Di fronte all’invito a conformare la S.C.I.A. la parte privata può decidere se adempiere alle prescrizioni dell’amministrazione, facendo quindi acquiescenza alle stesse, oppure se impugnare immediatamente il provvedimento che le impone e dispone il divieto di prosecuzione delle opere. Nel primo caso, se il privato aderisce all’invito e ottempera, il termine per la formazione del silenzio assenso ricomincia a decorrere dalla data in cui questi comunica l'adozione delle misure prescritte dall’amministrazione ai fini della formazione del titolo. Laddove invece non adempia e non conformi la S.C.I.A. secondo quanto indicato dall’amministrazione, una volta decorso il termine all’uopo previsto l’attività segnalata si intende vietata in via definitiva. La legge non prevede alcun ulteriore atto da parte dell’amministrazione competente in difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, poiché il divieto di prosecuzione dell’attività si produce automaticamente ex lege.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2861 del 25 agosto 2025


L'accertamento del mancato versamento, o l’illegittimità della quantificazione, delle somme richieste a titolo di monetizzazione, in luogo della cessione degli standard urbanistici, è espressione di potestà autoritativa. Si tratta di elemento condizionante la legittimità del titolo. Trattandosi di un presupposto di legittimità direttamente afferente ad una SCIA, il mancato versamento della monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard deve essere rilevato mediante l’esercizio di poteri autoritativi, entro il termine di cui all’art. 19 comma 6 bis della L.241/1990, o mediante l’esercizio del potere di autotutela, nei termini e alle condizioni di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2562 del 7 luglio 2025


L’art. 87-bis del d.lgs. 259/2003 -  che disciplina il procedimento semplificato finalizzato al conseguimento del titolo necessario per la realizzazione di interventi di adeguamento tecnologico su impianti di radiotelefonia esistenti -  stabilisce che è sufficiente la presentazione al comune di una segnalazione certificata di inizio attività la quale perde efficacia solo nel caso in cui, entro il termine di trenta giorni dalla presentazione stessa, intervenga un provvedimento di diniego comunale o dell’organo preposto alle funzioni di controllo e di vigilanza in materia sanitaria e ambientale. Deve quindi ritenersi che, una volta decorso il termine di 30 giorni, le amministrazioni interessate possano intervenire esclusivamente esercitando il potere previsto dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 e, quindi,  inibire gli effetti della SCIA ma solo in presenza delle condizioni previste dal successivo art. 21-nonies e cioè solo nel caso in cui si debba tutelare un superiore interesse pubblico, diverso da quello al mero rispristino della legalità violata, di cui occorre dare conto nella motivazione del provvedimento.

TAR Lombardia, Milano, III, n. 2420 del 26 giugno 2025


La mancata asseverazione di conformità dell’intervento ad opera del tecnico abilitato non dà luogo ad un’ambiguità nella predisposizione della pratica edilizia o ad errore materiale nella compilazione del modulo SCIA, sanabili in via interpretativa, bensì si risolve nella mancanza di un documento essenziale ed infungibile ai fini della regolare presentazione della SCIA (fattispecie relativa a SCIA alternativa al permesso di costruire).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2094 del 10 giugno 2025


Il TAR Milano ricorda che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, la peculiare natura della SCIA – quale mero atto privato, non espressione dell’esercizio di poteri amministrativi – esclude la necessità di attivare le garanzie partecipative ex artt. 7 e 10-bis della Legge n. 241/1990, prima dell’esercizio dei poteri di controllo e inibitori. Il denunciante la SCIA, infatti, è titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto e immediato nella legge che non ha bisogno di alcun consenso della P.A. e, pertanto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione. In assenza di procedimento, non c’è spazio per la comunicazione di avvio, per il preavviso di rigetto o per atti sospensivi da parte dell’Amministrazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2363 del 28 agosto 2024


