Precisa il TAR Milano che l’accordo di programma è una species dell’accordo tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 della legge n. 241/90 e non degli accordi tra amministrazioni e privati ex art. 11 della legge n. 241/90; l'accordo di programma, infatti, consiste nel consenso unanime delle amministrazioni statali e locali e degli altri soggetti pubblici interessati, senza che ad esso partecipino i privati che, invece, possono essere coinvolti nella sua attuazione, con la conseguenza che i diritti soggettivi di questi, derivanti dalla proprietà delle aree o da concessioni edilizie, restano affievoliti, essendo l'indicato accordo di programma espressione di poteri pubblicistici nei loro confronti; laddove i privati siano legittimati all’intervento, ad esempio da leggi regionali, non assumono la qualifica di “parti” del procedimento organizzatorio, riservata, invece, esclusivamente ai soggetti pubblici.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2123 del 21 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato osserva che, come già evidenziato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4180 del 9 luglio 2018), la disposizione dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. non implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2, e 120, comma 5, ultima parte, del c.p.a., per cui, in difetto della formale comunicazione dell’atto o, per quanto qui interessa, in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di ammissione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante, il termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento da impugnare, ma ciò a patto che l’interessato sia in grado di percepire i profili che ne rendano evidente la lesività per la propria sfera giuridica in rapporto al tipo di rimedio apprestato dall’ordinamento processuale; in altri termini, la piena conoscenza dell’atto di ammissione della controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso.
Aggiunge il Consiglio di Stato che laddove si tratti della impugnazione di un provvedimento di esclusione, la conoscenza dei relativi profili lesivi deve ritenersi insita nella percezione della sua adozione da parte dell’impresa esclusa, tanto più se acquisita congiuntamente a quella delle relative ragioni determinanti.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5434 del 17 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia aderisce all’orientamento secondo il quale l'operatività della decadenza del permesso di costruire necessita dell'intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria; la decadenza del permesso di costruire non opera quindi di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti che, sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e, come tale, non è sottratto all'obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990 e può essere adottato solo previa formale e apposita contestazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 825 del 3 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che la salvaguardia di cui comma 3 dell’art. 12 del T.U. edilizia si verifica a prescindere dal fatto che la domanda di permesso di costruire sia stata presentata anteriormente alla data di adozione dello strumento urbanistico, poiché l'amministrazione deve tenere conto della situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui la determinazione relativa all'istanza di titolo abilitativo viene assunta; in altri termini, la mera presentazione della domanda di permesso di costruire non basta a rendere irrilevanti le variazioni di strumento urbanistico sopravvenute nelle more del rilascio del provvedimento. 

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 825 del 3 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato si discosta dall’unanime orientamento della giurisprudenza amministrativa che è, allo stato, nel senso della inammissibilità dell’appello c.d. cumulativo, ancorché le sentenze impugnate abbiano lo stesso contenuto o siano pronunziate fra le stesse parti, e ritiene che sia possibile esperire l’appello cumulativo anche nel processo amministrativo, sia pure a condizione che ricorra il requisito soggettivo della identità delle parti e quello oggettivo della comunanza delle questioni o della stretta connessione tra le cause.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5385 del 14 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano dopo aver premesso che, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, l’installazione di un ascensore all’esterno di un condominio non richiede il permesso di costruire, trattandosi della realizzazione di un volume tecnico, necessaria per apportare un’innovazione allo stabile, e non di una costruzione strettamente intesa, precisa che, tuttavia, l’intervento edilizio in questione non può prescindere dall’acquisizione del consenso della maggioranza dei condomini dello stabile interessato, come previsto dalla normativa civilistica in materia di innovazioni condominiali (art. 1120 cod. civ.).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2065 del 13 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte di Giustizia UE in ordine alla questione relativa alla fissazione dei requisiti minimi per la valutazione tecnica di un’offerta in una gara d’appalto statuisce i seguenti principi:

«1) La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che autorizza le amministrazioni aggiudicatrici ad imporre, nel capitolato d’oneri di una gara d’appalto con procedura aperta, requisiti minimi per la valutazione tecnica, cosicché le offerte presentate che, al termine di tale valutazione, non raggiungono una soglia di punteggio minima prestabilita sono escluse dalla successiva valutazione fondata sia su criteri tecnici sia sul prezzo.
2) L’articolo 66 della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che autorizza le amministrazioni aggiudicatrici ad imporre, nel capitolato d’oneri di una gara d’appalto con procedura aperta, requisiti minimi per la valutazione tecnica, cosicché le offerte presentate che, al termine di tale valutazione, non raggiungono una soglia di punteggio minima prestabilita sono escluse dalle fasi successive dell’aggiudicazione dell’appalto, e ciò a prescindere dal numero di offerenti restanti».

