente una fattispecie di ristrutturazione edilizia è necessario che la parte interessata provi, in sede procedimentale, la preesistenza del fabbricato e la sua esatta consistenza al fine di consentire la individuazione precisa dei suoi «connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione»; in particolare, «la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze (…) – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura petrimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può (…) prescindere» (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106; Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 657 del 15 marzo 2023.


Il TAR Milano osserva che:
<<Secondo la concezione tradizionale, la figura della “ristrutturazione edilizia” presupponeva la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare provvisto di murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Conseguentemente, era stata sempre esclusa dalla giurisprudenza la possibilità che la ricostruzione di un rudere potesse ricondursi entro la nozione di ristrutturazione, trattandosi, al contrario, di un intervento del tutto nuovo.
Tuttavia il legislatore, con l’art. 30, primo comma, del d.l. n. 69 del 2013 convertito con legge n. 98 del 2013, ha profondamente innovato la disciplina modificando l’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale stabilisce ora che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi <<…anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza>>.
In sostanza, questa disposizione, qualificando come interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli di ricostruzione, consente di sostituire gli immobili in precedenza andati distrutti con nuovi edifici, e ciò anche nel caso in cui gli strumenti urbanistici vigenti non consentano la realizzazione di nuove costruzioni. Si tutela in questo modo, non solo l’interesse del privato, ma anche l’interesse pubblico volto ad evitare la permanenza di ruderi sul territorio.
Tuttavia, affinché la ricostruzione possa qualificarsi come ristrutturazione, è necessario che il nuovo edificio abbia le stesse dimensioni di quello crollato. Questa limitazione si ricava dall’ultima parte della norma la quale, come visto, richiede che sia possibile accertare la “preesistente consistenza” dell’immobile.
Poiché, nel caso concreto, la richiesta di rilascio del permesso di costruire presentata dal ricorrente è stata respinta proprio in quanto si è ritenuta non dimostrata la preesistente consistenza dell’immobile, per risolvere la controversia in esame, occorre stabilire cosa si intenda per “preesistente consistenza”, quale sia il livello di precisione preteso dalla norma con riguardo a tale elemento e in che modo ne possa essere fornita la dimostrazione.
Per quanto riguarda il primo punto (nozione di “preesistente consistenza”), possono ritenersi condivisibili le conclusioni alle quali è giunta la giurisprudenza secondo cui gli interventi di ripristino di cui all’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 sono ammissibili a condizione che siano determinabili le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente (fra cui volumetria, altezza, struttura complessiva), con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo di questi elementi determina l’insussistenza del requisito previsto dalla norma. Parimenti condivisibile risulta l’affermazione secondo cui la verifica riguardante gli elementi necessari per determinare la preesistente consistenza non può essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma deve invece basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili (cfr. Cass. pen. Sez. III, 28 aprile 2020, n. 13148; id., 8 ottobre 2015, n. 45147).
Quando l’edificio crollato è stato realizzato a seguito del rilascio di un titolo edilizio, la preesistente consistenza può essere facilmente dimostrata mediante la produzione di quel titolo e della documentazione progettuale ad esso allegata nella quale sono riportate con precisione le caratteristiche dimensionali del bene.
Il problema si pone però se, come nel caso in esame, l’immobile sia stato edificato in epoca antecedente all’anno 1967, quando la realizzazione di nuove costruzioni non presupponeva il rilascio di un titolo edilizio, non essendo in questo caso possibile disporre della suindicata documentazione.
Ritiene il Collegio che, in queste specifiche ipotesi, l’amministrazione non possa pretendere la produzione di progetti aventi data certa che dimostrino, con assoluta precisione, tutte le caratteristiche dimensionali dell’edificio crollato, posto che questa pretesa renderebbe di fatto inapplicabile la norma di cui all’art. 3, primo comma, lett d), del d.P.R n. 380 del 2001 per gli immobili edificati prima dell’anno 1967. Per questi immobili, occorre quindi ammettere la possibilità di fornire in modo diverso la dimostrazione della preesistente consistenza, producendo prove che inevitabilmente non possiedono quel grado di precisione che caratterizza la documentazione progettuale, fermo restando ovviamente che, anche in questo caso, la prova deve comunque riguardare tutte le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente.
La possibilità di fornire prova diversa da quella consistente nella documentazione progettuale (e che inevitabilmente possiede un minor grado di precisione rispetto a quest’ultima) è del resto ammessa anche dalla giurisprudenza sopra richiamata la quale afferma che la prova della preesistente consistenza può essere fornita anche attraverso la produzione di aerofotogrammetrie (cfr. Cass. pen. Sent. n. 45147 del 2015 cit.). Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza del giudice amministrativo, il quale ammette che l’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato può fondarsi anche su documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio distrutto (in tal senso, cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 6 luglio 2020, n.517; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 23 dicembre 2019, n. 6098; T.A.R. Liguria, sez. I, 11 giugno 2020, n. 364).