IL TAR Milano osserva che il decorso del termine annuale senza alcuna iniziativa sollecitatoria da parte del soggetto che si assuma leso dall’attività edilizia oggetto di una SCIA comporta – oltre alla consumazione del potere dell’amministrazione di intervenire d’ufficio annullando i propri atti o inibendo le segnalazioni certificate di inizio attività – l’impossibilità per il privato di far valere l’interesse legittimo pretensivo all’esercizio dei poteri di controllo riservati all’ente locale, operando come una sorta di “decadenza” sul piano procedimentale. Al contrario, se il terzo interessato ha stimolato l’esercizio dei poteri di autotutela facenti capo all’ente locale entro il termine previsto dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, l’estinzione dell’interesse pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo e la decadenza dall’azione che a questo è correlata non decorre più per il segnalante, pur continuando a produrre gli effetti preclusivi insiti nella decadenza nei confronti di qualunque altro soggetto che sia rimasto inerte e, dunque, per la stessa amministrazione, secondo il medesimo meccanismo che governa il termine di decadenza nel ricorso proposto nell'ambito della giurisdizione generale di legittimità. Peraltro, non va dimenticato che laddove l’amministrazione si pronunci espressamente sulla sollecitazione del terzo interessato, il diniego di autotutela è trasfuso in un provvedimento con carattere direttamente lesivo della posizione del privato (e dell’interesse pretensivo che questo vanta), impugnabile negli ordinari termini di decadenza, così che, per tale via, il terzo medesimo può far valere in giudizio le proprie ragioni avverse.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 938 del 28 marzo 2024


Il TAR Milano ricorda che in caso di intervento edilizio realizzato all'esito di presentazione di s.c.i.a., per il quale era tuttavia precluso il ricorso a detto titolo abilitativo, esigendosi di contro il rilascio di permesso di costruire, non trova applicazione il termine decadenziale per l'esercizio del potere inibitorio previsto dall'art. 19 della l. n. 241 del 1990, il cui decorso esaurisce gli ordinari poteri di vigilanza edilizia, in quanto tale termine opera solamente nelle ipotesi in cui gli interventi realizzati o realizzandi rientrino fra quelli eseguibili mediante s.c.i.a.; per gli interventi soggetti a permesso di costruire, invece, deve applicarsi il comma 2-bis dell'art. 21 della medesima legge a mente del quale restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 3148 del 21 dicembre 2023


Il TAR Milano, con ordinanza assunta in sede cautelare, ha confermato l’orientamento secondo cui la Scia non è prevista per ottenere la concessione di suolo pubblico che, come noto, è materia soggetta ad attività provvedimentale della P.A., che non dipende esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti previsti dalla legge; il Collegio ha richiamato precedenti pronunce, secondo cui la concessione di suolo pubblico è tuttora soggetta al regime del rilascio del provvedimento espresso, e non può essere ritenuta assentibile mediante una sorta di SCIA o DIA (T.A.R. Campania. Napoli, Sez. III, 1.9.2017, n. 4220).

TAR Lombardia, Milano, sez. I, ordinanza n. 575 del 26 giugno 2023


Il TAR Milano rigetta la tesi di parte ricorrente secondo la quale sarebbe ammissibile la “Scia in sanatoria” sulla base del seguente percorso motivazionale:
<<Ciò per la considerazione che il nostro ordinamento non ammette, a regime, una sanatoria diversa da quella contemplata dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, che prevede anzitutto che la richiesta di permesso sia specificamente indirizzata alla sanatoria di opere già eseguite e che, dal punto di vista procedimentale, pone la regola secondo cui la richiesta in sanatoria si intende rifiutata se il Comune non provvede espressamente entro 60 giorni.
Il ricorrente, nella ricostruzione proposta, pretende invece di aver sanato delle opere abusive per il tramite di una Scia (quella del 2020), senza che la stessa soddisfacesse i requisiti di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 – che devono intendersi come tassativi poiché la sanatoria è istituto di carattere eccezionale – e, anzi, ricollegando al silenzio un significato, positivo, opposto rispetto a quello, invece di diniego, che la norma riconnette in caso di presentazione di richiesta di sanatoria (cfr., in termini, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126).
In altre parole, il ricorrente non può derogare all’eccezionale regime previsto dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 per l’accertamento di conformità di opere abusive per il sol fatto di scegliere un regime – quello della Scia – non deputato a ciò. Diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione – assolutamente estranea al sistema – che sussista per il privato la facoltà di introdurre inammissibilmente una forma atipica di sanatoria (che si realizza appunto per silenzio assenso) e a fronte della quale l’amministrazione non avrebbe nemmeno il potere di provvedere, espressamente o per silenzio, secondo l’unica regola stabilita dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ma per la quale essa dovrebbe invece attivare i poteri inibitori dettati dall’art. 19 l. n. 241/1990 per il regime autorizzatorio di un altro tipo di opere.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2744 del 13 dicembre 2022.