La sentenza della Quarta Sezione del 20 settembre 2018 (causa C-546/16) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che oggetto dei compiti di tutela dell’Amministrazione dei beni culturali previsti dall’art. 152  del D.Lgs n. 42/2004 nel caso di aperture di strade e di cave, di posa di condotte per impianti industriali e civili e di palificazioni sono i procedimenti autorizzatori  concernenti gli interventi descritti dalla norma, sia che si intenda realizzare gli stessi “nell’ambito” delle aree indicate dall’art. 136, sia che tali interventi si intendano realizzare “in vista” delle aree o “in prossimità” degli immobili indicati dal medesimo art. 136, ai quali occorre aggiungere anche i beni “tutelati per legge”, di cui all’art. 142 T.U.; sarebbe illogico che tale sistema di ulteriore protezione (indiretta) dei beni paesaggistici assistesse unicamente quelli sottoposti a dichiarazione di notevole interesse pubblico (le cui categorie sono contemplate dall'art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e non invece i beni paesaggistici previsti dalla legge (art. 142), in cui il valore paesaggistico compendiato nel vincolo ex lege che li assiste è una qualità correlata originariamente al bene, non suscettibile di una protezione giuridica di minore intensità; quando vengono in rilievo opere infrastrutturali di grande impatto visivo il paesaggio, quale bene potenzialmente pregiudicato dalla realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, si manifesta in una proiezione spaziale più ampia di quella rinveniente dalla sua semplice perimetrazione fisica consentita dalle indicazioni contenute nel decreto di vincolo.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5191 del 4 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Si ricorda che il 28 e 29 settembre 2019 si terrà a Varese, Villa Panza, il convegno "Verso leggi urbanistiche regionali di quarta generazione", organizzato dall’Associazione italiana di diritto urbanistico e dall'Università degli Studi dell'Insubria.

L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Varese e dall’Ordine degli Architetti di Varese.



Si informa che l'Associazione Giudici Amministrativi Tedeschi Italiani Francesi - AGATIF ha organizzato per il 5 ottobre 2018 nella città tedesca di Saarbrüchen, il convegno con titolo “Il regolamento fondamentale per la protezione dei dati (elettronici) e i connessi ricorsi davanti ai tribunali amministrativi”.

Il convegno è gratuito e le modalità di iscrizione sono contenute nella locandina.


