È inammissibile, per genericità e violazione dell’art. 40 c.p.a., il ricorso nel quale il ricorrente si limita a esporre una sintetica e indistinta ricostruzione in fatto dei principali accadimenti della vicenda, senza tuttavia articolare alcuna autonoma censura nei confronti del provvedimento impugnato e senza sviluppare una motivata critica rispetto alle ragioni poste alla base delle decisioni dell’amministrazione. In detti termini, la lettura non consente di comprendere quali sarebbero i profili di illegittimità dell’atto oggetto di impugnazione, per cui risulta conseguentemente violato il principio di specificità dei motivi di gravame, i quali, pur se non rubricati in modo puntuale né espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, devono essere esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale. Parimenti inammissibile è il gravame redatto in violazione della regola che impone di esporre “distintamente” i fatti e motivi di doglianza, mancando una simile separata strutturazione il ricorso si risolve in un’unitaria e generica narrazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2736 del 21 luglio 2025


Ai sensi dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a., il ricorrente è tenuto ad indicare “i motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. La disposizione va intesa nel senso che è onere del ricorrente, in virtù del principio dispositivo che regola il processo amministrativo, dedurre le doglienze tramite cui contesta l’operato dell’amministrazione ritenendolo illegittimo e indicare il parametro normativo di riferimento che illumina la denunciata illegittimità al fine di consentire il sindacato del giudice nel rispetto del principio del contraddittorio. Mentre l’onere di allegazione della contestazione va assolto in modo rigoroso, non è tuttavia indispensabile che il ricorrente indichi con precisione la disposizione o la norma in cui va ricondotta la contestazione, poiché tale opera di sussunzione spetta al giudice in virtù del principio generale iura novit curia. È dunque sufficiente che il ricorrente alleghi il fatto della contestazione rapportandolo, secondo la propria prospettazione, alla regola di azione che governa l’operato amministrativo, in modo da consentire al giudice di sussumere, mediante l’interpretazione dello scritto difensivo e in virtù del principio iura novit curia, la predetta contestazione nella previsione normativa che la contempla.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 851 del 10 marzo 2025


Il TAR Milano precisa che non può ritenersi sufficiente un mero rinvio a censure proposte avverso provvedimenti differenti, senza che siano specificamente riformulate con riferimento agli atti oggetto di impugnazione; ai sensi dell'art. 41 c.p.a., lett. d), l'esposizione dei motivi deve, infatti, essere specifica, per cui questi ultimi non possono essere dedotti in modo approssimativo, indistinto, astratto e generico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3781 del 30 dicembre 2024


Il TAR Milano ricorda il consolidato principio secondo il quale la censura dedotta in forma dubitativa o di illazione è inammissibile, perché trasforma il giudizio amministrativo in un sindacato ufficioso di legittimità degli atti amministrativi.



Il TAR Milano osserva che ai sensi dell’articolo 40, comma 1, lett. d), c.p.a., l’atto di impugnazione deve contenere “i motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. Secondo un pacifico indirizzo giurisprudenziale, infatti, nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l'inammissibilità per genericità della censura proposta: alla violazione dell'obbligo ex art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm. di specificità delle censure consegue, dunque, l'inammissibilità del motivo proposto (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2019, n. 4491; Cons. Stato, sez. VI, 1 settembre 2017, n. 4158).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 661 del 15 marzo 2023.


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso (cfr. Consiglio di Stato, III, 25 ottobre 2016, n. 4463; VI, 9 luglio 2012, n. 4006; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 4 ottobre 2022, n. 2178; II, 24 ottobre 2021, n. 2410; anche Consiglio di Stato, III, 7 luglio 2022, n. 5650).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2626 del 24 novembre 2022.


Il Consiglio di Stato, esaminando un appello avverso una decisione del TAR Lombardia, Milano, ribadisce che “per la giurisprudenza, l’appello non può limitarsi a una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi in primo grado, dovendo contenere una puntuale critica ai capi della sentenza appellati; a tal fine, pur non richiedendosi l’impiego di formule sacramentali, si esige l’onere specifico, a carico dell’appellante, di formulare una critica specifica della motivazione della sentenza appellata in modo che il giudice di appello sia posto nelle condizioni di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo giudice avrebbe dovuto decidere diversamente (di recente, Cons. Stato, VI, 30 dicembre 2021, n. 8715; V, 19 aprile 2021 ,n. 3159)”.

