Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza ha chiarito che le caratteristiche tecniche della fornitura devono essere enucleate dalla P.A. in modo tale da favorire la più ampia partecipazione alla gara, ferma restando la necessità di soddisfare appieno le esigenze della Stazione appaltante. L'Amministrazione procedente, in sede di elaborazione della lex specialis della gara, dovrà pertanto evitare di inserire requisiti che in modo irragionevole restringano la platea dei concorrenti ammessi, individuando specifiche non rivolte al soddisfacimento di un effettivo bisogno, ma tendenti in via esclusiva a limitare ex ante gli interlocutori. Da questa giurisprudenza si ricava quindi che le stazioni appaltanti possono prevedere quali requisiti minimi della fornitura soltanto elementi del prodotto che siano effettivamente rispondenti al soddisfacimento di un suo bisogno. Ne consegue che, se manca il nesso funzionale fra requisito e bisogno effettivo, la previsione che impone il requisito a pena di esclusione deve considerarsi illegittima. Inoltre, anche quando la sussistenza di questo nesso funzionale sia sussistente e la stazione appaltante si sia quindi avvalsa della facoltà di definire direttamente le specifiche tecniche strumentali al soddisfacimento di un suo bisogno, deve comunque ammettersi la possibilità per l’operatore economico di provare, con ogni mezzo, che le soluzioni proposte, seppur non esattamente conformi alle previsioni della lex specialis, ottemperano in maniera equivalente ai requisiti prescritti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 616 del 4 marzo 2024


Il TAR Milano condivide il principio giurisprudenziale secondo cui al fine di scongiurare l’esclusione dalla gara d’appalto, il partecipante che intenda avvalersi della clausola di equivalenza ha l’onere di dimostrare già nella propria offerta l’equivalenza tra i servizi o tra i prodotti, non potendo pretendere che tale accertamento sia compiuto d’ufficio dalla stazione appaltante o, addirittura, che sia demandato alla sede giudiziaria una volta impugnato l’esito della gara.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 276 del 2 febbraio 2024


Il TAR Milano ricorda che l’art. 68, comma 8, del codice dei contratti pubblici prevede che l’offerente dimostri, con qualsiasi mezzo appropriato, che la propria fornitura ottempera ai requisiti funzionali chiesti dall’Amministrazione e la giurisprudenza amministrativa ammette che la stazione appaltante possa procedere ad accertare l’equivalenza purché ciò risulti dai documenti di gara, pur in mancanza di una formale dichiarazione del partecipante. Ove l’Amministrazione proceda in tale senso, la determinazione di equivalenza può essere censurata solo se palesemente illogica o erronea sul piano tecnico (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 1863/2021, punto 17.1, con la giurisprudenza ivi richiamata).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1682 del 30 giugno 2023.