Ritiene il Collegio che, nell’apprezzamento di queste diverse prove, l’Amministrazione debba dare applicazione ai principi di buona fede e proporzionalità, tenendo conto anche delle caratteristiche dell’intervento che si intende realizzare, nel senso che il livello di precisione richiesto della prova fornita deve essere proporzionale all’importanza di tale intervento.
Da quanto illustrato discende che, se l’immobile che si intende realizzare ha dimensioni modeste e incide in maniera poco significativa sul carico urbanistico, il permesso di costruire deve essere rilasciato quando dalla documentazione prodotta in sede procedimentale emerga che il manufatto da realizzare avrà sostanzialmente le stesse dimensioni di quello andato distrutto, e ciò anche nel caso in cui non sia possibile risalire con estrema precisione a tutti i dati dimensionali di quest’ultimo.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2566 del 18 novembre 2022.




Secondo il TAR Brescia,
<<il presupposto di operatività dell’art. 9, co. 1 n. 2, D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 è l’essere in presenza di un nuovo edificio, circostanza che non ricorre nel caso di specie venendo piuttosto in rilievo un "intervento di ristrutturazione edilizia" ex art. 3, co. 1 lett. d), del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, ricomprendendo tale categoria, per espressa disposizione di legge, anche “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti”.
Rispetto all’autorimessa di cui alla presente causa, che deriva proprio da un intervento di demolizione e ricostruzione, non può, pertanto, parlarsi di nuovo edificio giacché, come si evince dall’art. 3, co. 1 lett. e) D.P.R. cit., può discorrersi di “intervento di nuova costruzione” solo per le opere ”di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti” (tra le quali, quindi, anche quelle di cui alla lettera d) sopra richiamata)>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II n. 395 del 26 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, per evitare di incorrere in una interpretazione sostanzialmente abrogante di parte del comma 2 dell’art. 33 del DPR 380/2001, è giocoforza ritenere che la “data di esecuzione dell’abuso”, cui è riferito l’aggiornamento ISTAT, non è quella della mera ultimazione dei lavori, bensì quella in cui l’abuso viene per così dire fiscalizzato, essendo l’abuso edilizio un illecito permanente, che resta in “esecuzione” finché non viene determinata la sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria nei confronti del responsabile.

Aggiunge il TAR che:
<<1.3 Una simile interpretazione, oltre a consentire l’applicazione dell’aggiornamento ISTAT preteso dalla norma di legge, appare corretta anche da un punto di vista sistematico, ponendosi in armonia con la complessiva legislazione che consente la c.d. fiscalizzazione dell’abuso, in caso di impossibilità della riduzione in pristino.
Infatti, nell’ulteriore ipotesi dell’art. 34 del Testo Unico, relativo agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, l’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione stabilito secondo la legge n. 392/1978 e la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la fiscalizzazione degli abusi edilizi deve tenere conto dei valori vigenti al momento di presentazione della relativa domanda, per evitare che l’autore dell’abuso possa lucrare sul tempo intercorrente fra la conclusione dei lavori – cui fa seguito il godimento dell’immobile abusivo – e la determinazione della sanzione, considerato sempre che l’illecito edilizio ha carattere permanente, per cui continua nel tempo fino al ripristino della situazione originaria oppure sino al verificarsi degli altri casi di cessazione espressamente previsti dall’ordinamento (cfr. sul punto TAR Piemonte, Sezione II, sentenza n. 44/2019 e la sentenza di questa Sezione n. 568/2018).
Sempre con riguardo all’art. 34 succitato, lo stesso attiene a condotte (difformità parziale dal titolo edilizio) oggettivamente meno gravi di quelle dell’art. 33 (difformità totale o assenza di titolo) per cui sarebbe paradossale che la sanzione pecuniaria per il caso dell’art. 33 fosse più lieve di quella invece prevista per la fattispecie dell’art. 34.
Sempre con riguardo all’art. 33 comma 2, per i casi di abusi su immobili ad uso diverso da quello abitativo (si veda l’ultimo periodo del comma 2) è prevista una sanzione pari al doppio dell’aumento del valore venale, determinato dall’Agenzia del territorio e non si tratta certo del valore venale al momento di completamento dei lavori bensì di quello al momento della domanda di fiscalizzazione, sempre per evitare che il responsabile tragga un vantaggio ingiustificato dal decorso del tempo, durante il quale ha comunque goduto del bene ancorché abusivo.>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 630 del 18 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che l’art. 23 comma 01 lettera a) del DPR n. 380/2001 consente la SCIA alternativa per gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10 comma 1 lettera c) dello stesso DPR e tale ultima norma, nell’indicare le ipotesi di rilascio del permesso di costruire, richiama gli interventi di ristrutturazione che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino modifiche della volumetria complessiva.
