Il TAR Milano, con riferimento ad un ricorso eccedente i limiti dimensionali stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dello Stato 22 dicembre 2016, n. 167 e succ. mod., osserva come tale superamento debba essere “comunque sempre valutato, secondo un canone di ragionevolezza che contemperi in modo equilibrato, e non esasperato, l'obbligo di sinteticità con la garanzia della tutela giurisdizionale, alla luce delle esigenze difensive che abbiano indotto la parte a superare il limite massimo delle pagine” (Consiglio di Stato, Sez. III, 12.10.2020, n. 6043).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2569 del 19 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento al dovere di formulazione distinta e specifica dei motivi, imposta dall’art. 40 c.p.a., ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione “dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. In argomento il TAR richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale lo scopo dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. “è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine alla prassi dei ricorsi non strutturati secondo una esatta suddivisione tra ‘fatto’ e ‘motivi’, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (Cons. Stato, V, 31 ottobre 2016, n. 4561; 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 4 gennaio 2016, n. 8). Si è altresì rilevato che l’art. 40, comma 1, lett. d), Cod. proc. amm., non prescrive che il ricorso sia necessariamente articolato in una parte ‘in fatto’ e in una ‘in diritto’, graficamente distinte, sicché, per quanto tale distinzione sia preferibile e auspicabile per una maggiore chiarezza espositiva dell’atto, l’articolazione di un unico motivo, senza distinzione tra ‘fatto’ e ‘diritto’, non determina la ‘indistinzione’ dell’unico motivo, inteso e proposto quale continuum nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio, anche di appello, purché esso soddisfi, ovviamente, il requisito della specificità (Cons. Stato, III, 10 aprile 2019, n. 2369; 21 luglio 2017, n. 3621)” (Consiglio di Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2343).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2410 del 3 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato, a fronte di una censura rivolta alla sentenza di primo grado nella parte in cui non ha esaminato l’atto difensionale oltre il limite dimensionale prescritto, ha così statuito: 
«12.8. Si può convenire con l’appellante quando afferma che il primo giudice abbia seguito una interpretazione eccessivamente rigoristica e formalistica dell’art. 13-ter, comma 5, delle Norme di attuazione, di cui all’allegato II al c.p.a., nonché dell’art. 3, comma 1, lett. b), del decreto n. 167 del 22 dicembre 2016 del Presidente del Consiglio di Stato circa il superamento del numero di pagine, in quanto lo sforamento dei limiti dimensionali deve essere correlato prevalentemente al numero dei caratteri, il solo che abbia carattere vincolante, anziché al numero delle pagine (che ha natura orientativa), e deve essere comunque sempre valutato, secondo un canone di ragionevolezza che contemperi in modo equilibrato, e non esasperato, l’obbligo di sinteticità con la garanzia della tutela giurisdizionale, alla luce delle esigenze difensive che abbiano indotto la parte a superare il limite massimo delle pagine.
12.9. Infatti, fermo il limite massimo tassativo dei caratteri, la scelta di illustrare e spiegare complesse censure tecniche con immagini, nel corpo dell’atto, e di “sforare” perciò di poche e non eccessive pagine il limite, puramente indicativo, di 35 pagine non può costituire valida ragione per non esaminare le ultime tre o quattro pagine del ricorso senza considerare, irragionevolmente, che tale esiguo sforamento non dipende da prolissità grafica del difensore, ma dall’esigenza, ragionevole e meritevole di tutela, di offrire una rappresentazione il più possibile chiara, e intellegibile, delle medesime censure tecniche non solo per verba, ma anche per imagines et signa in un contenzioso, come quello degli appalti, contraddistinto da un’elevata complessità tecnica e in un processo, come il presente, che richiede peculiari competenze specialistiche.
12.10. Questa strategia difensiva non può ritenersi in sé, e comunque in modo automatico, irrispettosa del principio di sinteticità e dei ridetti limiti dimensionali perché, va qui ricordato, il dovere di sinteticità non è un valore in sé, un fine ultimo, ma è funzionale alla intelligibilità dell’atto, sul presupposto che ciò che è complesso, ridondante, superfluo nuoce alla comprensione delle censure e, di fatto, rende il processo amministrativo meno efficace nella tutela degli interessi legittimi o, in talune ipotesi, dei diritti soggettivi.
12.11. Ritiene quindi il Collegio di dovere esaminare anche i motivi, non esaminati dal primo giudice, per non avere l’odierna appellante violato l’obbligo di sinteticità così declinato, per le ragioni e nei limiti di cui si è detto».

Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6043 del 13 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il Consiglio di Stato, a fronte di un ricorso in appello che supera i limiti dimensionali stabiliti nel dPCS 22.12.2016, “rileva che non possono essere presi in considerazione i rilievi svolti nell’atto di appello nelle pagine successive alla 35^ per violazione dei limiti dimensionali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016 (cfr. in particolare, gli articoli 3 e 8): ne consegue la radicale non esaminabilità della parte di appello con cui si reiterano i motivi aggiunti formulati in primo grado (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190; v. anche, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2020, n. 803)”.

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1686 del 9 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa che, a norma dell’art. 13-ter delle norme di attuazione al Codice del processo amministrativo, il limite dimensionale di sinteticità entro cui va contenuto l’atto processuale costituisce un precetto giuridico la cui violazione non genera la conseguenza, a carico della parte che lo abbia superato, dell’inammissibilità dell’intero atto, ma solo il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2730 del 23 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il Consiglio di Stato precisa che, a norma dell'art. 13-ter delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo, il limite dimensionale di sinteticità entro cui va contenuto l’atto processuale costituisce un precetto giuridico la cui violazione non genera la conseguenza, a carico della parte che lo abbia superato, dell’inammissibilità dell’intero atto, ma solo il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare; la verifica del superamento del limite dimensionale va, comunque, fatta senza tener conto dell'epigrafe dell'atto, della indicazione delle parti e dei difensori e relative formalità, dell'individuazione dell'atto impugnato e delle conclusioni dell’atto.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 2190 in data 11 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 250 del 25 ottobre 2017 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2017, recante modifiche al decreto del 22 dicembre 2016, concernente la disciplina dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo.


Con decreto in data 16 ottobre 2017 del Presidente del Consiglio di Stato (in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) sono state apportate alcune modifiche al decreto sulla sinteticità degli scritti difensivi del 22 dicembre 2016.
In particolare, si estendono alle memorie di replica i limiti dimensionali previsti per l’atto introduttivo del ricorso e per altri scritti difensivi che non abbiano una disciplina particolare; è stato altresì consentito che l’istanza motivata di autorizzazione alla deroga dei limiti dimensionali venga presentata autonomamente e non necessariamente formulata in calce allo schema di ricorso.



Il Consiglio di Stato, rilevata l’abnormità di un ricorso in appello di 124 pagine, esamina la sola parte del ricorso che rientra nei limiti dimensionali normativamente previsti e ritiene applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 26 c.p.a., comma secondo, che dispone che “Il giudice condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio. Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si applica l’articolo 15 delle norme di attuazione”.


La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 2852 del 12 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa la seguente indirizzo.


Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. del 3 gennaio 2017 il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016, recante la disciplina dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 9 di detto decreto, la nuova disciplina si applica alle controversie il cui  termine di proposizione del ricorso di primo grado o di impugnazione inizi a decorrere trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione del decreto medesimo nella Gazzetta Ufficiale.
Si veda anche il precedente post


Pubblicato sul sito di Giustizia Amministrativa il seguente comunicato del 22 dicembre 2016:
"Il Presidente del Consiglio di Stato ha emanato un decreto, come previsto dal recente decreto-legge n. 168/2016, con cui si intende dare attuazione ai principi di sinteticità e chiarezza stabiliti dal Codice del processo amministrativo. Principi che ora riguardano, in modo generalizzato, tutti i riti e non solo quello degli appalti.
In particolare, si danno indicazioni sui criteri di redazione degli atti di parte, al fine di renderli chiari e comprensibili in tutte le loro articolazioni e si prevedono limiti dimensionali differenziati in relazione ai diversi riti. Il parametro fondamentale di riferimento diventa il numero massimo di caratteri piuttosto che il numero delle pagine. A tale limite, vengono previste alcune ipotesi di deroga (come per esempio nel caso i cui la controversia presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse) e il relativo procedimento autorizzativo.
Il decreto troverà applicazione alle controversie il cui termine di proposizione del ricorso di primo grado o di impugnazione inizi a decorrere trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione del decreto medesimo sulla Gazzetta Ufficiale.
Il Presidente del Consiglio di Stato, contestualmente all’emanazione del decreto, ha inviato una nota a tutti i magistrati amministrativi invitandoli ad uniformare la redazione dei provvedimenti ai principi di chiarezza e sinteticità".