Il TAR Milano, con riferimento ai requisiti minimi delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis della gara, osserva che:
<< come è noto, le caratteristiche essenziali e indefettibili - ossia i requisiti minimi - delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis della gara costituiscono una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato a un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito che vale a individuare l’essenza stessa della res richiesta, e non depone in senso contrario la circostanza che la lex specialis non disponga espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle pretese, risolvendosi tale difformità in un aliud pro alio che comporta, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di un’apposita comminatoria in tal senso (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 25 luglio 2019 n. 5260). Nondimeno, come è stato precisato (v. Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2020 n. 3084), questo rigido automatismo opera nel solo caso in cui le specifiche tecniche previste nella legge di gara consentano di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie, sicché il principio della esclusione dell’offerta per difformità dai requisiti minimi, anche in assenza di espressa comminatoria di estromissione dalla procedura selettiva, non può che valere nei casi in cui la disciplina di gara prevede qualità del prodotto che con assoluta certezza si qualifichino come caratteristiche minime, vuoi perché espressamente definite come tali nella disciplina stessa, vuoi perché la descrizione che se ne fa nella disciplina di gara è tale da farle emergere come qualità essenziali della prestazione richiesta, mentre - ove questa certezza non vi sia e sussista al contrario un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole del bando - riprende vigore il principio residuale che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività delle cause di esclusione. Del resto, come ripetutamente rilevato (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 7 agosto 2018 n. 4849), l’interpretazione degli atti amministrativi, ivi compresi i bandi di gara, soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e segg. cod.civ. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, perché gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla pubblica Amministrazione di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative; sì che la dovuta prevalenza da attribuire alle espressioni letterali, se chiare, contenute nel bando esclude ogni ulteriore procedimento ermeneutico per rintracciare pretesi significati ulteriori e preclude ogni estensione analogica intesa ad evidenziare significati inespressi e impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti e la par condicio dei concorrenti>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2062 del 27 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in ordine alla conformità dei requisiti dei prodotti offerti alle specifiche tecniche, sottolinea come:
<< in materia di appalti di forniture trovi generale applicazione il principio, di matrice comunitaria, dell’equivalenza, diretto a tutelare la libera concorrenza e la par condicio tra i partecipanti alle gare. In base a tale principio, l’offerente può fornire con qualsiasi mezzo appropriato la prova che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche, fermo restando che la Stazione appaltante deve essere messa nelle condizioni di svolgere una verifica effettiva e proficua della dichiarata equivalenza; ciò risponde al principio del favor partecipationis e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione. I concorrenti non sono peraltro onerati di una apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato; la Commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (Consiglio di Stato, III, 25 novembre 2020, n. 7404). Negli appalti di forniture, la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti è quindi generalmente ritenuta idonea a consentire alla Stazione appaltante lo svolgimento del giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche (Consiglio di Stato, V, 25 marzo 2020, n. 2093). Pertanto, una volta che l’Amministrazione, anche implicitamente, abbia proceduto in tal senso, la scelta tecnico - discrezionale può essere inficiata soltanto qualora se ne dimostri l’erroneità (così, da ultimo, Consiglio di Stato, IV, 4 marzo 2021, n. 1863)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1269 del 24 maggio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in materia di equivalenza del prodotto offerto ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche, richiama:
<<il principio affermato dalla giurisprudenza secondo la quale “il criterio dell’equivalenza non può subire una lettura limitativa o formalistica ma deve, al contrario, godere di un particolare favore perché è finalizzato a soddisfare l’esigenza primaria di garantire la massima concorrenza tra gli operatori economici: ovviamente l’equivalenza va ragguagliata alla funzionalità di quanto richiesto dalla pubblica Amministrazione con quanto offerto in sede gara, non certo alla mera formale descrizione del prodotto” (cfr.: C.G.A.R.S., Sez. I, 20 luglio 2020, n. 634). Le specifiche tecniche hanno, infatti, il compito di rendere “intellegibile il bisogno che la stazione appaltante intende soddisfare con la pubblica gara più che quello di descrivere minuziosamente le caratteristiche del prodotto offerto dai concorrenti”; pertanto, il prodotto “può ritenersi equivalente laddove - pur essendo carente di taluno e/o taluni requisiti indicati nella lex specialis – nondimeno soddisfi alla stessa maniera l’interesse perseguito dalla stazione appaltante e, quindi, garantisca lo stesso risultato preventivato con l’introduzione della specifica tecnica” (Consiglio di Stato, Sez. III, 17 luglio 2020, n. 5063)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 838 del 30 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano
l’equivalenza di una specifica tecnica non è predicabile in relazione a un dato oggettivo dimensionale, essendo, per definizione, equivalente a una data misura solo la medesima misura. Non si può, insomma, spostare l’esame su un piano di identità funzionale del prodotto in linea generale a fronte di una caratteristica specifica e oggettiva richiesta quale requisito essenziale.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 880 del 6 aprile 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che il principio di equivalenza di cui all’art. 68 del D.Lgs. 50/2016:
«costituisce regola generale dell’intero sistema dei contratti pubblici, di derivazione euro-unitaria ed è volto a garantire una piena attuazione del principio di concorrenza e di massima partecipazione alle gare, onde consentire alle amministrazioni di ottenere prodotti o soluzioni che siano in ogni modo rispettosi dei requisiti richiesti dalle amministrazioni medesime (cfr. l’art. 68 comma 8 citato ed in giurisprudenza, fra le più recenti sentenze: Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3808/2020; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 1386/2020 e TAR Marche, n. 518/2020).
Inoltre, il giudizio di equivalenza espresso dall’amministrazione costituisce manifestazione della discrezionalità tecnica di quest’ultima, censurabile pertanto solo in caso di evidenti errori o di manifesta illogicità, cioè in caso di palese inattendibilità della valutazione della commissione di gara (cfr. sul punto TAR Campania, Napoli, sez. V, sentenza n. 4315/2020 e TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sentenza n. 1145/2020).
Certamente il richiamo al principio di equivalenza, e sul punto concorda anche lo scrivente collegio, non può essere strumentalmente effettuato per fornire all’appaltante un prodotto o un servizio radicalmente differente da quello richiesto (c.d. aliud pro alio)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1894 del 13 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.