Precisa quindi il TAR che la ristrutturazione edilizia con aumento di volume rientra nella c.d. ristrutturazione pesante e necessita di un permesso di costruire oppure di una SCIA alternativa secondo l’art. 23 citato e non può di conseguenza realizzarsi con una semplice SCIA (cfr. sul punto, fra le più recenti decisioni, il parere della Sezione I del Consiglio di Stato su ricorso straordinario del 15.2.2022, Affare n. 544/2021, per cui «…emerge chiaramente come non rientrino nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti quegli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici»).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 538 del 7 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Brescia:
<<il fatto che vi fosse una superfetazione che si collocava a una ridotta distanza dalla più vicina parete finestrata dei controinteressati, non dà diritto, una volta demolita tale superfetazione, alla possibilità di costruire alla stessa distanza ridotta in una diversa posizione e, dunque, in corrispondenza con una porzione dell’edificio che si collocava precedentemente a una distanza superiore. La sagoma, infatti, risulta essere completamente diversa, in questo caso e, quindi, non può operare la deroga che consente la costruzione a una distanza minore a quella minima di legge nel caso in cui essa preesistesse rispetto all’intervento di demolizione e ricostruzione>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 859 del 11 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Brescia è necessario e sufficiente per qualificare l’intervento come ristrutturazione che l’originaria consistenza dell’edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali od altri elementi certi e verificabili; il vincolo della intellegibilità delle caratteristiche del fabbricato demolito non include invece alcun limite in relazione alla maggiore o minore risalenza nel tempo dell’intervento di demolizione; la qualificazione dell’intervento di ricostruzione come nuova edificazione scatta, infatti, ove sia impossibile l’individuazione certa dei connotati essenziali del manufatto originario (mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura), attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 517 del 6 luglio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il Consiglio di Stato precisa che perché un intervento possa essere qualificato di ristrutturazione edilizia occorre che sussista la possibilità di procedere, con sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in modo tale che, seppur in parte diruto, ovvero non “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale in relazione anche alla sua destinazione; ne consegue che un fabbricato, seppur in precarie condizioni, identificabile nella sua struttura originaria e nel suo volume, essendo presenti le mura su tre lati e parte della volta di copertura non può considerarsi un rudere privo di sostanziale identità, con conseguente possibilità di procedere ad un intervento di ristrutturazione.

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 7046 del 16 ottobre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, l'inserimento dei balconi, pur non comportando un aumento di volumetria o di superficie utile, varia l'aspetto estetico dell'edificio, comportando, quindi, un apprezzabile mutamento nel “prospetto” dell'edificio stesso; siffatte opere devono considerarsi soggette a permesso di costruire, a norma dell'art. 10 D.P.R. n. 380 del 2001 che vi assoggetta oltre gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica anche quelli di ristrutturazione edilizia, tra i quali appaiono sussumibili gli interventi che determinano modifiche dei prospetti; da ciò consegue, sul piano della qualificazione dell’intervento, che mentre la mera apertura può in particolari casi essere ricondotta all’attività di restauro e risanamento conservativo, così non può affermarsi per il balcone aggettante che, modificando sempre e sistematicamente l’aspetto esterno, configura una ristrutturazione edilizia, in quanto, muta, seppure in parte, gli elementi tipologici formali e strutturali dell'organismo preesistente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2059 del 30 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il Consiglio di Stato chiarisce la distinzione tra i concetti di sagoma e prospetto: il primo, riguarda la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti; il secondo individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne; attengono al prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio, realizzati sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 902 del 6 febbraio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Precisa il TAR Milano che la “sagoma” dell’edificio si individua (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1564 del 15 marzo 2013; Cass., sez. III, 23 aprile 2004, n. 19034) nella conformazione planovolumetrica della costruzione e nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti.
Aggiunge poi il TAR Milano che l'impatto dell'intervento edilizio si misura prendendo in considerazione, non solo l'aggravio del fabbisogno di infrastrutture e servizi che esso induce, ma anche l'alterazione del paesaggio urbano che esso comporta sul piano morfologico-architettonico, per il che la linea di demarcazione tra nuova edificazione e ristrutturazione, in relazione alla quale assume rilievo il rispetto o meno della sagoma, afferisce proprio alla tutela del paesaggio, che è valore costituzionale, per il quale s’impone una disciplina uniforme in ambito nazionale (ex art. 9 Cost.).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1989 del 16 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato, la realizzazione di un soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile e autonomi spazi e rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell’unità con conseguente aggravio del carico urbanistico; aggiunge il Consiglio di Stato che l’orientamento che mitiga il principio innanzi ricordato e volto a ricondurre la realizzazione di un soppalco nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali non è richiesto il permesso di costruire, qualora l’opera sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile è applicabile solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 4166 del 9 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che:
- nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso, proprio perché “coincidente” per tali profili con il manufatto preesistente, potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa); la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi) costruiti per la prima volta e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse;
- invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso, quanto alla sua collocazione fisica, rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare, indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione, le norme sulle distanze.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4728 del 12 ottobre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.