Consiglio di Stato, sez. V, 26 aprile 2022 n. 3207
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento al dovere di formulazione distinta e specifica dei motivi, imposta dall’art. 40 c.p.a., ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione “dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. In argomento il TAR richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale lo scopo dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. “è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine alla prassi dei ricorsi non strutturati secondo una esatta suddivisione tra ‘fatto’ e ‘motivi’, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (Cons. Stato, V, 31 ottobre 2016, n. 4561; 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 4 gennaio 2016, n. 8). Si è altresì rilevato che l’art. 40, comma 1, lett. d), Cod. proc. amm., non prescrive che il ricorso sia necessariamente articolato in una parte ‘in fatto’ e in una ‘in diritto’, graficamente distinte, sicché, per quanto tale distinzione sia preferibile e auspicabile per una maggiore chiarezza espositiva dell’atto, l’articolazione di un unico motivo, senza distinzione tra ‘fatto’ e ‘diritto’, non determina la ‘indistinzione’ dell’unico motivo, inteso e proposto quale continuum nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio, anche di appello, purché esso soddisfi, ovviamente, il requisito della specificità (Cons. Stato, III, 10 aprile 2019, n. 2369; 21 luglio 2017, n. 3621)” (Consiglio di Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2343).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2410 del 3 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che «il richiamo generico, nell’epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, non è sufficiente, per giurisprudenza consolidata, a radicarne l'impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda e a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2601 del 28 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ritiene inammissibile il motivo con il quale parte ricorrente omette di indicare quali specifici argomenti o elementi istruttori sarebbero stati pretermessi dall’amministrazione, limitandosi a fare riferimento per relationem al materiale documentale prodotto in sede procedimentale e nel giudizio e affidando al giudice il compito di individuarli nel confronto tra quanto dedotto dalla proponente in sede procedimentale e quanto replicato (o non replicato) dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato.
Al riguardo osserva che: «La giurisprudenza amministrativa considera siffatta modalità di esposizione dei motivi di ricorso, definita per relationem (per il rinvio ad altro documento allo scopo di integrazione delle ragioni di critica ai provvedimenti impugnati), in contrasto con il principio di specificità dei motivi imposto dall'art. 40, comma 1, lett. d) cod. proc. amm. con conseguente inammissibilità del motivo proposto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.02.2020 n. 1323; Cons. Stato, IV, 25 ottobre 2019, n. 7275; IV, 12 luglio 2019, n. 4903; V, 20 luglio 2016, n. 3280). E’ stato affermato, a questo riguardo, che “L'inammissibilità non è esclusa dal fatto che la ricorrente abbia rinviato anche alla documentazione versata in giudizio comprendente gli atti della procedura poiché, altrimenti, sarebbe imposto al giudice di ricostruire le tesi di parte, supplendo al mancato assolvimento dell'onere di specificazione, con esiti comunque incerti non potendo certo ricavarsi dal solo tenore dei documenti depositati in via induttiva le ragioni fondanti la censura articolata in ricorso” (Cons. Stato, sez. V, 21.02.2020 n. 1323)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 718 del 22 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il Consiglio di Stato precisa che l’inammissibilità dei motivi di ricorso non consegue solo al difetto di specificità – requisito autonomamente previsto per l’atto d’appello dall'art. 101, comma 1, c.p.a., secondo cui il ricorso in appello deve contenere le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata – ma anche alla loro mancata indicazione «distintamente» in apposita parte del ricorso dedicata a tale elemento, ai sensi dall'art. 40 c.p.a., applicabile anche al giudizio di appello in virtù della disposizione di rinvio interno contenuta nell'art. 38 c.p.a.

Il testo della sentenza n. 8 del 4 gennaio 2016 della Sezione Sesta del Consiglio di Stato è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.


In ordine alla natura ed alla consistenza dei doveri di chiarezza e specificità dei motivi di ricorso ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, precisa che:
  • la chiarezza e la specificità si riferiscono all'ordine dell’esposizione delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato (sia esso il provvedimento amministrativo o giurisdizionale);
  • il principio di chiarezza e specificità dell’impugnazione è valorizzato oggi dall’art. 101, comma 1, c.p.a., che, nel disciplinare il contenuto del ricorso in appello, espressamente stabilisce che i motivi di ricorso debbano essere «specifici» e che eventuali motivi proposti in violazione di detta regola sono inammissibili;
  • lo scopo delle disposizioni nella materia è quello di sollecitare le parti alla redazione di ricorsi chiari, al fine di arginare la prassi difensiva di redigere ricorsi lunghi e privi di una lineare enucleazione dei motivi di ricorso, nonché di una chiara distinzione tra fatto, svolgimento del processo e censure proposte;
  • è onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, sicché la prolissità e la mancanza di chiarezza degli argomenti conducono all'inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi sanciti dall'art. 101, comma 1, c.p.a. per il giudizio di appello;
  • l’inesatta suddivisione tra parte in fatto e parte in diritto comporta il rischio dei c.d. «motivi intrusi» ossia di quei motivi di ricorso, ex se inammissibili, perché inseriti nella parte in fatto (con il conseguente diffuso aumento di sentenze che non contengono l’esatta disamina di tutti i motivi di ricorso proposti a causa dell’oggettiva difficoltà di individuarli nel corpo dell’atto).


Il testo della sentenza n. 5459 del 2 dicembre 2015 della Sezione Quinta del Consiglio di Stato è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.