Precisa il TAR Milano che la disciplina procedimentale complessivamente delineata dall’articolo 13 della legge regionale n. 12 del 2005 non vieta, di per sé, la riedizione di singole fasi della procedura pianificatoria, ove si intenda rivedere gli atti già assunti, a partire da un determinato segmento procedimentale; in questa prospettiva, la circostanza che non si sia proceduto alla pubblicazione di una nuova comunicazione di avvio del procedimento di formazione del Piano e all’apertura di un nuovo termine per la presentazione delle proposte e dei suggerimenti degli eventuali interessati è perciò da ritenere del tutto fisiologica; la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento di formazione dello strumento urbanistico ha, infatti, una valenza del tutto indicativa, poiché tale avviso è volto soltanto a rendere nota la volontà dell’Amministrazione di dare corso alla formazione di un piano, o di una variante di piano, ma non vincola né preordina le successive opzioni pianificatorie, che sono destinate a emergere – e sono ampiamente modificabili – nel corso del procedimento, alla luce dell’acquisizione di tutti gli interessi rilevanti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2052 del 6 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che il riferimento operato dall’art. 120, comma 11 bis, c.p.a. (ai sensi del quale: “nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”) allo “stesso atto”, quale presupposto oggettivo del ricorso cumulativo, debba essere ragionevolmente inteso come concernente il provvedimento adottato dalla stazione appaltante in senso formale, anche se comprensivo di plurime determinazioni provvedimentali in senso sostanziale, atteso che, in considerazione della specificità della fattispecie disciplinata, caratterizzata dallo svolgimento di una gara avente ad oggetto un appalto suddiviso in lotti, l’ipotesi di provvedimento anche sostanzialmente unitario, suscettibile di impugnazione cumulativa ai sensi della norma richiamata, appare squisitamente teorica e comunque residuale (ad esempio: impugnazione di distinti provvedimenti di aggiudicazione sulla scorta di vizi di illegittimità attinenti in via immediata all’unica lex specialis); di conseguenza, in una fattispecie caratterizzata dalla impugnazione di plurimi provvedimenti di esclusione, di cui la parte è stata destinataria con riferimento ai distinti lotti alla cui aggiudicazione ha partecipato, ma contenuti in un unico atto in senso formale, sussistono i presupposti legittimanti la proposizione di una impugnazione di carattere cumulativo, alla luce della identità dei motivi di esclusione (connessi alla presentazione da parte dell’impresa appellante di offerte non convenienti) e delle censure prospettate dalla parte appellante al fine di conseguirne l’annullamento, mentre non influiscono sui suddetti elementi accomunanti i profili differenziali pur sussistenti, ai sensi della lex specialis, tra i diversi lotti nei quali è stato articolato l’oggetto della gara.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5434 del 17 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che in presenza di un insieme di opere interessanti un edificio occorre effettuare una valutazione globale delle opere, non dei singoli interventi: artificiose frammentazioni, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'intervento, comportano una scomposizione virtuale delle opere finalizzata a “declassare” l’intervento, che deve invece essere complessivamente considerato; è infatti sempre necessaria una visione globale e non atomistica dell'intervento edilizio, dal momento che la sua qualificazione deriva non dalla singola opera, ma dall’insieme delle variazioni apportate all’assetto del territorio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2046 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Per il Consiglio di Stato sussiste la piena legittimità, e anzi il carattere dovuto, degli ordini di inibizione dei lavori emanati dalla Soprintendenza sul corretto rilievo della insussistenza di un valido titolo abilitativo alla loro realizzazione e della necessità di apprestare comunque (indipendentemente cioè dalla questione del titolo) una tutela cautelare e preventiva-interinale, da riferire alle disposizioni circa i poteri cautelari generali in materia, vale a dire gli artt. 28 (Misure cautelari e preventive, per i beni culturali) e 150 (Inibizione o sospensione dei lavori, per il paesaggio) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, a salvaguardia dal pregiudizio ai valori culturali e paesaggistici compendiati nei luoghi oggetto dei distinti interventi; la circostanza, poi, che il comma 2 dell’art. 150 del D.Lgs n. 42/2004 preveda il termine di cessazione dell’efficacia dei provvedimenti di inibizione o di sospensione, collegandolo all’avvio del procedimento per l’imposizione del vincolo, se disciplina lo specifico caso in cui il potere venga esercitato su bene che, pur possedendo intrinsecamente valore paesaggistico, non risulta tuttavia ancora oggetto di vincolo, non per questo esclude che il potere possa (anzi debba) essere esercitato, ed a maggior ragione, per la tutela di beni già vincolati (o, per l’effetto del c.d. irradiamento, su beni ad essi contermini).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5191 del 4 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Sezione Prima del TAR Milano ribadisce (cfr. TAR Lombardia, I, 7 maggio 2018 n. 1223) che la stazione appaltante, qualora riscontri nell'offerta economica l’omessa indicazione separata dei costi di manodopera, dovrà verificare se i valori economici complessivamente esposti comprendono o meno i costi indicati, sulla base di una verifica di congruità, sicché l’esclusione può seguire solo all’esito negativo di tale verifica; e ciò in ossequio ai principi normativi domestici e euro-unitari, nonché alla elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia che, seppure in relazione al solo tema degli oneri della sicurezza aziendali e richiamando i principi già espressi dalla stessa Corte UE con sentenza 2 giugno 2016, C-27/15, ha chiaramente escluso ogni automatismo espulsivo, prediligendo una logica sostanzialistica (per un orientamento difforme si veda la Quarta Sezione del TAR Milano n. 1855 del 27 luglio 2018).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2056 del 10 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato ribadisce che nel processo amministrativo la facoltà di replica discende in via diretta dall'esercizio della correlata facoltà di controparte di depositare memoria difensiva nel termine di trenta giorni prima dell'udienza di merito, con la conseguenza che ove quest'ultima facoltà non sia stata esercitata, non può consentirsi la produzione di memoria definita di replica dilatando il relativo termine di produzione (pari a trenta giorni e non a quello di venti giorni prima dell'udienza, riservato dall’art. 73 c.p.a. appunto alle repliche).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5277 del 7 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che non possono realizzarsi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, per il quale non sia stata ancora definita la procedura di sanatoria o di condono edilizio; infatti, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2046 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo (in senso conforme: TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2058 del 12 settembre 2018 consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo).


Il Consiglio di Stato precisa che, alla luce di uno stato di inquinamento latamente preesistente, quanto meno l’Amministrazione ha il dovere di farsi carico della dimostrazione – anche a livello meramente indiziario – del fatto che l’attuale operatore economico è (non già solo il “probabile” ma) il “più probabile” autore o di un aggravamento del tasso di inquinamento precedentemente rilevato o addirittura di un proprio ed autonomo inquinamento, che a quello precedente si era andato a sommare; il corretto ricorso al canone del “più probabile che non” presuppone o che un sedime sia stato certamente vergine (dal punto di vista dell’inquinamento) prima dell’insediamento su di esso di un’attività produttiva o, qualora il terreno fosse invece già parzialmente inquinato, che un diverso e nuovo agente inquinante si sia aggiunto (autonomamente aggravandoli) a quelli precedentemente presenti, quale conseguenza appunto della nuova attività produttiva insediatasi su un sottosuolo già compromesso.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 5076 del 29 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano precisa che le misure di salvaguardia sono unicamente finalizzate ad evitare l’immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune, quali risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest’ultimo; in particolare, ove l’intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all’articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia, al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standard e quantificazione del contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2039 del 31 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.