Il TAR Milano, in tema di principio di equivalenza dei prodotti offerti nelle gare d'appalto osserva che:
- muovendo dalla normativa prima contenuta nell’art. 68 del d.lgs. n. 163 del 2006 e ora racchiusa nell’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza ha evidenziato che, allorché le offerte devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche, il legislatore ha inteso introdurre il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale ma sostanziale con le specifiche tecniche, in modo che le stesse vengano comunque soddisfatte, con la conseguenza che, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza – finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche – i concorrenti possono sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto e che il riferimento negli atti di gara a specifiche certificazioni o caratteristiche tecniche non consente alla stazione appaltante di escludere un concorrente respingendo l’offerta che possieda una certificazione equivalente o rechi caratteristiche tecniche perfettamente corrispondenti allo specifico standard voluto;
- peraltro, è l’operatore economico che intende avvalersi della clausola di equivalenza ad avere l’onere di dimostrare l’equipollenza funzionale tra i prodotti, non potendo pretendere che di tale accertamento si faccia carico la stazione appaltante, la quale è vincolata alla regola per cui le caratteristiche tecniche previste nel capitolato di appalto valgono a qualificare i beni oggetto di fornitura e concorrono, dunque, a definire il contenuto della prestazione sulla quale deve perfezionarsi l’accordo contrattuale, sicché eventuali e apprezzabili difformità registrate nell’offerta concretano una forma di aliud pro alio, comportante, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di apposita comminatoria, e nel contempo non rimediabile tramite regolarizzazione postuma, consentita soltanto quando i vizi rilevati nell’offerta siano puramente formali o chiaramente imputabili a errore materiale;
- se dunque la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti deve ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissione alla gara, in quanto atta a consentire alla stazione appaltante lo svolgimento di un giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche – sì che la prova da fornire può concretizzarsi in una specifica e dettagliata descrizione del prodotto e della fornitura –, resta fermo che il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara, legato non a formalistici riscontri ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte, costituisce pacificamente legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione e, pertanto, il relativo sindacato giurisdizionale deve attestarsi su riscontrati, e prima ancora dimostrati, vizi di manifesta erroneità o di evidente illogicità del giudizio stesso, ossia sulla palese inattendibilità della valutazione espressa dalla stessa commissione di gara;
- d’altra parte, l’Amministrazione ben può esigere che i prodotti che intende acquisire presentino caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle ordinariamente richieste per simili tipologie di prodotti, dovendosi presumere – fino a prova contraria – che le prescritte ulteriori proprietà elevino lo standard prestazionale ai fini di un migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito, mentre spetta all’offerente dimostrare, pur a fronte della più alta soglia imposta, l’equivalenza sostanziale/funzionale del diverso prodotto offerto e poi, in caso di giudizio negativo della stazione appaltante, argomentatamente denunciare in sede giurisdizionale l’erroneità della determinazione amministrativa sfavorevole.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1991 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.

In argomento vedi anche la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6212 del 18 settembre 2019.



Il TAR Milano precisa che il ricorrente non può invocare per la prima volta in sede giurisdizionale l’applicazione del principio di equivalenza, in quanto l’articolo 68 D.Lgs. n. 50/2016 presuppone che già in sede di offerta il concorrente dichiari l’equivalenza del proprio prodotto, allegando documentazione a conforto dell’assunto.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 362 del 22 febbraio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di giustizia UE, con riguardo al momento in cui fornire la prova dell’equivalenza dei prodotti offerti in un appalto pubblico rispetto a quelli definiti nelle specifiche tecniche, ha statuito il seguente principio:
L’articolo 34, paragrafo 8, della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, deve essere interpretato nel senso che, quando le specifiche tecniche che figurano nei documenti dell’appalto fanno riferimento a un marchio, a un’origine o a una produzione specifica, l’ente aggiudicatore deve esigere che l’offerente fornisca, già nella sua offerta, la prova dell’equivalenza dei prodotti che propone rispetto a quelli definiti nelle citate specifiche tecniche”.

La sentenza della Quarta Sezione del 12 luglio 2018 (causa C-14/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato precisa che grava sul concorrente l’obbligo di provare l’equivalenza tra tutti i prodotti richiesti e quelli “equivalenti” offerti: il mancato rispetto di tale onere, comporta, in applicazione del principio di autoresponsabilità, l’esclusione dell’offerta.
Né è possibile, secondo il Consiglio di Stato, esercitare il potere di soccorso istruttorio, atteso che tale potere non può comportare il sovvertimento degli oneri, facendo gravare sulla commissione giudicatrice quello imposto al concorrente: si altera, altrimenti, il principio della par condicio tra i concorrenti; il ricorso al soccorso istruttorio, infatti, può attivarsi quando sussistono dubbi, quando occorrono chiarimenti, ma non può estendersi quando manchi un requisito essenziale dell’offerta, qual è la prova dell’equivalenza di tutti i prodotti offerti con quelli richiesti in sede di gara dalla stazione appaltante.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 4207 del 5 settembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.