La Corte di Cassazione, Sezione II civile (sentenza 20 ottobre 2016 n. 21297), ha dichiarato un ricorso (con un numero di pagine complessive, compreso sommario e indice, pari a 251) inammissibile, perché non contiene – come prescritto a pena di inammissibilità dall’articolo 366 c.p.c. n. 3 – l’esposizione sommaria dei fatti della causa.
La Corte rileva che il principio di sinteticità degli atti processuali introdotto nell’ordinamento processuale con l’articolo 3, comma 2, del codice del processo amministrativo, esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, in quanto funzionale a garantire, per un verso, il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato con la modifica dell’articolo 111 Cost. e, per altro verso, il principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste ed il giudice.
Secondo la Corte, la violazione del principio di sinteticità, se non determina di per se stessa l’inammissibilità del ricorso per cassazione, espone al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione; detta violazione, infatti, rischia di pregiudicare l’intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e quindi, in definitiva, ridondando nella violazione delle prescrizioni, queste sì assistite da una sanzione testuale di inammissibilità, di cui ai n.ri 3 e 4 dell’articolo 366 c.p.c.


Il Consiglio di Stato, in sede di appello avverso una decisione del TAR Toscana - che aveva rilevato che le questioni trattate nella parte dell’atto introduttivo del giudizio eccedenti il limite fissato dal decreto dal Presidente del Consiglio di Stato del 25 maggio 2015, in attuazione di quanto previsto dall’art. 120, comma 6, c.p.a., non dovevano essere esaminate dal Collegio - ha rigettato l’appello, con il quale si contestava anche la violazione dell’art 112 c.p.c. per omessa pronuncia su tutte le domande ed eccezioni svolte dalle parti, sulla base dei seguenti testuali rilevi:
«Deve preliminarmente rilevarsi che il ricorso di primo grado della lunghezza di 51 pagine si accompagna ad atto di appello di 62 pagine.
La violazione del principio di sinteticità ex art. 3 c.p.a., anche in ordine alla stessa struttura degli atti (e dunque a prescindere dalla loro mera lunghezza) e in particolare dell’atto d’appello, eccessivamente prolisso e ripetitivo (basti verificare le epigrafi delle numerose censure formulate quali motivi di appello), rilevano anche ai fini della liquidazione delle spese di lite, ex art. 26 c.p.a., come si dirà oltre.
Sul motivo d’appello concernente in specifico l’applicazione dal decreto dal Presidente del Consiglio di Stato 25 maggio 2015, pubblicato in Gazzetta ufficiale 5 giugno 2015, in attuazione di quanto previsto dall’art. 120, comma 6, del medesimo codice, come modificato dall’art. 40 D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, con la legge 11 agosto 2014, n. 114, si deve evidenziare quanto segue.
Il superamento dei limiti ivi indicati (50 pagine per il ricorso) può essere consentito previa l’espletamento di precisi adempimenti processuali: formulazione di un’istanza motivata in calce al ricorso, sulla quale il Presidente o il magistrato delegato si pronuncia entro tre giorni; notificazione alle controparti del decreto favorevole o dell’autodichiarazione sul decorso del termine.
Tale superamento è peraltro sottoposto a precisi limiti ed a stringenti condizioni: la complessità delle questioni, il particolare interesse perseguito, il valore economico “non inferiore a 50.000.000,00 euro, determinato secondo i criteri relativi al contributo unificato”; nel caso di specie la stessa ricorrente dichiara che “il valore della presente controversia è inferiore ad euro 200.000,00”.
Una così precisa disciplina, attuativa di un precetto legislativo cogente, non può essere interpretata riduttivamente, riferita ai soli fini delle spese di giudizio, ma attiene alla regolamentazione del modo di svolgimento del processo amministrativo, che deve improntarsi a correttezza e lealtà, e non può tollerare un uso abusivo degli strumenti processuali, così come tipizzato dagli atti normativi sopra indicati, e deve consentire una rapida soluzione delle questioni, conformemente al principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.
Tale disciplina, infatti, non è certo dettata al fine di limitare il diritto di difesa delle parti, ma risponde allo scopo, di evidente interesse pubblico, di snellire l’andamento del Servizio Giustizia nel campo amministrativo.
Nel caso di specie, incombe al ricorrente in primo grado la dimostrazione di aver rispettato i limiti imposti dal regolamento, mentre non si può ipotizzare che sia onere del giudice verificarlo, mediante la trasposizione del testo in caratteri diversi o in una diversa formattazione.
La ricorrente in primo grado, attuale appellante, ha violato tali regole e tale violazione si è riverberata sul piano dell’esame della sua domanda giudiziale, così come prescritto dalle anzidette disposizioni normative.
Legittimamente, pertanto, il TAR ha limitato la delibazione del ricorso entro i limiti consentiti dal regolamento sopra indicato».
L’appellante è stato, poi, condannato oltre che al pagamento delle spese di lite anche al versamento di una sanzione pari all'ammontare del contributo unificato ex art. 26, comma 2, c.p.a.