Il TAR Milano esamina la questione giuridica riguardante l’applicazione dell’art. 15 del DPR 380 del 2001 alle DIA e ora alle SCIA.
Il TAR, dopo aver ricordato che l’art. 15 citato e in particolare il comma 2 concerne la proroga dei termini di inizio e di conclusione dei lavori oggetto del permesso di costruire rilasciato dal Comune all’avente diritto ai sensi degli articoli 10 e seguenti del TU, osserva:
<<Il dato testuale e l’interpretazione dominante della giurisprudenza amministrativa escludono che l’art. 15, espressamente dettato per il permesso di costruire, possa trovare applicazione anche con riguardo ai termini di conclusione dei lavori oggetto di SCIA.
Osta a tale applicazione, innanzi tutto, il chiaro dato normativo: l’art. 23 comma 2 stabilisce che in caso di mancata ultimazione dei lavori il completamento dell’intervento è subordinato ad una nuova SCIA da presentarsi da parte del privato («La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova segnalazione.»).
Analoga norma è contenuta nell’art. 42 comma 6 della legge regionale (LR) della Lombardia sul governo del territorio n. 12/2005, secondo cui: «I lavori oggetto della segnalazione certificata di inizio attività devono essere iniziati entro un anno dalla data di efficacia della segnalazione stessa ed ultimati entro tre anni dall’inizio dei lavori. La realizzazione della parte di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova segnalazione».
Anche la giurisprudenza della scrivente Sezione, confermata dal Consiglio di Stato, ha concluso per l’inapplicabilità dell’art. 15 alle SCIA (ovvero alle DIA).
Sul punto sia consentito il rinvio, quali precedenti conformi ex art. 74 del c.p.a., alla sentenza di questa Sezione II n. 1764/2015, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza della Sezione IV n. 572/2017 ed all’ulteriore pronuncia di questa Sezione II n. 619/2013, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza della Sezione IV n. 5969/2013.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2389 del 31 ottobre 2022.


