Il Consiglio di Stato, esaminando un appello avverso una decisione del TAR Lombardia, Milano, ribadisce che “per la giurisprudenza, l’appello non può limitarsi a una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi in primo grado, dovendo contenere una puntuale critica ai capi della sentenza appellati; a tal fine, pur non richiedendosi l’impiego di formule sacramentali, si esige l’onere specifico, a carico dell’appellante, di formulare una critica specifica della motivazione della sentenza appellata in modo che il giudice di appello sia posto nelle condizioni di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo giudice avrebbe dovuto decidere diversamente (di recente, Cons. Stato, VI, 30 dicembre 2021, n. 8715; V, 19 aprile 2021 ,n. 3159)”.

Consiglio di Stato, sez. V, 26 aprile 2022 n. 3207
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato precisa che «se è vero che, nel processo amministrativo, l’omesso deposito di copia autenticata non può determinare l'improcedibilità ovvero l'inammissibilità del gravame, in quanto l’art. 94 c.p.a., nel disporre che nel giudizio di appello, unitamente al gravame, deve essere depositata anche una copia della sentenza impugnata, non richiede che si tratti necessariamente di una sua copia autentica, come invece è previsto espressamente dall’art. art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., l’inammissibilità dell’appello deve essere, al contrario, dichiarata nel caso di mancata produzione in grado di appello di alcuna copia della sentenza impugnata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2014 n. 2773 nonché, più di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 19 febbraio 2019 n. 1136)».

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 7133 del 17 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato, con riferimento all’art. 104, comma 2, c.p.a. – ai sensi del quale, nel giudizio amministrativo di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile – precisa che il requisito della indispensabilità ai fini della decisione della causa impone di ammettere in appello tutti quei documenti che non sono semplicemente “rilevanti” ai fini del decidere, bensì appaiono dotati di quella speciale efficacia dimostrativa che si traduce nella capacità di fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, conducendo ad un esito, per così dire, “necessario” della controversia, per cui siffatta nozione di indispensabilità è in armonia con l’orientamento del giudice civile, secondo cui nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 1897 del 21 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, in sede di appello avverso una sentenza che ha definito sia il ricorso diretto contro l’ammissione dell’appellante sia quello rivolto nei confronti dell’aggiudicazione definitiva intervenuta successivamente, ritiene che nel descritto contesto il rito speciale c.d. “superaccelerato” di cui all'art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. che riguarda unicamente i ricorsi contro i provvedimenti di esclusione e ammissione, non trovi applicazione, atteso che il giudizio riguarda ormai l’intera gara conclusa con l’intervenuta aggiudicazione, per cui non sussiste più quell’esigenza di massima celerità nella definizione della controversia che sta alla base della previsione del rito in questione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6580 del 21 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato si discosta dall’unanime orientamento della giurisprudenza amministrativa che è, allo stato, nel senso della inammissibilità dell’appello c.d. cumulativo, ancorché le sentenze impugnate abbiano lo stesso contenuto o siano pronunziate fra le stesse parti, e ritiene che sia possibile esperire l’appello cumulativo anche nel processo amministrativo, sia pure a condizione che ricorra il requisito soggettivo della identità delle parti e quello oggettivo della comunanza delle questioni o della stretta connessione tra le cause.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5385 del 14 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato afferma che l’omessa pronuncia in ordine alla domanda risarcitoria impone, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., la regressione della causa al giudice di primo grado, il quale deve provvedere a pronunciare in diversa composizione ex artt. 17 c.p.a. e 51, n. 4, c.p.c.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 1535 del 12 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Giustizia Amministrativa prende posizione (richiamando la propria precedente sentenza n. 33 del 2018) sulla questione delle conseguenze processuali della riforma di una sentenza di primo grado che, per errore in iudicando su una questione preliminare, non abbia esaminato nel merito le domande articolate in primo grado, fermandosi ad una pronuncia in rito, che nella specie ha preso la forma della irricevibilità per pretesa e insussistente tardività del ricorso, e rimette rimessa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., per l’esame del merito di tutte le ulteriori questioni controverse.

La sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 123 del 1° marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che:
  • la previsione codicistica vigente ammette i motivi aggiunti in grado d’appello al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado, evenienza nella quale non ci si trova tanto in presenza di una domanda nuova quanto di un’articolazione della domanda già proposta al T.A.R., e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi si intenda impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di prime cure;
  • questa regola vale anche per le impugnative degli atti delle procedure di affidamento contratti pubblici, ove l’art. 120, comma 7, c.p.a. – nella formulazione anteriore al d. lgs. n. 50 del 2016 – prevede che «i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti» solo con riferimento al primo grado di giudizio, ma non già per il grado di appello, per il cui svolgimento l’art. 120, comma 11, c.p.a. non richiama la regola del comma 7 – ma solo quelle dei commi 3, 6, 8 e 10 e, dopo la novella del 2016, anche dei commi 2-bis, 6-bis, 8-bis e 9 – per l’ovvia ragione che, in virtù del generale principio di cui all’art. 104, comma 3, c.p.a., non è possibile impugnare, con motivi aggiunti, un atto sopravvenuto alla sentenza già gravata né, a fortiori, è possibile impugnare la sentenza di prime cure che si sia pronunciata sulla legittimità dell’atto di gara sopravvenuto alla prima sentenza;
  • nel giudizio di appello contro la sentenza che si è pronunciata sulla legittimità del bando, i motivi aggiunti proposti contro la successiva sentenza che si è pronunciata sull’aggiudicazione definitiva, sono inammissibili per violazione dell’art. 104, comma 3, c.p.a. e sono anche insuscettibili di conversione in appello autonomo contro tale sentenza, ostandovi il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, da proporsi nelle forme e nei modi previsti dal codice di rito.


La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 1633 del 7 aprile 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.