La sentenza della Sezione Quinta del Consiglio di Stato n. 3372 del 26 luglio 2016 è consultabile sul sito di Giustizia Amministrativa.


Si informa che la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense hanno sottoscritto due protocolli con l’obiettivo di favorire la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali,  formulando raccomandazioni per la redazione degli atti nei giudizi avanti alla Corte di Cassazione in materia civile, tributaria e penale.
I protocolli sono consultabili sul sito istituzionale del Consiglio Nazionale Forense, nella sezione "Naviga per temi", sottosezione "In evidenza", a cui si può accedere direttamente dal seguente link.


In ordine alla natura ed alla consistenza dei doveri di chiarezza e specificità dei motivi di ricorso ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, precisa che:
  • la chiarezza e la specificità si riferiscono all'ordine dell’esposizione delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato (sia esso il provvedimento amministrativo o giurisdizionale);
  • il principio di chiarezza e specificità dell’impugnazione è valorizzato oggi dall’art. 101, comma 1, c.p.a., che, nel disciplinare il contenuto del ricorso in appello, espressamente stabilisce che i motivi di ricorso debbano essere «specifici» e che eventuali motivi proposti in violazione di detta regola sono inammissibili;
  • lo scopo delle disposizioni nella materia è quello di sollecitare le parti alla redazione di ricorsi chiari, al fine di arginare la prassi difensiva di redigere ricorsi lunghi e privi di una lineare enucleazione dei motivi di ricorso, nonché di una chiara distinzione tra fatto, svolgimento del processo e censure proposte;
  • è onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, sicché la prolissità e la mancanza di chiarezza degli argomenti conducono all'inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi sanciti dall'art. 101, comma 1, c.p.a. per il giudizio di appello;
  • l’inesatta suddivisione tra parte in fatto e parte in diritto comporta il rischio dei c.d. «motivi intrusi» ossia di quei motivi di ricorso, ex se inammissibili, perché inseriti nella parte in fatto (con il conseguente diffuso aumento di sentenze che non contengono l’esatta disamina di tutti i motivi di ricorso proposti a causa dell’oggettiva difficoltà di individuarli nel corpo dell’atto).


Il testo della sentenza n. 5459 del 2 dicembre 2015 della Sezione Quinta del Consiglio di Stato è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Giovanni Acerboni ha commentato su Il Sole 24 ore il decreto 25 maggio 2015 con cui il Presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, ha fissato la lunghezza massima degli atti forensi in ottemperenza alla Legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 40.

L'articolo (Atti forensi: massimo 30 pagine. Per legge) è disponibile a questo indirizzo https://www.academia.edu/14205770/Il_limite_di_30_pagine_per_gli_atti_forensi

V. anche http://camerainsubria.blogspot.it/2015/06/dimensione-degli-scritti-difensivi.html