Il TAR Milano ricorda che l’art. 23 comma 01 lettera a) del DPR n. 380/2001 consente la SCIA alternativa per gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10 comma 1 lettera c) dello stesso DPR e tale ultima norma, nell’indicare le ipotesi di rilascio del permesso di costruire, richiama gli interventi di ristrutturazione che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino modifiche della volumetria complessiva.
Precisa quindi il TAR che la ristrutturazione edilizia con aumento di volume rientra nella c.d. ristrutturazione pesante e necessita di un permesso di costruire oppure di una SCIA alternativa secondo l’art. 23 citato e non può di conseguenza realizzarsi con una semplice SCIA (cfr. sul punto, fra le più recenti decisioni, il parere della Sezione I del Consiglio di Stato su ricorso straordinario del 15.2.2022, Affare n. 544/2021, per cui «…emerge chiaramente come non rientrino nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti quegli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici»).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 538 del 7 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento a un dia presentata senza allegare (entro la fine lavori) un atto di pertinenzialità richiesto dal regolamento edilizio, ritiene corretta la valutazione del Comune secondo la quale la carenza dell’atto di pertinenzialità rende non conforme al titolo e quindi abusiva la superficie realizzata e, pertanto, deve escludersi l’applicabilità al caso di specie delle disposizioni del c.d. “Piano Casa” (legge regionale n. 4 del 2012), trattandosi di “edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità, anche condonati”.
Il TAR osserva al riguardo che
<<In effetti, esaminando la concreta fattispecie oggetto di giudizio, emerge che la d.i.a. del … non è mai divenuta efficace, in assenza del vincolo unilaterale di pertinenzialità che si era impegnata a produrre la dante causa del ricorrente. Tale vincolo risultava necessario al fine di rendere conforme alla vigente regolamentazione urbanistica ed edilizia l’intervento correlato alla realizzazione di locali pertinenziali, posto che diversamente gli stessi sarebbero stati computati nella s.l.p. e avrebbero determinato il superamento della superficie ammessa, con il correlato dovere in capo al Comune di inibire l’intervento …
A conforto di tale soluzione milita la circostanza che, a differenza del caso riguardante l’adozione di un provvedimento amministrativo, qual è il permesso di costruire, il cui contenuto e gli effetti sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente, pur in presenza di un procedimento avviato o mediato da un’istanza del privato, in caso di utilizzo del modulo procedimentale riconducile alla d.i.a. (oggi s.c.i.a.) ci si trova al cospetto di un’attività e di un atto soggettivamente e oggettivamente privati (cfr. art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241 del 1990; Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13 marzo 2019; Consiglio di Stato, II, 12 marzo 2020, n. 1795; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 giugno 2020, n. 1205) che, pur abilitando all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, richiedono comunque la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti stabiliti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio del rispetto della disciplina urbanistica, in carenza dei quali la segnalazione non può esplicare alcun effetto>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2603 del 24 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, dopo aver ricordato che la variante in corso d’opera è ammissibile se e in quanto i lavori non siano ancora terminati, precisa che il termine finale per la presentazione di una SCIA in variante non può essere rappresentato dalla data di deposito della dichiarazione di fine lavori; ove, infatti, le due date (quella di fine lavori e quella di deposito della dichiarazione di fine lavori) non coincidessero, si finirebbe per consentire all’interessato di dilatare i termini per eventuali modifiche, posticipando la presentazione al Comune della dichiarazione in relazione a lavori già terminati; il che, tuttavia, non è coerente con la ratio dell’istituto della variante in corso d’opera, che è quella di adeguare un progetto in itinere (cfr., C.d.S., Sez. II, sentenza n. 5288/2020) e non certo quella di modificare un progetto già eseguito.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 670 del 23 luglio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano affronta la problematica dell'applicazione delle misure di salvaguardia in presenza di opere opere soggette a SCIA e osserva:
<<8. Le misure di salvaguardia hanno la specifica funzione di evitare che, nelle more del procedimento di approvazione degli strumenti di pianificazione, le richieste dei privati, fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, finiscano per alterare la situazione di fatto e, quindi, per pregiudicare definitivamente gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica in itinere.
Esse scattano automaticamente dalla data di adozione del nuovo piano urbanistico – peraltro senza necessità che questo sia stato pubblicato e reso esecutivo (Cons. Stato, Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1558; Id., 30 novembre 2020, n. 7516) – e si applicano a tutti i titoli edilizi non perfezionatisi, ivi inclusi quelli che si formano sulla scorta delle sole dichiarazioni dei privati, ossia la D.I.A. e – ora – la S.C.I.A.
Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che le finalità proprie delle misure di salvaguardia «sussistono in modo del tutto identico anche nelle ipotesi normativamente previste di richieste di interventi edilizi realizzabili senza alcun titolo abilitativo, come avviene nel caso della DIA, con la conseguenza che anche detti interventi debbono in ogni caso essere conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici adottati» (Cons., Stato, sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 5257; T.A.R. Bologna , Sez. I, 19 aprile 2017, n. 298; Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7516).
9. A quanto sopra consegue che non si può escludere l’assoggettamento dell’opera alle misure di salvaguardia né per il sol fatto che queste siano state oggetto di S.C.I.A. né per la circostanza che i lavori fossero già stati iniziati. Ciò che rileva, in termini di operatività temporale delle misure di salvaguardia è unicamente il mancato perfezionamento del titolo edilizio alla data di adozione del P.G.T., dunque, con riferimento alla S.C.I.A., il mancato decorso del termine di trenta giorni dalla sua presentazione, a prescindere dall’intervenuto inizio dei lavori, il quale non ha alcuna capacità di consolidare la segnalazione>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1814 del 23 luglio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento alla sussistenza delle condizioni per azionare il potere repressivo trascorsi i trenta giorni dalla presentazione della SCIA in presenza delle condizioni di cui all’art. 21 nonies e in particolare delle ragioni di interesse pubblico, diverse dal mero ripristino della legalità, e del rispetto del termine dei 18 mesi:
- quanto alle ragioni di interesse pubblico, ritiene sufficiente il richiamo all'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 che prescrive la distanza di 10 metri per l'apertura di finestre antistanti l'edificio confinante, che si fonda sull'interesse pubblico di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario: trattasi, come ha rilevato la giurisprudenza, di prescrizione avente carattere di assolutezza e inderogabilità, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali, da sola sufficiente a fondare la legittimità dell'annullamento del titolo edilizio senza spazio per la considerazione e la ponderazione di opposti interessi;
- quanto al decorso del termine di 18 mesi, ritiene legittimo il superamento del suddetto termine, oltre ai casi di falsa attestazione, nei casi di dichiarazione resa in modo tale da non permettere una completa verifica di conformità.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1037 del 23 aprile 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano in materia di dia ribadisce quanto osservato in una fattispecie analoga (sentenza 10 maggio 2018, n. 1242): «il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’). A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento al permesso di costruire, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 novembre 2017, n. 2173). Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo – art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività’] –, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13 maggio 2013, n. 2593; 4 settembre 2012, n. 4669; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 marzo 2018, n. 730; 4 marzo 2016, n. 434)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1561 del 11 agosto 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:
«È noto che in presenza di uno strumento urbanistico adottato (cioè deliberato per la prima volta dal Consiglio comunale) scattano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 12, comma 3, del Testo Unico per l’edilizia approvato con d.P.R. n. 380/2001 (prima articolo unico della legge 3 novembre 1952, n. 1902), in forza delle quali il Comune deve sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire che siano in contrasto con lo strumento urbanistico adottato.
Quanto ai titoli abilitativi ex lege, come la DIA sulla base di cui è stato autorizzato l’intervento edilizio in esame, si deve ritenere che, ancorché l’articolo unico della legge n. 1902 del 1952 parli di sospensione della “licenza di costruzione” (poi “concessione edilizia” e ora “permesso di costruire”) e l’articolo 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, a sua volta, faccia riferimento alla sospensione del “permesso di costruire”, le misure di salvaguardia si applichino anche alla denuncia di inizio attività. Qualora l’intervento denunciato sia in contrasto con le previsioni di uno strumento urbanistico adottato prima che siano trascorsi i trenta giorni dalla presentazione della D.I.A., è dunque obbligatoria l’applicazione delle misure di salvaguardia (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1389 del 20 luglio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate – in quanto prive di titolo abilitativo – agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione; detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001, che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche gli atti di assenso eventualmente necessari.
Ne consegue per il TAR che la realizzazione mediante dia di un box in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, è da qualificarsi come intervento realizzato sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D. Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1303 del 9 luglio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Con riferimento alla previsione di cui all’art. 23, comma 6, del D.P.R. 380 del 2001 - ai sensi del quale il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine di cui al primo comma dello stesso articolo sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare l'intervento previsto dalla scia - il TAR Milano non ritiene perseguibile né l’orientamento secondo cui l’ordine deve essere non soltanto adottato ma anche notificato all’interessato entro il termine di legge, né la diversa tesi che ritiene semplicemente sufficiente l’adozione; il TAR Milano ritiene, viceversa, condivisibile la tesi che impone entro il termine decadenziale di cui al cit. art. 23, comma 6, la necessità di adottare l’atto nonché di consegnarlo alla notificazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 566 del 14 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte Costituzionale chiarisce che le verifiche cui è chiamata l’amministrazione, ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, sono quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies); decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo; questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue. 
Aggiunge poi la Corte che, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis; esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).
Sempre secondo la Corte, al di là delle modalità di tutela dell’interesse legittimo, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.
Così ricostruita la norma la Corte, pur non escludendo l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990 sollevata dal TAR Toscana nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.